Con il programma Pearling Path, l’antica capitale del Bahrein si rinnova affidandosi a noti nomi internazionali, valorizzando tuttavia il patrimonio storico. Un atteggiamento diverso rispetto agli altri casi del Golfo Arabo
BAHRAIN. In lingua araba, baḥrayn è la forma duale del sostantivo arabo baḥr (“mare”), da cui il significato di al-Baḥrayn, “Regno dei due mari”. È infatti il mare ad essere sempre stato il vero protagonista di questo paese, non la sua terra. È il mare ad essere puntellato di sorgenti di acqua dolce sotterranea che per millenni hanno alimentato la terra mescolandosi con l’acqua salata, creando le condizioni ideali per allevare la perla perfetta. È sempre il mare ad aver reso possibile lo sviluppo del commercio delle perle che ha poi plasmato l’identità della nazione e del suo popolo.
L’eredità delle perle e il declino di un’arte millenaria
Lo stato del Bahrain, il più piccolo del Golfo Arabo, è un arcipelago composto da 33 isole, delle quali molte disabitate e la cui importanza non è stata solo economica in quanto sede di pozzi petroliferi, ma anche strategica, tanto da essere per molti anni un protettorato inglese. La città di Muharraq è stata capitale del Bahrain dal 1810 al 1923, gli anni d’oro dell’economia delle perle. Lì si trovava il più alto numero di pescatori, la più grande e maestosa flotta di barche e quasi tutte le professioni esistevano in funzione di quel commercio, così antico e prosperoso da interessare trasversalmente l’intera comunità. Per millenni le perle e gli scambi commerciali ad esse associati hanno plasmato l’economia e la cultura della società di quelle isole, a dimostrazione delle connessioni trans regionali che esistevano nel Golfo prima della scoperta del petrolio.
Il declino dell’industria delle perle ha inizio negli anni ‘30, come risultato di cambiamenti economici legati alla duplice scoperta di petrolio e riserve di gas ma anche per l’arrivo, dal Giappone, delle prime perle coltivate. Quell’attività, che per millenni aveva portato prosperità, coesione sociale e identità, si conclude definitivamente.
Il ruolo della capitale Muharraq diminuisce mentre si espande quello di Manama, che diventa in breve tempo la nuova capitale, moderna e attraente, affermandosi come uno dei principali centri finanziari del Medio Oriente. Nonostante l’inevitabile declino, le tracce del patrimonio legate alla memoria delle perle rimangono radicate nell’identità culturale della comunità.
Contrariamente a paesi vicini come il Qatar o gli Emirati Arabi, in cui la maggior parte degli edifici erano realizzati in barasti (costruzioni temporanee in legno e fibre di palma), Muharraq, nel corso del tempo, è stata interamente costruita in pietra corallina, il faroush, dalla struttura porosa, dalle tonalità neutre e dal sapore marino, vista l’elevata presenza di coralli al suo interno. Si deve all’uso di questo materiale il maggiore grado di conservazione degli edifici, così caratterizzante da attrarre le iniziative di salvaguardia e valorizzazione del governo bahreinita.
Pearling Path: restauri per il Patrimonio UNESCO
Nel 2002 Shaikha Mai bint Mohammed Al-Khalifa, presidentessa del Bahrain Authority for Culture and Antiquities (BACA), inaugura il primo grande restauro della vecchia capitale. Iniziato come recupero di un numero ristretto di edifici, ben presto il progetto si evolve in un complesso programma denominato Pearling Path, che coinvolge progettisti, ricercatori, partner pubblici e privati.
Nel 2012, diciassette edifici restaurati, tra cui tre allevamenti di ostriche ed il Forte di Bu Maher, tutti componenti del Pearling Path, vengono riconosciuti come Patrimonio mondiale UNESCO in quanto eccezionale testimonianza storica di come l’interazione con l’ambiente abbia modellato il sistema sociale, architettonico e urbanistico. Il Pearling Path incarna un progetto di rigenerazione urbana, articolato in un percorso di 3,5 km lungo i principali punti di riferimento architettonici legati alla memoria economica della capitale, ma aspira anche ad attrarre gli abitanti locali, introducendo nuovi spazi per la comunità, recuperando i vecchi edifici e costruendone di nuovi nel rispetto dell’esistente.
L’iniziativa diventa il trampolino di lancio per un sistematico recupero dell’antico tessuto, accogliendo al suo interno anche nuove ed accurate inserzioni urbane, veri e propri interventi di agopuntura ad opera di nomi di rilievo internazionale, tra cui Anne Holtrop, Christian Kerez, Office KGDVS e Valerio Olgiati.
