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Luca GibelloWritten by: Forum

L’archiviaggio. Stoccolma, spazio al pubblico

Itinerario minimo dell’ultimo secolo (abbondante) nella capitale svedese (e dintorni): dal romanticismo nordico a oggi, tra must e scoperte

 

«Sulle strade che vanno a Stoccolma non c’è buche né fango né melma», cantava il compianto Rino Gaetano. Fuor di metafora, la capitale svedese si apprezza anzitutto per la rilevanza in cui è tenuto, per quantità e qualità, lo spazio pubblico. Sarà forse un caso che ci troviamo in uno dei paesi europei col miglior welfare?

Il design urbano, curato ma mai lezioso, è talvolta persino scarno (d’altronde, l’Ikea nasce qui). In una città, caratterizzata dal rapporto con l’acqua (e con la natura), è chiaro l’obiettivo d’espandere slarghi e percorsi con balconate in aggetto sulla stessa, per offrire ulteriore respiro alla vita pubblica, brulicante nonostante le basse temperature che, almeno durante la nostra permanenza, in occasione del Midsummer, sembravano fortunatamente non risentire del cambiamento climatico. Bello vedere le numerose famiglie con copiosa prole al seguito (vedi sopra alla voce welfare) passeggiare, pedalare, rilassarsi o giocare en plein air, magari nei parchi o in playground benedetti dal Dio del progetto e privi di recinti. Nessuna barriera o protezione neppure alle piste ciclabili: le auto sono ospiti in una scena che è appannaggio di pedoni e ciclisti.

 

In città, quasi tutti imperdibili

Fissata l’imprescindibile cornice, per l’architettura non si può non partire dal Municipio (1911-23) di Ragnar Östberg, che porta bene il secolo di vita appena compiuto e che, nella sua monumentale eloquenza, è davvero il “libro di pietra” della civitas, giocato sul serrato dialogo tra il cortile, la corte interna – coperta sul modello della piazza all’italiana – e i due grandi saloni a tema. In quanto sede del ricevimento dei premi Nobel, per i buongustai è d’obbligo cenare nell’annessa cantina underground, dove invero le atmosfere neomedievali si fanno un po’ più grevi, ordinando il menù servito al banchetto dell’anno precedente.

Un salto sulla sua poderosa torre per uno sguardo panottico sulla città e poi via verso il grande cantiere di Slussen, che si para all’orizzonte e sta ormai prendendo forma, su masterplan di Foster & Partners. Ci siamo già occupati di questa piastra multilivello che trova pretesto in una ragione infrastrutturale – una nuova chiusa tra lago Mälaren e mar Baltico – per farsi piazza pubblica sull’acqua e fulcro urbano. Sul waterfront verso est, anch’esso in cantiere, a proposito di Nobel, dovrebbe sorgere nel 2027-31 l’edificio dell’omonima Fondazione ma, per una volta, anche qui non sono mancati gli intoppi, visto che il concorso internazionale che laureò David Chipperfield risale al 2014… Per ora bisogna accontentarsi del Museo del Premio Nobel, sobriamente allestito in un palazzo di Gamla Stan (Città vecchia) e pieno d’informazioni, curiosità e documenti sui vari vincitori. Tornati a Södermalm, e percorrendo il waterfront che verrà, giungiamo a Fotografiska, dignitoso opificio in mattoni, già sede di dogana (Ferdinand Boberg, 1906), convertito dal 2010 in spazio espositivo: se gli interni black box e le mostre a tema non vi soddisfano, fate un salto al ristorante vegetariano all’ultimo piano, per l’eccellente offerta culinaria e le grandi finestre panoramiche.

Da queste si ammira l’isola di Skeppsholmen dove, schivo fra gli alberi e un’ordinaria manica di edilizia storica, si trova il Moderna Museet di Rafael Moneo (1991-98, esito di concorso), con l’annesso ArkDes (chiuso per lavori fino al 27/9). Al di là dei celebri lucernari “a lanterna” quadrangolari in copertura, si apprezza l’informalità degli spazi interni, con la grande hall affollata da cittadini che ne approfittano per chiacchierare o bere qualcosa alla caffetteria, senza per forza accedere al museo (ove è imperdibile la discesa nella Study Gallery per ammirare gruppi di capolavori su pannelli tratti meccanicamente dai depositi, grazie a un operatore a vostra disposizione per richieste “alla spina” dal catalogo).

