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Michele RodaWritten by: Reviews

Invisibile e invisibili, quello che le città nascondono

Raccontare i fatti urbani che non si vedono. Con un approccio che sembra un paradosso, due libri tratteggiano dimensioni inaspettate

 

Il primo è un volume che ha l’ambizione d’indicare una direzione di studio e di riflessione alta: gli Annali della Fondazione Feltrinelli, una sorta di think tank culturale della sinistra. Quello 2023 è il numero 57, affidato (i curatori cambiano ad ogni edizione) ad Alessandro Balducci, urbanista milanese, professore al Politecnico. Il titolo scelto (La città invisibile. Quello che non vediamo sta cambiando le metropoli, a cura di Alessandro Balducci, Feltrinelli, 2023, 384 pagine, 50 €) integra i temi: le città stanno cambiando e spesso questi agenti di cambiamento sono fenomeni politici e sociali – prima ancora che spaziali – che avvengono prevalentemente sottotraccia. La trattazione è corale (18 autori, molto Politecnico, altrettanta integrazione disciplinare).

Ugualmente molto politico, ma con un taglio decisamente più personale e soggettivo nello svolgimento, è il saggio di Francesco Chiodelli Cemento armato. La politica dell’illegalità nelle città italiane (Bollati Boringhieri, 2023, 192 pagine, 14 €). Diretto, duro – urticante in certi passaggi – è un racconto dell’urbanità italiana attraverso le lenti dell’abusivismo, dell’illegalità, della corruzione.

 

Tutto inizia con Calvino

Sembra impossibile (soprattutto nel 2023, anno del centenario della nascita) non parlare di città e invisibilità senza partire da Italo Calvino. E infatti la citazione dalla presentazione de Le città invisibili fa bella mostra di sé nell’introduzione al volume, in cui Balducci presenta lo sguardo (“Le città stanno cambiando rapidamente e profondamente, e la nostra capacità di comprensione è limitata dall’estrema complessità delle molteplici interazioni degli elementi in gioco. Alcuni evidenti e visibili, altri più nascosti e invisibili”) e il campo di osservazione ([…] un insieme estremamente intricato di reti di connessione e di soggetti umani e non umani che prendono decisioni interdipendenti, tenendo in un equilibrio sempre precario un sistema a crescente complessità. È questa la vera natura delle città e non solo dobbiamo sforzarci di guardarle e interpretarle per quello che effettivamente sono, ma dobbiamo ancora scavare nelle dimensioni poco visibili, perché questo modo di guardare e interpretare i sistemi urbani può essere utile anche per interpretare ciò che sta accadendo alla società più in generale). L’esito è un percorso – molto accademico nel suo svolgimento, supportato da ricche bibliografie – articolato in 4 sezioni tematiche, volte (attraverso saggi in numero variabile per le diverse parti) ad approfondire fenomeni invisibili capaci di trasformare le città: clima e salute, digitalizzazione, popolazioni e comunità, spazio urbano e governance. Eterogeneo per scelta, i temi si sovrappongono, spesso in modo poco coerente ed armonico. Ma è proprio nel suo accostamento che emergono spunti utili a comprendere processi e dinamiche della città contemporanea. Come nel testo di Giovanni Azzone che racconta come la digitalizzazione (in parte descritta anche da Mara Ferreri nei suoi risvolti di piattaformizzazione dello spazio pubblico) abbia anche impatti fisici, a partire dalla chiusura delle edicole e degli sportelli bancari, presidi comunitari che spariscono. Con effetti negativi soprattutto per le categorie più fragili della popolazione. Le descrivono Flavia Martinelli e Costanzo Ranci: “Sono questi anziani fragili, non ancora disabili, i veri invisibili. Quelli che più facilmente sfuggono alle misurazioni, all’occhio degli urbanisti e degli scienziati sociali, all’attenzione dei policy maker”. Ne sono un esempio quelle comunità nascoste che abitano i luoghi urbani senza esserne i protagonisti: “Le invisibilità, intenzionali o meno, sono spesso alla base delle diseguaglianze sociali – argomenta Pierre Filion. Rivelare l’invisibile può anche svelare dinamiche che, pur essendo ancora in fase embrionale, hanno il potenziale per trasformare il futuro”.

