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Luca GullìWritten by: Città e Territorio

Ritratti di città. Bologna grands travaux (e quasi altrettante miserie)

Ritratti di città. Bologna grands travaux (e quasi altrettante miserie)

Il punto sul governo urbano in una fase di profonda trasformazione delle strategie, tra grandi progetti di sviluppo e istanze di giustizia sociale

 

Centralità del progetto urbano nell’ultima legge urbanistica emiliana

Il fatto che Bologna abbia sentito la necessità di redigere una variante del proprio Piano urbanistico generale, che (prima tra tutte le città capoluogo emiliane) aveva approvato solo tre anni fa, segnala come nel frattempo molti e determinanti accadimenti abbiano cambiato il quadro di riferimento del governo della città e si lega al fatto che la recente legge urbanistica emiliana porta a impostare le politiche di sviluppo delle città secondo un approccio per progetti. 

Nel caso di Bologna, in un contesto amministrativo che storicamente ha sempre dato centralità ai piani urbanistici e territoriali, l’adozione di una strategia urbanistica che procede per progetti segna una fase di transizione, nella quale convivono grandi previsioni di trasformazione, un complesso di politiche pubbliche specifiche e una cornice di apparati normativi estesi e cogenti. I grandi progetti e strategie di trasformazione costituiscono la risposta alle istanze portate dall’irrompere dei finanziamenti del PNRR e di alcuni programmi nazionali d’intervento urbano, accompagnati da un non sempre coerente complesso di grandi interventi infrastrutturali. L’insieme di politiche pubbliche specifiche tenta invece di dare risposta all’emersione di squilibri e disuguaglianze sociali (peraltro già presenti in forma larvata da anni), a un diffuso peggioramento della qualità ambientale e alla progressiva crisi delle attrezzature territoriali al servizio dello stato sociale emiliano. La tradizionale necessità di dotarsi di apparati normativi di valenza generale si è riversata in una lunga e impegnativa elaborazione di dispositivi che dovrebbero assicurare il rendimento ecologico e l’utilità sociale delle singole trasformazioni (il più compiuto di questi strumenti è il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici, del 2015). Infine, le già mutevoli scelte di politica urbana dell’ultima fase amministrativa devono ora inserire nel loro complicato scacchiere i fattori del rischio territoriale, tema reso urgente dagli ultimi eventi calamitosi di dissesto idraulico in ambito urbano.  

Operare una sintetica disamina dell’insieme di proposte d’intervento che l’urbanistica cittadina ha messo a punto negli ultimi tempi aiuta quindi da un lato a riconoscere l’eterogeneità dei fenomeni che si stanno affrontando e, al contempo, permette di valutare come le molte iniziative che incidono sullo spazio della città possono delineare un disegno d’assieme minimamente coerente e ordinato.

 

Grandi progetti e interventi diffusi 

I grandi progetti in corso di approvazione da parte dell’amministrazione cittadina sono di tale impatto e ambizione che, in questa sede, ci si limiterà a delinearne i tratti fondamentali. 

Pur essendo ancora a uno stadio iniziale di elaborazione, tali trasformazioni tentano nell’insieme di definire alcune linee di assetto e forme territoriali a livello dell’intera area urbana. Figure territoriali che costituiscono la vera novità dell’ultima variante di piano e fanno leva sui fattori della connessione ambientale (il progetto “Impronta verde”) e delle connessioni tra le nuove funzioni specialistiche della cultura e della ricerca (il progetto “Città della conoscenza”). Lo scopo è quello di dare un assetto comune e un’integrazione ai singoli progetti d’area: probabilmente si cerca di cambiare corso rispetto a una trentennale stagione d’interventi concepiti come singole occasioni di trasformazione, che hanno generato un ambiente urbano frammentato e deforme (i Programmi di riqualificazione urbana o la recente stagione dei cosiddetti “mostri urbani”) o che sono stati portatori di veri e propri fallimenti (come FICO, la “Disneyland del cibo” che si sta tuttora pervicacemente provando a rilanciare).

A riprova della volontà di definire un inquadramento territoriale coordinato per queste trasformazioni, c’è il fatto che i due più importanti progetti, tra quelli avviati, si dispongono lungo le due direttrici prioritarie di sviluppo urbano.

Il primo, chiamato TEK (Tecnology / Entertaiment / Knowledge) ordina un insieme di strutture specialistiche e funzioni d’interesse collettivo (tra le quali il Tecnopolo, atteso dal 1985) attorno all’asse viario di sviluppo nord della città. Si tratta di un settore urbano che, nonostante sia stato oggetto negli anni di attenzione da parte di molti autorevoli esponenti della cultura urbanistica (tra cui Leonardo Benevolo e Giancarlo De Carlo), si è sviluppato in modo scomposto. Il progetto prova a dare una continuità di relazioni a questo insieme di funzioni, disponendole attorno all’asse viario principale e legandole trasversalmente attraverso le connessioni ambientali, il ridisegno dello spazio pubblico e le nuove linee di trasporto collettivo. Gli spazi pubblici e ambientali che danno coerenza alle relazioni urbane più estese (il TEK incrocia sia le diramazioni dell’Impronta verde, sia l’asse della Città della conoscenza) costituiscono l’elemento cruciale dell’intero progetto, tanto che la loro riuscita rende tutto sommato secondaria la presenza di alcuni manufatti decisamente mal pensati (ad esempio, un’arena sportiva progettata da Mario Cucinella Architects, la cui forma a becco di papera ci ricorda gli ammonimenti di Reyner Banham sull’impropria dilatazione alla scala architettonica degli oggetti di arredo).     

