L’edizione 2024 ha celebrato il design d’autore con 100 espositori, gli under 30, un focus sugli indipendenti, mostre e la scenografia mozzafiato di Kengo Kuma
NAPOLI. L’edizione 2024 di Edit conferma ancora una volta la vocazione per il design d’autore, celebrando la produzione editoriale ma abbracciando anche i grandi brand che – e non si tratta di eccezioni – preferiscono presenziare gli eventi contenuti, circoscritti, piuttosto che le grandi fiere mainstream.
Dall’11 al 13 ottobre Napoli è tornata a essere un polo di sperimentazione e dialogo internazionale, accogliendo designer emergenti e affermati da tutto il mondo. Cento espositori, un programma di mostre monografiche e un focus particolare su designer indipendenti, in cui lavorazioni artigianali convivono con la produzione in serie.
A cura di Domitilla Dardi ed Emilia Petruccelli, la tre giorni partenopea ha messo in mostra una selezione di progetti di grande livello e, edizione dopo edizione, vede crescere le sue coordinate. Nei numeri, senza dubbio, ma, soprattutto, nella qualità e originalità della produzione; nelle sinergie fra designer artigiani e aziende; nella consapevolezza matura di quanto il mercato offre e richiede; nella rilevanza, infine, del design come metodo e pratica per acquisire una visione significativa del contemporaneo.
«Di solito – spiega Dardi – si considera la fiera come il luogo della concretezza commerciale, mentre la mostra è considerata il posto della bellezza e dell’estetica; quello che abbiamo dimostrato con Edit Napoli è che si possono fare le due cose insieme e realizzare una fiera che è allo stesso tempo evento culturale e circuito commerciale». «Abbiamo voluto fin dall’inizio – prosegue Petruccelli – che la rassegna avesse finalità culturale così come commerciale, e oggi siamo molto soddisfatti. Gli espositori tornano perché trovano un terreno fertile proprio dal punto di vista del business; allo stesso modo tornano i tanti buyer, che hanno l’esigenza d’individuare degli editori e qui trovano prodotti realizzati e immediatamente commercializzabili invece di prototipi».
L’esposizione
Anche quest’anno abbiamo trovato una manifestazione diffusa, che ha avuto il suo cuore nell’Archivio di Stato, dove si è svolta la fiera, ma che ha regalato anche l’emozione e il privilegio di accostarsi ad alcuni tesori della città normalmente inaccessibili.
Tra gli allestimenti e gli accostamenti notevoli, magistralmente raccontati attraverso gli scatti di Francesco Marano e Eller Studio, uno su tutti: all’interno della sala catasti dell’Archivio, la libreria modulare autoportante “Dedalo”, disegnata da Alessandro Guerriero e Licio Tamborrino per Officine Tamborrino, ha dialogato con le scaffalature del XVII secolo.
La selezione dei designer under 30 e delle realtà costituite da non più di tre anni ha ricevuto, come nelle edizioni precedenti della kermesse, particolare attenzione con la sezione “Seminario”, dove quest’anno era presente un’importante rappresentanza spagnola, grazie al bando España Diseño Mediterráneo, realizzato in collaborazione con l’Instituto Cervantes de Nápoles e il designer Tomás Alía, che ha curato la selezione di cinque giovani talenti.
Edit Cult: opera impalpabile e monumentale fatta di onde e di luce
Dagli archivi di Cassina al coup de théâtre di Kuma, passando per la forza espressiva del legno composto di Alpi, sono andati in scena alcuni dei marchi e delle firme che continuano a scrivere la storia del design.
Una su tutte Cassina, azienda icona del progetto italiano, che quest’anno ha portato al pubblico i suoi archivi. Il Teatro di corte del Palazzo reale è stato il palcoscenico per ricordare Charles Rennie Mackintosh e rendere omaggio alla ricerca sugli arredi dell’architetto e artista scozzese condotta dai primi anni settanta da Filippo Alison, progettista e studioso napoletano, storico curatore della Collezione Cassina “i Maestri”.
Ma se c’è un momento in questa edizione di Edit che ha rubato l’attenzione, lasciando i giornalisti senza parole durante l’anteprima stampa, è stato senza dubbio l’ingresso al Teatro San Carlo, dove l’installazione “Shiwa Shiwa” firmata da Kengo Kuma per Alcantara con la direzione delle luci di Filippo Cannata, è stata concepita quale scenografia per il Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi in forma di concerto. I grandi teli traforati sono un diaframma leggerissimo, con i quali Kuma ha saputo interpretare lo spazio imponente del teatro attraverso un progetto magniloquente e poetico al contempo, un’opera impalpabile e monumentale fatta di onde e di luce, che combina capacità visionaria e sensibilità scenica, creando un dialogo tra patrimonio storico ed estetica contemporanea. Un’installazione, delicata e potente, che invitava a riflettere sull’interazione tra architettura e natura e al confronto tra tradizione giapponese e cultura mediterranea.
Immagine copertina: Teatro San Carlo, Kengo Kuma per Alcantara, EDIT Napoli 2024 (© Eller Studio)
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Last modified: 16 Ottobre 2024