 

Italia 2024, una denuncia sociale

Non di futuro, ma di passato (prossimo) e di presente parla invece Chiodelli. Già le diverse possibili interpretazioni del titolo (Cemento armato, e non è un saggio di tecnologia applicata all’architettura) denunciano il punto di vista. Scriverlo – per l’autore (docente di geografia economica e politica all’Università di Torino, qui i suoi articoli) – è, spiega, un dovere morale ed etico. Meno approfondimento accademico, più reportage giornalistico, restituisce un quadro a tratti disarmante, con una forte critica alle classi dirigenti che si basa su “storie per lo più marginali, periferiche, irrilevanti nel quadro dei grandi avvenimenti che compongono la storia dell’Italia contemporanea”. I quattro capitoli dopo l’introduzione aggettivano già queste forme di città invisibile: sono le Città abusive (dove si parla anche di condoni, con numeri e dati), le Città occupate (con una serie di argomentazioni che contestualizzano e giustificano il fenomeno delle occupazioni delle abitazioni sfitte), le Città informali, le Città corrotte (con un approfondito racconto dell’emblematica vicenda dello stadio, mai costruito, della Roma), le Città criminali. Nelle conclusioni l’autore ci porta all’Aquila, tra le contraddittorie e poco fortunate politiche della ricostruzione post-sisma, a enfatizzare il circolo vizioso tra illegalità e fragilità del territorio: “Questa forma è quella di una precisa ‘politica dell’illegalità urbana’, che da decenni calca la scena italiana, mobilitata alla bisogna, con grande efficacia, dalla maggioranza di turno”.

 

Rendere visibile l’invisibile. E poi?

Il libro di Chiodelli non ha immagini, ad eccezione di quella di copertina. L’Annale di Fondazione Feltrinelli anche, ma presenta, alla conclusione dei saggi, una selezione di trenta fotografie di Giovanni Hänninen scelte come emblema del “Fotografare l’invisibile”. Perché il senso di queste due pubblicazioni si gioca proprio sullo scarto tra lettura e progetto, sulle “difficoltà persistenti nel trasformare l’invisibile in visibile e l’inaudibile in udibile, in particolare a partire dall’elaborazione di nuovi immaginari spaziali tesi al rinnovamento delle politiche e della governance”, come scrive Valeria Fedeli. Non visibile è ciò che non vuole essere visto, secondo Chiodelli, il quale conclude il suo libro dicendo: “Purtroppo, mi pare che in Italia non si sia ancora giunti a riconoscere che l’illegalità urbana è un problema significativo, anche a causa della nefasta politica che lo caratterizza”. Il rendere manifesti fenomeni e comunità invisibili è invece una questione di scelte per Agostino Petrillo: “L’invisibilità ha infatti molte cause: può essere voluta, il risultato di scelte, il prodotto di una trascuratezza colpevole, ma anche un effetto collaterale di quanto avviene in altri contesti, così come il frutto di una disattenzione che può essere anche sottile e quasi involontaria”. Passa proprio da questa ritrovata consapevolezza la dimensione alternativa di una città più giusta. Come suggerisce Pierre Filion: “Relegare parti della realtà nel regno dell’invisibile può compromettere le possibilità che abbiamo di capire cosa ci riserva il futuro. Non è raro che le forze della trasformazione sociale prendano slancio nell’invisibilità e poi diventino fattori di cambiamento. Fare emergere fette d’invisibile non è solo una questione di equità sociale: investigare l’invisibile aumenta le nostre capacità di previsione. Un beneficio che somiglia a quello associato, a livello personale, alla psicoanalisi”. Resta sullo sfondo l’esito di questo processo di scavo, le modalità attraverso le quali l’invisibile diventato visibile possa essere effettivamente materia di progetto, componente del fare architettura, elemento della città. La conclusione di Balducci, per ora, è un auspicio: “Avendo scavato nelle dimensioni opache e poco visibili delle città potremo, forse, trovare elementi per costruire progetti e politiche capaci di renderle più inclusive, abitabili e accoglienti per tutti”.

Autore

  • Michele Roda

    Nato nel 1978, vive e lavora a Como di cui apprezza la qualità del paesaggio, la tradizione del Moderno (anche quella svizzera, appena al di là di uno strano confine che resiste) e, soprattutto, la locale squadra di calcio (ma solo perché gioca le partite in uno stadio-capolavoro all’architettura novecentesca). Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano (dove si è laureato in Architettura nel 2003), confrontandosi soprattutto con studenti internazionali. Così ha dovuto imparare (un po’) l’inglese, cosa che si rivela utilissima nei viaggi che fa, insieme anche alla figlia Matilde, alla ricerca delle mille dimensioni del nostro piccolo mondo globale

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Last modified: 17 Luglio 2024