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Michele RodaWritten by: Città e Territorio

Chiare, fresche e dolci acque. Urbane

Chiare, fresche e dolci acque. Urbane

Pontili e trampolini, deck e sdraio: così le città imparano a nuotare (ma solo quelle dell’Europa del nord)

 

E se non fosse stato un fallimento? Le Olimpiadi di Parigi 2024, risultati sportivi a parte, saranno ricordate per tre cose: l’approccio light, la contestata cerimonia d’apertura e la Senna. Anne Hidalgo, la sindaca, ci aveva messo la faccia: «Lì gli atleti nuoteranno». Risultato raggiunto. Con enormi polemiche e non poche sbavature, ma anche con una suggestione non banale: avere fiumi balneabili – con relativi progetti: in parte infrastruttura, in parte arredo urbano – diventa sempre più l’ambizione delle città. Una visione che lega sport, natura, vivibilità e salute. In parte già opere realizzate (ancora non moltissime, soprattutto quelle capaci di declinare qualità architettonica), in parte movimento d’opinione.

Città nuotabili

Parigi – anche prima dei Giochi olimpici – sta sperimentando, ormai da alcuni anni, il programma Paris Plage: un uso temporaneo ricreativo del Bassin de la Villette, con una sequenza di piscine con acqua di fiume che ridefiniscono una piccola porzione di waterfront. Esperienza simile a quella che fa, dal 2001, Bruxelles con l’intervento temporaneo Pool is Cool.

Ma è un altro sindaco, Sadiq Khan, primo cittadino di Londra – una delle figure simbolo della sostenibilità urbana -, a definire un orizzonte che sembra una sfida non solo per la capitale britannica: «Entro il 2034 si potrà nuotare nel Tamigi», l’annuncio è di maggio 2024. La condizione per riuscirci? Interventi onerosi, in parte già avviati, sul sistema di collettamento e smaltimento delle fognature. «Sono cresciuto negli anni ’80 – ci spiega Chris Romer-Lee, direttore di Studio Octopi, fondatore di Thames Baths, organizzazione il cui scopo è proprio quello di ripristinarne la balneabilità -, al tempo imperava l’idea che il Tamigi fosse poco più di una fogna a cielo aperto. Undici anni fa venne lanciata una call per le sponde del fiume. Quando l’ho letta ero in vacanza a Zurigo e nuotavo allo Strandbad Tiefenbrunnen: io nell’acqua del lago, tutta la città intorno. Ho iniziato a chiedermi perché anche Londra non potesse avere strutture di questo tipo, fatte di piscine galleggianti. A metà del secolo scorso l’inquinamento delle acque aveva provocato una separazione radicale tra città e fiume. Adesso è il momento di costruire un orizzonte diverso».

Lo schema è simile in molte realtà: un gruppo di attivisti che lancia la questione, sperimentando modalità comunicative innovative e diffondendo consapevolezza, amministrazioni locali che – talvolta per convinzione, talaltra per opportunità – cavalcano il tema. Il monitoraggio della qualità delle acque è il primo passo. Succede a New York, sull’East River (progetto Plus Pool; nelle immagini qui sotto), Berlino (FlussBad), Boston (Swim Park), Sydney (Urban Plunge).

 

Ispirazioni nordiche

La diffusione del fenomeno consente di cogliere un movimento globale: «Nuotatori di tutto il mondo unitevi, e tuffatevi nel vostro fiume urbano», sembra il messaggio. Swimmable Cities è il punto di riferimento: propone progetti, ha scritto un decalogo, diffonde un manuale di buone pratiche. Matt Sykes, architetto del paesaggio australiano, è il coordinatore del comitato direttivo e da Melbourne, dove vive, ci racconta vocazione e ambizioni: «Il nostro lavoro si muove tra due questioni prioritarie: da una parte l’accessibilità, ovvero il rapporto tra la città e l’acqua, nella direzione di una ritrovata permeabilità tra il fatto urbano e quello naturale. La seconda questione è più culturale e chiama in causa il diritto di ciascuno a poter nuotare nelle acque di un fiume. Quei progetti che permettono di recuperare l’acqua come elemento in cui potersi immergere sono di fatto un modo per rinegoziare il contratto sociale che le nostre comunità hanno con la natura».

Anche Sykes parla d’ispirazioni europee. Dalla Svizzera, per esempio, dove nuotare nelle acque dell’Aare a Berna è una sorta di rito quotidiano, quasi ancestrale. «Le città europee, soprattutto quelle mediterranee, hanno progressivamente voltato le spalle ai loro fiumi. In parte perché ritenuti elementi di pericolo, in parte perché inquinati. Senza contare dove i fiumi scorrono ad una quota molto più bassa della città. I due livelli altimetrici, senza interagire, danno forma ad una sorta di segregazione verticale».

