In omaggio a John Cheever, maestro che, non a caso, Paolo Sorrentino ha deciso d’inserire tra i personaggi del suo ultimo film Parthenope
Era una di quelle domeniche di mezza estate in cui leggere nuvole biancastre, frapponendosi al sole, rendevano la temperatura ideale per pianificare anche le più audaci imprese. Il signor C., architetto, celibe, quasi quarantenne, se ne stava là, sdraiato sulla riva del fiume a spiare le formazioni di cirrocumuli nel cielo. Di tanto in tanto lo sguardo gli cadeva sulla sponda, laddove alcuni ragazzini, caviglie ammollo, giocavano con la corrente che spingeva pigramente l’acqua a valle.
“Perché non si tuffano?”, si chiedeva il signor C. Da ragazzo era stato un provetto nuotatore in acque libere, medaglia d’oro ai campionati studenteschi. E un fiume in fondo somiglia al mare: basta saper leggere l’intensità e la direzione del vento.
Da quando aveva sentito dire che, da là, nuotando di fiume in fiume si poteva raggiungere la sua casa di famiglia giù al meridione, quel proposito non se l’era più levato dalla testa. Si era informato, studiando i percorsi, fino a disegnare una sua mappa personale. Esisteva un fiume unico, così sosteneva, che solcava la penisola da nord a sud, sempre o quasi a favore di corrente. Bastava possedere braccia forti per mantenere l’equilibrio e buon fiato per nuotare laddove necessario. A quel lungo fiume aveva dato persino un nome, “Giovanna”, come il suo primo amore, mai dimenticato.
Rimasticando quel pensiero dolceamaro, il signor C. si sollevò dalla riva, si sfilò la t-shirt e gli infradito e si tuffò in acqua. Fece alcune bracciate per aggiustare la postura quindi, trovatosi nel bel mezzo della scia, si lasciò trasportare. Quando gli fu chiaro che non vi fossero più ostacoli, si girò sul dorso e battendo leggermente i piedi tornò a fissare il cielo ombroso del primo pomeriggio. Le vette ancora innevate si specchiavano luminose, mentre sulla sottile brezza fluttuava il verso degli uccelli. Uno spettacolo della natura che il signor C. adorava.
La possibilità di viaggiare così comodamente attraverso panorami tanto deliziosi quasi non gli sembrava vera. “Che meraviglioso paese che è il nostro” pensava, mentre ripassava mentalmente l’itinerario da percorrere che più volte si era dato cura di disegnare durante i suoi studi.
Terminata la tratta dell’affluente, il signor C. si ritrovò nel grande fiume centrale che solcava l’immensa pianura, dove però l’aria gli sembrò subito pesante. Insospettito, ispezionò con attenzione l’orizzonte, notando che il fondale cominciava ad essere basso e sabbioso, tanto che poteva sollevarsi in piedi. Quando si trovò effettivamente in un punto ove il fiume era ridotto ad un ruscelletto, fu costretto a smettere di nuotare.
“Ecco gli effetti della siccità!” rimuginava, mentre oramai dritto in verticale, accelerava il passo tra filari di capannoni, dove quadrupedi già condannati al macello ingrassavano inconsapevoli. La polvere della terra arsa dal sole, che nel frattempo si era fatto spazio tra le nuvole, finendogli negli occhi gli annebbiava la vista.
Che ore erano? Le quattro? Le cinque? Così appannato non riusciva più ad orientarsi, ma tanto che importanza aveva? Prima di sera, calcolava, sarebbe stato comodo nel soggiorno di casa, avrebbe ordinato una pizza che avrebbe mangiato guardando La domenica sportiva sul secondo canale televisivo.
Siccome il signor C. conosceva tutti i misteri e le scorciatoie della sua “Giovanna”, non appena gli fu possibile si lanciò nelle acque di un angusto canale che lo condusse fuori da quel pantano, fino ad una vasca dalla quale, risalendo leggermente la corrente, gli fu possibile ritrovare il corso d’acqua proprio laddove, ritornato copioso, puntava decisamente a sud.
