Dopo 50 anni, finalmente inaugurato a Palazzo Citterio il polo culturale: uno storico quanto sofferto traguardo per Milano
MILANO. In un’affollatissima conferenza stampa tenuta alla vigilia di Sant’Ambrogio, festa meneghina per eccellenza, tutti stretti contro la «Fiumana» di Giuseppe Pellizza da Volpedo collocata nella grande sala numero 40 al primo piano di Palazzo Citterio, si celebra un evento che non è eccessivo chiamare storico.
Un sogno lungo 50 anni finalmente in cornice
Sì, perché dopo più di 50 anni si conclude, o meglio inizia, con l’apertura al pubblico, la vicenda di quella Grande Brera, fortemente voluta nei decenni trascorsi ma mai avverata, al punto da diventare quasi sinonimo di qualcosa di irrealizzabile. Può sembrare poco, ma l’opening di quello che era il palazzo settecentesco di uno dei collezionisti le cui opere sono finalmente in mostra – i coniugi Jesi che, con Lamberto Vitali, han donato i due principali corpi di capolavori esposti -, segna quel traguardo agognato che permetterà d’ora in poi di dare un senso a quell’aggettivo, Grande, che precede il nome di un’istituzione culturale unica. Azione rivendicata con orgoglio dal direttore generale Angelo Crespi che, superando i mille ostacoli burocratici e tecnici che si erano accumulati nello sfortunato edificio, in 10 mesi ha raccolto l’enorme e per molti aspetti ottimo lavoro svolto in precedenza ed è riuscito nell’impresa, ben coadiuvato da tutti.
È nato ufficialmente uno strano organismo, invero, frutto di sovrapposizioni di più progetti architettonici, di diverse visioni, di molteplici condizioni storiche, sociali e politiche. Organismo che, tutto sommato, si salva dal pastiche quasi inevitabile, per offrire spazi allestiti correttamente ove godere delle collezioni e delle mostre temporanee, in un dialogo che, crediamo, potrà essere solamente proficuo con tutte le altre parti del complesso in gioco.
Perché la Grande Brera, viene ricordato, è un grande complesso frutto dell’unione di almeno otto istituzioni che, dalla Pinacoteca alla Biblioteca Braidense, dall’Accademia di Belle Arti all’Osservatorio Astronomico e all’Orto Botanico, per non dimenticare l’Istituto per le Scienze e le Lettere, gli Amici di Brera e la Fondazione Ricordi, unisce arte e scienza in un unicum che il mondo dovrebbe invidiarci e che i milanesi, inevitabilmente, non conoscono come dovrebbero. La lunga e importante storia è minuziosamente spiegata in una bella mostra (fino al 9 marzo 2025) a cura di Luca Molinari e ben allestita da Francesco Librizzi.
Il percorso espositivo: le intrusioni di Cucinella, il lascito di Stirling
La vicenda lunga duecento anni, raccontata con dovizia di materiali originali, disegni, mappe, modelli, occupa tutto l’ultimo piano del Palazzo, quello “moderno” del progetto Ortelli-Sanesi. Le collezioni, le ricordate Jesi, fronte via Brera, e Vitali, fronte giardino, e le più piccole ma non meno preziose Zavattini, Autoritratti minimi, Bassetti, 23 Fantasie di Mario Mafai, e Rosenberg, assieme ad altre opere acquisite direttamente negli ultimi decenni, occupano il piano nobile trovando, anche grazie ad alcuni interventi di Mario Cucinella Architects, un equilibrato assetto espositivo che vede quadri appesi alle pareti, sculture, reperti collocati in teche, vetrine e basamenti, soluzioni che, se non brillano per innovazione, non deludono nella loro funzione. Cucinella, ormai milanese per incarichi ed esposizione mediatica, parla dei suoi interventi come di “intrusioni” di modernità che si collocherebbero in continuità con la storia di Brera, fatta di mille interventi.
Nel caso del definito “gioco” del “tempietto” che, posato nella corte del Palazzo, vorrebbe misurarsi con Raffaello e Bramante, si tratta, però, d’intrusioni che prendono una scala della quale si stenta a trovare il senso compiuto. Sarà questo un luogo destinato a diventare spazio sempre aperto alla città dal quale fluire ai piani espositivi e scendere alla grande e misteriosa sala ipogea, unico lascito realizzato del progetto della Grande Brera disegnato da James Stirling negli anni ’80.
Da oggi qui viene ospitata un’importante mostra di Mario Ceroli (fino al 23 marzo 2025), ricca di dieci installazioni site specific che verranno trasferite, nella prossima primavera, alla Galleria di Arte moderna di Roma, con la quale Brera suggella un importante patto di collaborazione. L’artista romano non si risparmia, colmando lo spazio di manufatti lignei che lascia intravedere in un’atmosfera buia e densa.
Un’esperienza immersiva, ma di tipo analogico, a base legno
Quella del viaggio nel Palazzo e nei suoi multiformi spazi è un’esperienza immersiva, ma di tipo analogico, anche se non si è privati di una dimensione virtuale con l’installazione «Renaissance Dreams» di Refik Anadol, mostrata nella parte del «Capitolo architettura», che annuncia nel ledwall all’ingresso un altro patto, questa volta stretto con Meet, l’istituzione milanese votata al digitale che ha i suoi spazi nella non lontana Porta Venezia, ove l’opera di cui sopra è presente nella sua interezza, e con l’istituendo MNAD (Museo Nazionale di Arte Digitale).
Non si può non notare che il grande protagonista di questa sofferta, ma proprio per questo ancora più importante, apertura sia il legno, materiale che impera: dalle imponenti strutture del “tempietto”, per poi dare forma a cornici, teche e pannelli nella mostra storica, e arrivare alla propria sublimazione nell’opera di Ceroli, artista che negli anni ’50 trovò nei rami tagliati dai giardinieri del Comune di Roma l’unico materiale disponibile gratuitamente, che non abbandonerà più.
Un bel giorno per Milano e i suoi cittadini che possono cercare di superare le preoccupazioni frequentando e amando una Grande Brera che, speriamo, da ora in poi sia su una buona strada.
Immagine copertina: La mostra «Grande Brera», Milano (© Alessandro Colombo)
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arte pittorica , Milano , mostre , musei
Last modified: 9 Dicembre 2024