Di museo in museo, e d’isola in isola, Djurgården offre molteplici spunti per l’architetto malato di contemporaneo. Superato il mastodontico castello neorinascimentale, realizzato nel 1907 da Isak Gustav Clason (sua anche la Östermalms Saluhall, l’elegante mercato coperto del 1888, rinnovato nel 2020, che merita una visita non solo gastronomica) per ospitare il Nordiska Museet (non ci siamo sentiti di affrontarlo, chiediamo venia), l’attenzione è polarizzata dall’infotografabile Vasamuseet, che ti aspetti sia di Ralph Erskine e invece è dello studio Hidemark Månsson (vincitore nel 1981 di un concorso da 384 partecipanti). Inaugurato nel 1990, è uno degli edifici più visitati di Svezia: una sorta di hangar costruito intorno al celebre veliero varato e immediatamente affondato nel 1628, poi ripescato, portato a riva in un bacino di carenaggio, messo in secca e riassemblato pezzo a pezzo dal 1961. All’esterno, una scomposizione decostruzionista in salsa empirista scandinava (alla voce “regionalismo critico”) piuttosto indigesta; all’interno, un pullulante caleidoscopio brutalista che sa di cantiere e darsena.

Al contrario, nessuna concessione formale laddove ci saremmo attesi delle iperboli per l’ABBA Museum, ospitato nell’ipogeo di un razionalissimo edificio tuttolegno di tre piani dalla rigorosa logica trilitica che, al confronto, i minimalismi elvetico-teutonici paiono quasi spensieratezze (Johan Celsing, 2010-13, esito di concorso). Ma i fan del gruppo musicale, che è tuttora una gloria nazionale, possono scatenarsi all’interno, con allestimenti su fondo nero tutti lustrini, paillettes & lampadine: si canta, si balla, si rimira e si apprende con diletto.

E a proposito di minimalismo, lì accanto, un occhio va a Liljevalchs, decoroso padiglione espositivo tra Beaux-Arts e protorazionalismo (Carl Bergsten, 1916), con l’ampliamento firmato da Gert Wingårdh (2013-20, esito di concorso, con l’artista del vetro Ingegerd Råman): un lirico monolite cementizio dalle valenze plastiche, decorative e contestuali.

Se non avete figli da intrattenere ammirando orsi e alci (o se non siete attratti dal laboratorio di soffiatura del vetro), potete tranquillamente risparmiarvi, sempre nei pressi, la visita a Skansen, straconsigliato invece dalle guide: il museo etnografico all’aperto con edifici rurali smontati da varie parti della Svezia e qui riassemblati è decisamente datato. (Se proprio dovete compiacere la vostra vena ludica, fatevi un giro sulle attrazioni strizzabudella del confinante luna park Tivoli).

Cambiando quartiere, a Vasastan, ritroviamo l’intrigante ibrido tra cultura e residenza, e ritroviamo Gert Wingårdh (con Anna Höglund) allo Sven-Harrys Konstmuseum: un algido basamento vetrato ospita accoglienza, ristoro e sale espositive, sorreggendo al contempo un parallepipedo, completamente dorato, di tre piani con appartamenti che, sul parco, presentano logge incavate a nastro; infine, sulla terrazza di copertura, la riproduzione di Ekholmsnäs a Lidingö [l’isola degli ABBA; n.d.a.], maniero settecentesco che fu la prima dimora del collezionista Sven-Harry Karlsson (1931), fondatore del museo nel 2011. Di Wingårdh, uno dei big della scena locale, ricordiamo per inciso anche la totemica, quanto eterea, Victoria Tower (2009-11), che s’incontra sulla strada per l’aeroporto di Arlanda.

Poco lontano, ancora arte contemporanea e temporanea con la Bonniers Konsthall, che conclude l’esiguo lotto triangolare dell’omonimo isolato schiacciato tra la strada e il canale artificiale Barnhusviken giocando sul profilo mistilineo e sulla trasparenza volumetrica (Johan Celsing, 2006).

Ma soprattutto, nei pressi, non ci si può esimere dal pellegrinaggio alla Biblioteca municipale di Erik Gunnar Asplund (1918-28). L’accesso è un vero e proprio percorso iniziatico: in sequenza, rampa a fendere il basamento occupato dai mercanti (dai kebab agli hamburger), portale solenne, vestibolo mistico, scala metafisica di ascesa nel tempio della rotonda inondato di luce dall’alto: la piazza pubblica dove si può anche solo sedere contemplando i libri che foderano, tutt’intorno, le pareti cilindriche. Volendo, vi si giunge in un amen: nessun controllo di sorta, nessuna paranoia securitaria, nè l’esibizione di tessere. Tutti hanno diritto di accedere al sapere senza barriere: più pubblico di così… Speriamo che i previsti interventi di ristrutturazione e adeguamento tecnico (l’edificio è stato chiuso giusto dopo la nostra visita fino a tutto il 2027) mantengano tale modalità di fruizione libera, mentre lì accanto è rimasto lettera morta il progetto di ampliamento di Heike Hanada, che nel 2007 vinse un concorso internazionale assai partecipato e mediatizzato.