Qui la preoccupazione maggiore era evitare i rifiuti che gli ostruivano il passaggio. Centinaia, migliaia di buste; e quando non erano buste, erano plastiche o apparecchiature elettriche, elettrodomestici o mobilia. Isole di spazzatura che, per non restarne intrappolato, lo costringevano a furiosi slalom.
Quando ne fu finalmente fuori, il signor C. non fece in tempo a rasserenarsi che una densa schiuma gli comparve dinanzi. Fuoriusciva da scarichi nascosti tra le frasche, grandi o piccole tubature che spuntavano tra i muretti delle costruzioni bordeggianti le rive. Ora la sua “Giovanna”, in un’agonia disperatissima, boccheggiava soffocata dalle bolle e dalla chimica. Stringendosi il naso con due dita, il signor C. avanzava senza darsi pace. “Com’è possibile che accada tutto questo sotto i nostri occhi?”, si domandava rabbioso.
Quando fu in procinto di scivolare verso il mare, il signor C. si ricordò della svolta che lo riconduceva verso l’alveo maggiore. Diede allora un paio di colpi decisi di crawl ritrovandosi da immissario in un ampio bacino dove capannelli di bagnanti fermi sulle rive, attendevano di essere imbarcati. Provò ad accostarsi, ma più si avvicinava più la folla aumentava e con loro aumentavano le barche, i battelli, i traghetti, finché vide in lontananza persino il profilo di una nave di crocieristi. Dai natanti qualcuno lo invitava a scostarsi, indicandogli la riva dove risalire, altri ancora ridevano del suo incedere oramai maldestro poiché fiaccato dallo sforzo del viaggio.
Il signor C., sfibrato ma non vinto, resisteva al moto ondoso artificiale, contando mentalmente la distanza che lo divideva dall’ultimo tratto, quello che reputava meno chiassoso e più agevole, e che lo avrebbe condotto finalmente a casa. “Un altro piccolo sforzo ed è fatta”, si diceva.
Quando fu finalmente nel rivo finale, notò che il cielo anneriva sempre più oltre la cordiera delle colline, e più si spingeva in quella direzione più il cielo si oscurava, finché iniziò a piovere violentemente. Una massa d’acqua si riversò così rapidamente sul letto del fiume che questi, rifocillato da decine di altri canali, si moltiplicò in brevissimo tempo, tanto che il signor C. si ritrovò spinto oltre l’argine nel pieno dell’esondazione. Ora la corrente era talmente forte che il signor C. non riusciva più a governare il nuoto, finì più volte sott’acqua, bevve, risalì, ribevve e tornò a galla; trascinato dalla forza dell’acqua attraversò velocemente centri abitati, strade, parcheggi di centri commerciali e poi ancora centri abitati, senza mai incontrare una campagna ove disperdersi e lasciandosi alle spalle solo devastazione e spavento. “La mia Giovanna non può essere così crudele”, si ripeteva.
Finché, quando gli sembrò che la furia si fosse placata, cercò intorno a sé un riferimento. Si era fatta sera, ma tra le luci del paesaggio riconobbe i tetti dei suoi luoghi. I tralicci elettrici del campo di calcio e il campanile della chiesa che svettava tra la laguna. La corrente lo spinse infine esattamente verso il suo quartiere, dove agganciandosi ad un cartello stradale, il signor C. riuscì a fermarsi proprio davanti alla porta della sua casa di famiglia, che trovò sommersa per metà.
Sporgendosi dalla finestra vide che il fango era penetrato dappertutto, in tutte le stanze, in ogni angolo della casa. Rimase così tutta la notte, aggrappato al palo del cartello, in attesa che il livello dell’acqua si abbassasse.
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fiumi , L'archintruso
Last modified: 23 Ottobre 2024