Gli urbanisti si trovano di fronte a un bivio, tra miglioramento di modelli esistenti e radicali ripensamenti
Fondata nel 2000, Gehl è una società pionieristica di consulenza in Urban Strategy e Design con sede a Copenaghen. Con il suo lavoro intende promuovere città sostenibili e inclusive che migliorino la qualità della vita delle persone in tutto il mondo. Helle Søholt, CEO e founding partner, è ospite a Torino in occasione del festival Utopian Hours, in programma dal 18 al 20 ottobre, di cui la nostra testata è media partner.
Mentre mi preparo a parlare a Utopian Hours, mi ritrovo a riflettere sul percorso che noi stiamo seguendo come urbanisti. Stiamo davvero aprendo la strada a città future che rispettino sia la vita umana che il pianeta? Questa non è una domanda retorica, ma un tema che va affrontato con attenzione e urgenza, guardando alla realtà che stiamo costruendo.
In Gehl, la nostra missione è sempre stata chiara: immaginare città per le persone, mettendo al centro i loro bisogni, il loro benessere e la loro vita quotidiana. Dal nostro lavoro iniziale, osservando come le persone interagiscono con gli spazi pubblici, ci siamo concentrati sulla dimensione umana della pianificazione urbana, progettando ambienti che incoraggino la connessione, la vitalità e l’accessibilità. Ma oggi, mentre ci troviamo a un crocevia cruciale, dobbiamo chiederci se tutto questo sia sufficiente. Possiamo continuare a migliorare solo alcuni elementi dei sistemi urbani esistenti, o sono necessarie forme più radicali di collaborazione e compatibilità tra settori per affrontare le profonde sfide che le nostre città devono affrontare?
Sappiamo che le città hanno un ruolo centrale nell’emergenza climatica. Sono motori di opportunità ma anche di consumi, producono enormi quantità di emissioni, ma offrono anche soluzioni che potrebbero portarci verso un futuro più sostenibile. Tuttavia, la complessità della vita urbana moderna – con l’aumento delle disuguaglianze, il peggioramento della salute pubblica, gli effetti della pandemia – ci indicano un futuro che richiede molto di più di miglioramenti incrementali. Come urbanisti, dobbiamo affrontare una verità scomoda: i nostri sistemi urbani attuali, progettati per soddisfare i bisogni del passato, potrebbero non essere più adatti al futuro che vogliamo costruire.
L’esempio della mobilità
Si pensi alla crescente diffusione dei veicoli elettrici. A una prima analisi, questa transizione sembra un passo positivo, è in parte lo è: diminuisce l’inquinamento atmosferico e il rumore prodotti dai motori a combustione. I veicoli elettrici contribuiscono a mantenere più pulita l’aria, le strade più silenziose e riducono la dipendenza dai combustibili fossili. Non possiamo tuttavia ignorare che questo cambiamento perpetua ancora un ciclo familiare: investimenti in infrastrutture stradali, aumento della domanda di automobili private e, in molti casi, una riduzione della domanda di sistemi di trasporto pubblico. Questo modello, seppur migliorato, continua a sostenere forme urbane disperse e dipendenti dalle automobili, che minano gli sforzi per creare quartieri vivaci e percorribili a piedi e diminuisce il valore di molti spazi pubblici. I guadagni in termini di efficienza possono migliorare specifici dati numerici, ma non ci porteranno verso le città sostenibili di cui abbiamo bisogno perché non cambiano dipendenze culturali e strutturali più profonde che abbiamo sviluppato nel corso di decenni di priorità alla mobilità personale rispetto al trasporto collettivo. Se vogliamo davvero armonizzare la vita urbana con le richieste del pianeta, dobbiamo andare oltre. Dobbiamo reimmaginare i modi in cui ci muoviamo, consumiamo e interagiamo negli spazi urbani, promuovendo soluzioni che diano priorità al benessere collettivo e alla salute del pianeta rispetto alla percezione personale di comodità ed efficienza.
Ma quindi, com’è un approccio alla progettazione urbana in linea con il clima? Innanzitutto è un approccio che cambia radicalmente investimenti, esigenze, comportamenti e dipendenze. Immagina città in cui le scelte predefinite siano il trasporto pubblico e gli spostamenti a piedi o in bicicletta, in cui gli spazi pubblici siano abbondanti e progettati per l’interazione umana, costruiti su economie locali che riducono la necessità di viaggi a lunga distanza. Il cambiamento che ne conseguirebbe creerebbe un nuovo ciclo di azioni positive: maggiori investimenti in infrastrutture sociali, minore dipendenza dal trasporto privato e un maggiore senso di responsabilità condivisa per l’ambiente urbano. Facendo questo, supereremo il “cosa è sufficiente” e ci concentreremmo invece su sistemi urbani che diano risposte autonome in modi intrinsecamente ed ecologicamente equilibrati.
Questa è la sfida che ci poniamo in Gehl, mentre cerchiamo di evolvere il nostro approccio incentrato sulle persone in un approccio che s’impegni più profondamente contro la crisi climatica. Il nostro lavoro è sempre stato orientato alla costruzione di città che siano in grado di assolvere ai bisogni delle persone che ci vivono. Ora, dobbiamo assicurarci che questi bisogni siano equilibrati con le risorse, non infinite, del nostro pianeta.
Per Ghel il ritorno in Italia a parlare di questi temi è una sorta di ritorno alle origini. Perché l’Italia, sui gradini di piazza della Signoria a Siena, è il luogo in cui il co-fondatore Jan Gehl ha condotto le sue prime ricerche incentrate sulle persone. E qui guardiamo di nuovo al futuro, immaginando come sia possibile reinventare la vita nelle città affinché non solo ci dia sostegno, ma ci permetta di rifiorire rispettando il nostro pianeta.
Immagine copertina: Market Street a San Francisco, California (© Diane Bentley Raymond)
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automobili , compatibilità ambientale , infrastrutture , spazio pubblico , urbanistica
Last modified: 15 Ottobre 2024