Storico dell’architettura e dell’arte, ha incrociato diversi campi del sapere e ha proposto una più remota archeologia del moderno
«La critica può sembrare in qualche modo irrilevante per ogni dibattito sull’edilizia, ora che la star-architecture è al suo apice. Dopotutto, il compito del critico è discriminare il meglio dal peggio o, se si preferisce, il più bello dal più brutto, il più prezioso dal meno prezioso. Lo dice la parola stessa. In greco antico, κρίvω si riferisce all’atto di vagliare, o setacciare, separare il grano dalla pula. Ma la star-architecture non fa queste distinzioni. Si accontenta semplicemente di essere, e sorvola sulle lamentele di chi discrimina». In queste righe, pubblicate nel maggio 2014 su «Domus», col titolo di Does Architecture Criticism Matter?, lo studioso polacco naturalizzato britannico Joseph Rykwert, scomparso il 18 ottobre scorso a Londra, all’età di 98 anni e mezzo, sottolineava la precarietà di ogni critica in un tempo caratterizzato dalla crescente spettacolarizzazione della professione dell’architetto.
La formazione
Rykwert nasce a Varsavia da una famiglia di origine ebraica. Quando la Wehrmacht invade la Polonia, nel 1939, è costretto a fuggire attraverso Lituania, Lettonia e Svezia verso la Gran Bretagna. Qui, ancora adolescente, s’iscriverà alla boarding school della Charterhouse di Godalming (Surrey) e, in seguito, alla Bartlett School diretta da Sir Albert E. Richardson. Insoddisfatto del clima culturale della scuola, a fine anni quaranta inizia a frequentare la più aperta e cosmopolita Architectural Association, dove entra a far parte di una ristretta cerchia di studenti, giovani insegnanti, professionisti e critici dell’architettura militanti, riuniti intorno alla figura eclettica di Thomas (Sam) Stevens, docente di storia all’architettura alla scuola di Bedford Square. Tra questi spiccano Kenneth Frampton, James Stirling, Patrick Hodgkinson, Bob Maxwell e il critico ReynerBanham.Nel frattempo inizia a lavorare in diversi studi professionali, e in parallelo si dedica alle ricerche in storia dell’arte e dell’architettura. In quegli anni, al Warburg Institute of Art, lavora con Rudolf Wittkower e negli studi professionali di Maxwell Fry e Jane Drew, e da Ove Arup. Dopo un primo periodo d’insegnamento alla Hammersmith School of Arts & Crafts e alla HochschulefürGestaltungUlm, dal 1958 diventa bibliotecario e tutor accademico del Royal College of Art dove, nel 1967, ottiene il titolo di dottore di ricerca in storia dell’arte.
Gli scritti e l’insegnamento
Quale dialettico contrappunto all’approccio tecnocratico e autoritario che aveva informato molti interventi di pianificazione di città europee all’indomani del conflitto, il primo libro di Rykwert, The Idea of a Town: The Anthropology of Urban Form in Rome, Italy and the Ancient World (1963), si configura come un’esplorazione alternativa delle città antiche, in cui rituali, sogni, valori e aspirazioni collettive danno sostanza a ogni esperienza e senso dei luoghi.L’influenza del lavoro di Rykwert si misura anche attraverso la rete delle collaborazioni internazionali, che lo vedono, lui fluente in sette lingue, quale autore prolifico ben oltre i confini della sua patria d’adozione. Nel 1969-70, grazie a una sovvenzione della Graham Foundation di Chicago, insieme a Frampton è chiamato come visiting fellow all’Institute of Architecture and Urban Studies (IAUS) fondato nel 1967 a New York e diretto da Peter Eisenman. Quest’ultimo aveva incontrato lo studioso d’origine polacca qualche tempo prima, durante il periodo trascorso in Inghilterra per la ricerca di dottorato sulla lettura formale delle architetture di Giuseppe Terragni condotta all’Università di Cambridge sotto la diretta supervisione di Colin Rowe. Con l’ingresso di Rykwert e Frampton allo