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Federico MarcominiWritten by: Città e Territorio

Tra cemento e boschi: la TAV a Vicenza e i suoi malcontenti

Il passaggio dell’alta velocità nel capoluogo veneto suscita controversie per impatti ambientali e sociali, con un ricorso di Italia Nostra al TAR

 

VICENZA. Poche grandi opere in Italia riflettono le problematiche di questo tipo di cantieri quanto la TAV, nel cui alveo rientra anche Vicenza. Pur trattandosi di un contesto per certi versi marginale, quella della città veneta viene definita da Wu Ming 1 in Un viaggio che non promettiamo breve. Venticinque anni di lotte No Tav (Einaudi, 2016, pp. 664, euro 21), «una delle storie più emblematiche» del progetto.

L’Alta velocità/alta capacità, che si aggiungerà ad altre linee simili già transitanti a Vicenza, consentirà a chi potrà permettersi un biglietto AV di percorrere la tratta Padova-Verona risparmiando un tempo che Wu Ming 1 stimava in “cinque minuti”. Il prezzo da pagare, specie in termini ambientali e sanitari, è però elevato. A ciò si deve il ricorso presentato da Italia Nostra al TAR del Lazio il 17 luglio scorso, su cui il tribunale si dovrà esprimere. Il ricorso si riferisce ad alcuni risvolti recenti, ma il dibattito è almeno decennale.

 

Tutto cominciò 10 anni fa…

Nel dicembre 2014 – dopo il Protocollo d’intesa firmato con Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Regione Veneto, Comune e Camera di Commercio – la Rete Ferroviaria Italiana ha consegnato lo studio di fattibilità della nuova linea, affidando la gestione al consorzio Iricav Due. Lo studio, approvato il 13 gennaio 2015, fu subito diffidato da Civiltà del Verde, Italia Nostra e Legambiente. Perplessità erano già state sollevate da osservatori internazionali come il «Guardian», che il 9 gennaio pubblicava un articolo sui rischi dell’operazione.

Si prevedeva di dismettere la stazione storica e inaugurare la nuova “Vicenza Fiera”, assieme ad opere complementari come un’altra stazione a Borgo Berga e un tunnel sotto Monte Berico, vicino a Villa Valmarana, affrescata dai Tiepolo, e all’iconica Rotonda di Palladio: piani accantonati entro l’estate 2015.

Il 27 ottobre 2015, un addendum al Protocollo stabilì l’articolazione del progetto in tre lotti: Montebello-Vicenza, attraversamento della città, e Vicenza-Grisignano. Il secondo è il più breve: 6,2 km, per un costo previsto di due miliardi, la demolizione di 35 edifici e la ricollocazione di 200 famiglie. 

Si apriranno 16 cantieri che saranno attivi anche di notte per almeno 9 anni, aumentando esponenzialmente il traffico di mezzi pesanti. Inoltre, un cantiere TAV necessita di circa 360.000 litri d’acqua al giorno, la cui provenienza non è stata chiarita. Quella dei fiumi Bacchiglione e Retrone, secondo Legambiente, pullula di batteri e PFAS, che si diffondono nell’atmosfera a seguito della nebulizzazione (a cui andranno sommati i PFAS già presenti negli additivi del calcestruzzo). 

 

Il ricorso di Italia Nostra per la “liberazione” dei boschi

Parte dai lavori nel quartiere dei ferrovieri (dalle vicine Officine grandi riparazioni di FS): una Vicenza operaia dove non è arrivato l’ascendente di Palladio ma quello della Lanerossi, che nel 1925 ha aperto qui una fabbrica, abbellita da un parco con alberi “esotici”. Dalla chiusura nel 1994 le piante si sono riappropriate dello spazio, tessendo nuove radici sopra il cemento assieme alla vegetazione spontanea e invadendo la fabbrica, ridotta a suggestiva quinta architettonica: un bosco rigoglioso dalla biodiversità unica, che ha favorito una fauna atipica per un centro urbanizzato come tassi e caprioli.

Anche in abbandono, il bosco ha fornito servizi impareggiabili al quartiere. Secondo la relazione dell’agronomo Daniele Zanzi, i soli alberi “maturi” permettono di produrre 3,32 tonnellate di ossigeno all’anno, rimuovendo 32,3 kg di polveri sottili. Assieme al vicino bosco spontaneo di via Ca’ Alte, le aree hanno drenato l’acqua delle ricorrenti alluvioni ed esondazioni, oltre a offrire palpabile refrigerio. 

Entrambi i boschi diventeranno cantieri per costruire la linea, sacrificando 11.000 mq di verde nel sito Lanerossi e 14.000 mq a Ca’ Alte. I progetti, approvati il 15 dicembre 2021, illustrano le trasformazioni delle aree. Per il cantiere Lanerossi si prevede la cementificazione dell’area boschiva (senza intaccare la fabbrica); la maggior parte dello spazio è adibita a funzioni di stoccaggio, ma viene inclusa un’impercettibile “area verde” a cingere la centrale elettrica. A Ca’ Alte s’installerà un grande impianto di betonaggio, anche qui con depositi e la solita “area verde” nella centrale elettrica. 