Un’architettura controcorrente
L’imminente completamento dei parcheggi di Kerez offre l’opportunità di esaminare gli altri interventi del Pearling Path, spesso descritti erroneamente come progetti isolati. In realtà, questi operano in sinergia, integrandosi profondamente con il tessuto storico come parte di un collage incrementale, offrendo una personale lettura del contesto ma muovendosi controcorrente rispetto alla maggior parte degli approcci di riqualificazione che hanno finora caratterizzato gran parte del Medio Oriente. Nel loro insieme, infatti, possono essere considerati come esempi sia di una sensibilità tesa alla valorizzazione e alla riattivazione del tessuto edilizio esistente della città (approccio assolutamente non comune alla regione), sia di una modalità di fare architettura in Medio Oriente che appartiene sempre meno alla narrativa mainstream dello sviluppo edilizio che sta investendo l’area (ad esempio i grandi progetti della Saudi Vision 2030 come Neom, Qiddiya, Read Sea Project, di cui abbiamo parlato qui) poiché basato sulla sensibile reinterpretazione delle componenti vernacolari.
Il percorso in alcuni esempi
Il percorso del Pearling Path inizia dal Forte di Bu Maher sulla punta meridionale dell’isola di Muharraq, storico punto di partenza per i pescatori di perle. Accanto c’è il Visitor Centre di PAD Architects, un edificio moderno rivestito della morbidezza tipica della pietra corallina. Il ponte pedonale di Office KGDVS, una struttura leggera e snella sospesa su travi di cemento a sbalzo, permette poi di attraversare in quota la grande arteria stradale che divide la vecchia capitale dal suo mare, per ridiscendere ai bordi del tessuto storico. A questo punto i visitatori vengono guidati da un sito all’altro del Pearling Path da lampioni di cemento lucido e perlescente che illuminano il percorso.
Sempre ad opera dello studio belga Office KGDVS sono anche le diciotto piccole piazze pubbliche realizzate a partire da vecchi lotti dismessi ed ora convertiti in ambienti simili ad oasi con panchine, pozzi, ombra e pavimentate integrando frammenti di madreperla iridescente. Proseguendo, si incontra il Centre for Traditional Music sempre di KGDVS, un edificio enigmatico, ibrido e surreale nella sua apparizione, una reinterpretazione della tradizionale Majlis (“luogo dove ci si siede”), uno spazio pubblico su più livelli avvolto in una maglia metallica che lo ripara dal sole lasciando comunque filtrare la brezza. I lampioni perlacei conducono poi alle strutture amorfe dello svizzero Christian Kerez, nuovi paesaggi artificiali dalla forma libera e dalla struttura aperta ed ampia, destinate ad ospitare i nuovi parcheggi nei quattro angoli strategici per la futura mobilità della vecchia capitale.
Appare poi il Pearling Path Visitor and Experience Centre di Valerio Olgiati, dominato da un’imponente copertura in calcestruzzo pigmentato a protezione di alcune rovine. Un tetto, un gesto orizzontale arcaico ma ad una scala completamente inusuale per la vecchia città. La reinterpretazione delle badgir, le tradizionali torri del vento, rompono l’orizzonte confondendosi con gli antichi minareti.
Si arriva infine al Suq al Qayssareyah di Anne Holtrop, un progetto quasi monomaterico e dall’alto grado di sperimentazione tesa a reinterpretare la tradizionale pietra corallina con un gesto materiale in cui i pannelli di facciata sono realizzati in calcestruzzo gettato nello scavo del sito stesso.
Modernità e memoria
Questi interventi, emblematici di un approccio tutto europeo e di una moderna generazione di architetti operanti in Medio Oriente, si allontanano dall’accettazione indiscussa di soluzioni high-tech e prendono invece le mosse da un ambiente costruito che rappresenta le radici culturali e costruttive di una nazione, ricucendo così il passato e la memoria di una città e interpretandone l’identità culturale.
Mentre numerosi paesi vicini optano per l’opulenza e la fascinazione per progetti di grande scala e impatto, il Bahrein sta invece assumendo un’immagine di effettiva modernità dimostrando di muoversi controcorrente, con una strategia diametralmente distante e volta ad uno sviluppo consapevole. Il Pearling Path in particolare, ricorda che l’istituzionalizzazione, applicata ad una visione a lungo termine ed alla costruzione di capacità locali, sono tutte chiavi per raggiungere un impatto sostenibile e risvegliare l’orgoglio di un’intera comunità.
Immagine copertina: Uno dei quattro parcheggi pubblici progettati da Christian Kerez a Muharraq, Bahrein (© Christian Kerez e © Maxime Delvaux)
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Medio Oriente , patrimonio , restauro , rigenerazione urbana , ritratti di città , spazio pubblico
Last modified: 2 Settembre 2024