IAUS, e grazie alle credenziali accademiche dei due studiosi europei, Eisenman è in grado di assicurare al neonato e ambizioso laboratorio della ricerca urbana e architettonica di Manhattan l’indispensabile apporto di un capitale culturale elevato. In seguito, sempre a fianco di Frampton, con Banham, FrançoiseChoay, Martin Pawley, Christian Norberg Schultz e Aldo van Eyck, Rykwert, con il saggio The Sitting Position. A Question of Method, parteciperà all’antologia Meaning in Architecture, a cura di George Baird e Charles Jencks (1969). Il rapporto privilegiato con l’Italia, meta dilunghi soggiorniestivi nel veneziano sestiere di Cannaregio,sarà destinato a tradursinella duratura e proficua collaborazione con la «Domus» di Gio Ponti (1963-73). Ma tra i contributi di Rykwert all’editoria straniera va segnalata la partecipazione, nel dicembre 1971, a un emblematico numero speciale di «Casabella», allora diretta da Alessandro Mendini. Il fascicolo doppio “The City asArtifact” è dedicato agli Stati Uniti ed è curato dallo IAUS. Rykwert vi collabora accanto a Eisenman, Frampton, Stan Anderson, Denise Scott Brown e Emilio Ambasz, con il saggio Necessità dell’artificio.Muovendosi con erudita disinvoltura in differenti periodi storici e all’incrocio di diversi campi del sapere, dall’antropologia alla sociologia, Rykwert ha sempre tentato di ricostruire la cornice culturale entro cui i fatti architettonici si sono sviluppati, sottolineandone le componenti simboliche e ideologiche. Nel volume On Adam’s House in Paradise. The idea of the primitive hut in architectural history, uscito a New York per le edizioni del Museum of Modern Art (1972), lo studioso definirà un ambito di ricerche dai mobili confini cronologici e disciplinari, sospeso tra filologia e mitologia. Nel contempo, i suoi libri e il suo insegnamento si sviluppano lungo il dialogo costante con figure di studiosi a lui culturalmente affini. Con Peter Collins, Frampton e Alan Colquhoun, ad esempio, contribuisce al graduale processo di revisione della categoria analitica di Movimento moderno. Prendendo le mosse da una più sofisticata ricerca intorno ai molti possibili inizi dell’idea stessa di modernità, The First Moderns. The Architects of the Eighteenth Century, esito delle ricerche svolte durante l’insegnamento alla Essex University (1967-80), uscito lo stesso anno della fortunata Modern Architecture: A Critical History di Frampton, sarà tra i primi testi a suggerire una più remota archeologia del moderno: non solo più l’Ottocento con le sue rivoluzioni tecniche e industriali, ma il secolo dei Lumi e le profonde trasformazioni del pensiero scientifico e filosofico che ne avevano costituito la cifra. Trasferitosi in quello stesso anno al Dipartimento di Architettura dell’Università di Cambridge con la posizione di Slade Professor of Fine Art e poi come Professor of Architecture, Rykwert porta avanti il prestigioso Master Program in History and Philosophy of Architecture inaugurato da Dalibor Vesely, critico di architettura d’origini ceche. Nel 1988 è nominato Paul Philippe Cret Professor of Architecture all’Università della Pennsylvania di Filadelfia, incarico che manterrà fino al 1998.
I riconoscimenti
A riprova di un rapporto elettivo con l’Italia e la sua cultura architettonica, nel 2000 riceve il Premio Bruno Zevi per la storia dell’architettura alla Biennale di Venezia. Presidente dell’International Council of ArchitecturalCritics (CICA), nel 2014 è nominato Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico (CBE) per i servizi resi all’architettura. Lo stesso anno, il Royal Institute of British Architects gli riconosce la prestigiosa Royal Gold Medal.
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libri , regno unito , Storiografia , università
Last modified: 9 Dicembre 2024