Nel presentare ricorso, Italia Nostra ha dato voce alla “Assemblea del bosco”, cui fanno capo comitati e associazioni ambientaliste da Fridays for Future a Legambiente, oltre ai centri sociali Bocciodromo e Caracol-Olol Jackson. Un’identificazione politica sarebbe però imprecisa: attiviste e attivisti provengono anche da parrocchie e movimenti religiosi, uniti nella stessa lotta di centri sociali e associazioni.

A maggio 2024, avvio previsto del disboscamento, le aree sono state “liberate” dall’Assemblea, secondo cui il lessico dell’occupazione non si confà ad un’azione di questo tipo. In due settimane i boschi sono stati ripuliti e si sono tracciati i sentieri. Oggi, il bosco Ca’ Alte ha un’arnia per api, un orto e un sistema di raccolta dell’acqua piovana. Agli alberi del bosco Lanerossi sono stati appesi cartelli identificativi da Civiltà del Verde, che ha aiutato a conferire al grande Liquidambar styraciflua, emblema della causa, lo status di “albero monumentale” e le relative tutele. Architetture spontanee in materiale di recupero puntellano le aree: torri, camminamenti e soprattutto “casette”, piattaforme sospese tra i rami dove permanere per bloccare l’abbattimento degli alberi, che si vogliono rendere accessibili anche a persone disabili. 

Indagando i problemi del progetto negli atti, l’Assemblea ha verificato che l’autorizzazione al disboscamento è stata concessa sebbene l’incaricato ammettesse di aver svolto la valutazione dall’esterno. “Nessuno è contro il treno”, si precisa, ma si richiede un progetto consapevole ed ecologico – e non di greenwashing, come si rimprovera alle istituzioni – che sappia ottimizzare le risorse già a disposizione per ridurre al minimo l’impatto sull’ambiente e la città.

 

Cosa augurarsi?

Pochi osano fantasticare sul futuro dei boschi se la TAV sparisse dall’agenda. Daniele Zovi, esperto di scienze forestali, ha suggerito di destinare l’eccezionalità del bosco Lanerossi alla ricerca universitaria. Intanto, l’esito del ricorso al TAR segnerà la prossima tappa del percorso, a cui seguirà l’edizione 2024 del Climate Camping, importante raduno internazionale di gruppi ambientalisti, in programma qui a settembre. Difficile prevedere i prossimi risvolti del cantiere: l’attività dell’Assemblea del bosco dimostra che è possibile superare divari ideologici e ottenere risultati concreti in tempi brevissimi, se motivati da un obiettivo condiviso. L’esito della vicenda, a cui sembra per ora difficile immaginare un lieto fine, è comunque ancora da scrivere.

Immagine copertina: Bosco Ca’ Alte: impianto di irrigazione, strutture di protezione e orto collettivo, © Federico Marcomini

Vicenza e l’impatto delle grandi opere

Nel suo “Ritratto” di Vicenza (da noi pubblicato nel 2017), l’urbanista Francesca Leder esponeva le problematiche relative alle grandi opere avvicendatesi in città negli ultimi decenni. Il sito web dell’Osservatorio Urbano Territoriale (OUT), seppur inattivo dal 2021, consente di ricostruire le problematiche e i dibattiti in merito non solo alla TAV, ma anche alle altre opere pubbliche impattanti, come il quartiere Borgo Berga e l’autostrada Pedemontana. Nel sito anche la petizione per la revoca della certificazione Unesco, dovuta principalmente alla costruzione della base militare statunitense Dal Molin-Del Di (completata nonostante gli storici movimenti di protesta), ma legata anche al cantiere TAV. Sulla questione si è tornati nel secondo numero del 2024 del giornale locale «Quaderni Vicentini». Il sito web del bosco Lanerossi, gestito dal centro sociale Bocciodromo, compendia gli articoli che vengono pubblicati sulla vicenda, offrendo diversi approfondimenti. Inoltre, è possibile visionare le attività dell’Assemblea del bosco e la petizione contro il disboscamento. 

Autore

  • Federico Marcomini

    Dopo la laurea magistrale in Storia dell’arte all’Università di Firenze, svolge il dottorato di ricerca presso il Dipartimento di architettura dello stesso ateneo, con una tesi dedicata ad Astana, capitale del Kazakistan. Si è interessato dell’eredità del linguaggio classico nell’architettura ipercontemporanea degli ex paesi socialisti, presentando le sue ricerche in pubblicazioni scientifiche e convegni internazionali. Collabora con l’Università La Sapienza di Roma, ed è assistente alla ricerca presso il Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio di Vicenza

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Last modified: 24 Luglio 2024