L’altro importante progetto urbanistico che la città sta avviando riguarda invece le aree del grande scalo ferroviario Ravone, che si dispone lungo la direttrice della via Emilia ovest. Anche in questo caso si tratta di un insieme di aree dismesse sul cui destino la città discute almeno dal trent’anni: in sintesi, si è passati da una previsione di alienazione e conseguente trasformazione immobiliare di tutto il comparto (che aveva portato all’elaborazione di un piano attuativo con consistenti potenzialità edificatorie), alla recente svolta dell’ultimo piano urbanistico che ha stralciato quelle previsioni edificatorie, in vista dell’acquisizione espropriativa da parte del Comune (con fondi PNRR) della zona centrale dell’ex scalo, per farne il luogo centrale della Città della conoscenza. Un impegno economico considerevole, che finora non ha visto analoghe iniziative da parte di altre città italiane che stanno affrontando la riconversione delle grandi aree ferroviarie. Le restanti parti di queste aree di trasformazione sono destinate a ospitare funzioni private. Una è stata oggetto del recente concorso internazionale C40 Reinventing Cities, che ha selezionato un raggruppamento di operatori tra i quali figurano il Politecnico di Milano e Arup. Il progetto, che ridisegna la zona a forma di fuso che si dispone sui due lati della ferrovia, fa leva su alti standard di rendimento ambientale degli edifici, nonché su principi di accessibilità legati alle tendenze della “post car city” (l’insediamento sarà pedonale e avrà all’interno una nuova fermata della ferrovia metropolitana). Nonostante i virtuosi criteri, il disegno urbano complessivo sembra soffrire del fatto che sul comparto si sono forzatamente fatte atterrare gran parte delle volumetrie del vecchio piano attuativo. Quando il disegno della città viene guidato in via prioritaria dalla vincolante applicazione degli indici edilizi il risultato è necessariamente un ambiente urbano asfittico e ripetitivo, con gli spazi aperti relegati a rimanenza di ciò che non è occupato dagli edifici. Alte prestazioni energetiche e tetti verdi non possono riscattare un’organizzazione urbana così schematica e ci ricordano che alcuni urbanisti, in riferimento all’insorgere anni addietro delle mode sulla città delle tecnologie evolute, paventavano il rischio di “realizzare edifici intelligenti in una città stupida”. 

 

Giustizia sociale, partecipazione, conflitto

Lo scalo Ravone prende il nome dal torrente portatore dell’onda di piena che ha investito poche settimane fa interi quartieri di Bologna. Questo evento eccezionale (ma non imprevedibile) dovrebbe portare a un ripensamento delle priorità delle politiche urbane e alla necessità di affiancare ai grandi progetti un’opera di cura e risanamento dello spazio della città. Allo stesso modo, il riemergere recente di un’acuta crisi abitativa, di marginalità sociali e di squilibri, di fenomeni d’ingiustizia ambientale richiede l’avviamento di politiche più attente alle istanze della base civica, con un riequilibrio tra gli investimenti sui grandi progetti e il lavoro di riabilitazione diffusa dei luoghi. 

Si assiste infatti al paradosso per il quale il cospicuo sforzo messo in atto dalle istituzioni locali nelle iniziative partecipative, di amministrazione condivisa e di coinvolgimento della cittadinanza nelle scelte urbanistiche ha dovuto affrontare un’inedita mobilitazione dal basso contro molti degli ultimi interventi. Ricomporre le fratture che su questi progetti si sono create tra amministratori e base sociale rappresenta il passo più impegnativo per il governo della città, che stenta a recuperare quella tradizione di cultura civica e policentrismo che costituiva l’aspetto qualificante dell’urbanistica bolognese.

Immagine copertina: progetto vincitore del concorso C40 per l’ex scalo Ravone

Autore

  • Luca Gullì

    Dottore di ricerca in Ingegneria edilizia e territoriale. Ha studiato al Politecnico di Milano e all’Università di Bologna, dove ha svolto per un decennio attività didattica e di ricerca occupandosi di politiche territoriali e abitative, difesa del suolo, salvaguardia degli ambienti storici e del paesaggio. Attualmente è funzionario del Ministero per i beni culturali, dove ricopre il ruolo di coordinatore della struttura tecnica che gestisce i complessi museali nazionali della Toscana

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Last modified: 6 Novembre 2024