Ultima tappa Norrmalm, cuore moderno della capitale che ha il suo fulcro in Sergels Torg, vivace piazza su due livelli, rinnovata nel 2019 e caratterizzata dalla sequenza dei cinque edifici alti International Style a lama, ma soprattutto dalla megastruttura lineare della Kulturhuset (Peter Celsing, 1974), contenitore polifunzionale che funge da elemento ordinatore alla scala urbana. Nei paraggi, un omaggio va tributato anche al classicismo di Ivar Tengbom: con la sede della Filarmonica (1920-26) tutta blu pastello e con lo slanciato pronao corinzio che pare quasi postmodern ante litteram (purtroppo non ci siamo entrati), e con il Tåndstickpalatset (1926-28), dalle solenni atmosfere un po’ alla Adolf Loos, già sede della Società svedese per la produzione di fiammiferi, oggi destinato a uffici e sale conferenze private (se riuscite, introducetevi furtivamente come abbiamo fatto noi!). Infine, se la Stazione centrale (1867-71) risulta quasi soffocata dalle recenti lottizzazioni immobiliari nei pressi, l’adiacente Stockholm Waterfront, centro congressi e hotel di White Arkitekter (2011), si fa notare per le forme libere del luccicante involucro metallico, elevato su un basamento vetrato, anch’esso costretto tra autostrada, ferrovia e canale.

 

Scampagnate fuori porta

D’obbligo la visita a Skogskyrkogården (Erik Gunnar Asplund con Sigurd Lewerentz, 1914-40), sito UNESCO forse un po’ sopravvalutato. Tuttavia, l’informale accoglienza del progetto di paesaggio trova riscontro nei tanti frequentatori del cimitero – a piedi o in bici, auto o bus (di linea, all’interno del recinto) – che vengono qui per leggere, fare jogging o bere qualcosa nel chiosco tra gli alberi. Da non perdere, oltre alla semplice ma poetica tomba di Greta Garbo, l’ascetico monoblocco laterizio del nuovo crematorio (Johan Celsing, 2009-13, esito di concorso), defilato in una radura boschiva.

Tra le new entry, molto gettonato Artipelag (Johan Nyrén, 2010), parco di sculture all’aperto a fruizione libera e sede espositiva. Raggiungibile anche con romantica gita in battello dal centro città, il sito boschivo e lacustre è descritto come paradisiaco (non più delle altre miriadi d’isole nordiche), mentre l’edificio, pur puntando all’organica mimesis con l’orografia, perde talvolta il controllo della composizione e della scala paesaggistica.

Parlando di sculture, concludiamo con l’artefice di molte opere che adornano spazi ed edifici pubblici della capitale. La visita di Millesgården a Lidingö, dimora dello scultore e collezionista Carl Milles (1875-1955) e di sua moglie Olga Granner (1874-1967), artista anch’ella, è una vera chicca. Introdotti da un padiglione espositivo discreto quanto raffinato e contestuale (Johan Celsing, 1996-99, esito di concorso), si esplora il giardino, un sistema di terrazze affacciato sul vasto panorama circostante e punteggiato da sculture, talvolta in precario equilibrio su piedistalli di varie fogge. La sommità è dominata dalla casa atelier, tra Arts & Crafts e romanticismo nazionale (Carl M. Bengtsson e Evert Milles, 1908-13), plasmata a immagine e somiglianza del suo committente, il quale affermò: «Sto costruendo l’Italia qui». Una seconda più modesta dimora, eretta in seguito in corrispondenza dell’entrata (Anne’s house, 1950), presenta arredi di Josef Frank.

Colonna sonora del viaggio: la raccolta Gold degli Abba, che più pop non si può.

Immagine di copertina: Slussen (© Alice Lusso)

Autore

  • Luca Gibello

    Nato a Biella (1970), nel 1996 si laurea presso il Politecnico di Torino, dove nel 2001 consegue il dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica. Ha svolto attività di ricerca sui temi della trasformazione delle aree industriali dismesse in Italia. Presso il Politecnico di Torino e l'Università di Trento ha tenuto corsi di Storia dell’architettura contemporanea e di Storia della critica e della letteratura architettonica. Collabora a “Il Giornale dell’Architettura” dalla sua fondazione nel 2002; dal 2004 ne è caporedattore e dal 2015 direttore. Oltre a saggi critici e storici, ha pubblicato libri e ha seguito il coordinamento scientifico-redazionale del "Dizionario dell’architettura del XX secolo" per l'Istituto dell’Enciclopedia Italiana (2003). Con "Cantieri d'alta quota. Breve storia della costruzione dei rifugi sulle Alpi" (2011, tradotto in francese e tedesco a cura del Club Alpino Svizzero nel 2014), primo studio sistematico sul tema, unisce l'interesse per la storia dell'architettura con la passione da sempre coltivata verso l’alpinismo (ha salito tutte le 82 vette delle Alpi sopra i 4000 metri). Nel 2012 ha fondato e da allora presiede l'associazione culturale Cantieri d'alta quota

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Last modified: 3 Luglio 2024