E allora, quasi in maniera paradossale considerato il clima, sono le città del nord a raccontare di ritrovate relazioni città-fiumi, offrendo anche piccole architetture che sfidano il limite tra acqua e terra, costruendo infrastrutture che sono anche forme totemiche.

Impossibile non citare Copenaghen. È infatti la Capitale dell’architettura 2023 ad offrire la più alta densità di luoghi per tuffi urbani, in acque che in realtà non sono dolci, essendo canali del vicino mare. Ma la sostanza non cambia. Moli, piscine, trampolini sono gli elementi puntuali di una geografia che si arricchisce di anno in anno. Con esiti architettonici assolutamente significativi: lontani dal mimetismo, scardinano la linearità delle coste inserendo silhouette inaspettate lungo il waterfront. Ormai storico l’Harbour Bath di Bjarke Ingels Group, aperto nel 2003 che proprio in questi mesi è oggetto di un ampliamento, pronto per l’inaugurazione nel 2025. Ma la sequenza di piccole aree dedicate al nuoto, centrali e periferiche, è ricca e diversificata. Unendo interventi minimi con altri ambiziosi. Proprio uno di questi, monumentale pure nel nome (Waterfront Culture Center), esprime anche il rischio legato ad alcuni programmi. Lo sfondo è la riqualificazione dell’area di Paper Island, disegnata da studio Cobe. Una parte era stata assegnata a Kengo Kuma; doveva essere una sorta di grande centro legato all’acqua, con vasche e piscine capaci di costruire la transizione verso la riva. Ma sotto le coperture iconiche in tronchi di cono, concluse nel 2024, di quell’idea resta poco. L’acqua c’è, ma solo nel canale.

 

Se un trampolino non basta

Un confine, sottile, tra la semplice attrezzatura per godere dell’acqua in città e un intervento radicale che modifica la relazione stessa tra urbano e naturale. Il panorama dei progetti più recenti restituisce tale dialettica. Portandoci sempre al nord per le esperienze più interessanti.

Un’articolazione di superficie e di elementi per il gioco è la nuova spiaggia attrezzata di Tartu, in Estonia, sul fiume Emajõe, progetto di KINO Maastikuarhitektid, del 2022. Ricomprende porzioni di fiume in cui si nuota in un’area delimitata da semplici passaggi in legno. Ad Oslo, invece, Trosten è la piccola sauna galleggiante, inaugurata nel 2024 su disegno dello Studio Herreros: una sorta di Teatro del mondo dedicato al benessere, con una sezione triangolare che offre quote diverse per gettarsi nelle acque del fiordo. Ancora più a nord, a Helsinki, nella zona di Hernesaari, dal 2016 fa bella mostra di sé un’altra sauna, disegnata da Avanto Design. Tutta in legno, ovviamente, definisce una forma irregolare, quasi scultorea, rinnovando la tradizione – in una zona fortemente urbanizzata – dei capanni per la sauna lungo le coste finlandesi. Completa il quadro scandinavo il progetto di Mareld per il Jubileum Park di Göteborg in Svezia: un insieme eterogeneo d’interventi che rigenera un’area di moli dismessa e culmina, di fianco alla piscina, con una sorta di torre-faro, contenente la sauna sopraelevata, con zampe esili che entrano in acqua. Un approccio più strutturale si trova invece in un progetto urbano in corso, a Rotterdam nel Rijnhaven Dock. Proprio la fascia tra acqua e terra sembra capace di definire il disegno urbanistico e architettonico, all’insegna d’integrazione e sovrapposizione.

 

Europa meridionale a secco

Questo viaggio offre poco dalle città del sud Europa con l’Italia grande assente in termini di esperienze architettoniche di qualità. Motivi diversi (acque urbane inquinate, poca propensione ad un loro uso sportivo, posizioni ideologiche e culturali spesso nemiche delle sperimentazioni progettuali e d’uso) offrono un panorama dove non si ritrovano nemmeno slanci iconici – e forse provocatori – come quello che X Atelier e Atelier Baum propongono per Lisbona: un passaggio pedonale stretto dalla costa che porta ad un’architettura galleggiante circolare; acqua all’interno e acqua all’esterno.

Immagine di copertina: Bjarke Ingels Group, Copenaghen Harbour Bath (courtesy Bjarke Ingels Group e Claus Logstrup)

Autore

  • Michele Roda

    Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale

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Last modified: 24 Ottobre 2024