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La città del XXI secolo dev’essere naturale

La città del XXI secolo dev’essere naturale

Una mostra al Pavillon de l’Arsenal di Parigi percorre, in oltre 4 secoli, il rapporto tra urbanizzazione e natura

 

PARIGI. Far fronte al riscaldamento globale, promuovere la biodiversità, praticare l’agricoltura urbana come nuova forma di collaborazione tra uomo e natura: la città del XXI secolo dev’essere naturale. Mai come oggi il riferimento alla natura è diventato insistente; mai come oggi la nozione di natura è stata così contestata.

È il curatore Antoine Picon, Directeur de recherches all’École des Ponts ParisTech e professore alla Graduate School of Design di Harvard, a sottolineare quest’apparente paradosso. Attraverso una selezione di dipinti, incisioni, mappe, libri, fotografie, accompagnati da un esaustivo apparato di testi introduttivi e didascalie, l’esposizione “Natures Urbaines” svela i rapporti che legano natura e città moderna e i temi di quest’inevitabile intreccio, a partire dal Seicento, con una proiezione al prossimo futuro, fino al 2030.

 

Seicento e Settecento, un verde sempre più pubblico

Allestita al primo piano del Pavillon de l’Arsenal, la mostra si apre con la grande pianta di Parigi detta «de Turgot», dove i giardini annessi a residenze private e conventi appaiono numerosi. E tuttavia la natura è una presenza discreta nella Parigi d’inizio XVII secolo; il verde urbano è un fatto ancora squisitamente privato: la Place Royale – rinominata Place des Vosges nel 1800 – non è, in origine, alberata.

Nel 1616 Maria de Medici fa realizzare il Cours de la Reine, un viale privato che si estende per poco più di un chilometro lungo la Senna. La passeggiata in carrozza all’ombra di file ordinate di alberi consente alle famiglie principesche e aristocratiche di mostrarsi in pubblico, godendo al contempo d’un paesaggio urbano gradevole. “Veniamo qui per parlare di affari, di matrimoni e di tutte le cose che si trattano più facilmente in un giardino che in una chiesa”, dichiara Charles Perrault, braccio destro del ministro Colbert e autore dei racconti che portano il suo nome; nel frattempo, una serie di giardini reali sono diventati progressivamente pubblici: i Jardins du Luxembourg nel 1615, il Jardin du Roi (l’attuale Jardin des Plantes) nel 1623, il giardino delle Tuileries qualche anno più tardi.

L’età dei Lumi segna uno spartiacque nell’itinerario tracciato da Picon: nel Settecento la presenza di elementi naturali diventa sinonimo di buona salute fisica; si crede inoltre che rafforzi i legami sociali e contribuisca alla moralizzazione delle esistenze individuali così come della vita collettiva. Prende forma una nozione di natura urbana al contempo, igienica, civica e politica.

Nell’Essai sur l’architecture l’abate gesuita Marc-Antoine Laugier suggerisce che i progetti urbani siano ispirati a parchi e foreste. Al volgere del secolo Claude-Nicolas Ledoux immagina una città ideale costruita in campagna: l’ambizione è quella di riformare la società per mezzo di un’architettura in stretto dialogo con la natura.

 

Dai benefici fisici a un ruolo sempre più centrale

Il XVIII secolo si preoccupa del carattere malsano delle grandi città e propone soluzioni: favorire la libera circolazione dell’acqua e dell’aria per scacciare i miasmi, piantare alberi per purificare l’atmosfera, progettare passeggiate per consentire agli abitanti di esercitarsi a camminare. I benefici fisici si accompagnano ai benefici morali: per Jean-Jacques Rousseau il contatto con gli elementi naturali rende più attenti agli altri, calma e ricarica. Nuove formule di associazione tra verde e città si affermano in vari contesti europei. Nella cittadina termale britannica di Bath, come nella capitale scozzese, si realizzano progetti che ambiscono a costruire un paesaggio urbano inedito, fondato sul contrasto tra la regolarità d’una architettura neo-palladiana e il gusto pittoresco di giardini e parchi.

All’inizio del secolo seguente, questa stessa ambizione permea la sequenza di Regents Street, Regents Park e Park Crescent a Londra, su progetto di John Nash con Decimus Burton.

Un’attenzione speciale nella mostra è riservata agli usi del verde urbano: la loro varietà riflette il ventaglio di condizioni sociali delle città europee. Nel 1867, all’apertura dell’Esposizione universale, La rêverie à Paris, uno scritto di Georges Sand, è dedicato alle passeggiate parigine, descritte come occasioni uniche di abbandono al fantastico. Scendendo nella scala sociale, la fruizione dei giardini mescola pratiche lecite e illecite, dal semplice passeggiare alle piccole imprese autorizzate o tollerate, dalla prostituzione al contrabbando.

Nel secondo Ottocento, le grandi trasformazioni parigine intraprese sotto l’egida di Napoleone III e la direzione del prefetto Georges Eugène Haussmann, rappresentano un capitolo fondamentale in questa storia. L’haussmannisation attribuisce un ruolo essenziale alle sequenze piantumate, alle piazze, ai giardini e ai parchi. Per realizzarli è appositamente costituito il Service des Promenades et des Plantations, di cui l’ingegnere Adolphe Alphand si fa carico nel 1855. Ma il progetto del verde urbano nella città industriale e borghese abbraccia una dimensione ricreativa ed educativa al contempo: mentre fanno la loro prima comparsa gli zoo, buvettes e serre, kiosques à musique e giardini d’inverno punteggiano parchi e giardini. Al Parc des Buttes-Chaumont come al Central Park di New York, un’estetica del pittoresco ereditata dal XVIII secolo si combina ad una duplice preoccupazione tecnica e sociale.

 

Il XX secolo e i limiti della crescita

Se gli architetti e urbanisti della prima metà del XX secolo ambiranno a conciliare i ritmi della civiltà meccanica – e dell’automobile in particolare – con l’esigenza di rigenerarsi attraverso il contatto con la natura, occorrerà presto fare i conti con il graduale esaurimento delle risorse di una Terra che quella stessa civiltà sta mettendo in serio pericolo. Una riflessione precoce sui limiti della crescita è inaugurata da A 100 Miles Portrait of Earth, apparso su “Life Magazine” il 5 settembre 1955: l’immagine d’un pianeta al contempo finito e fragile. Nel 1962, il volume Silents Spring dell’americana Rachel Carson lancia un allarme sull’uso dei pesticidi. Mentre il primo rapporto sui Limits to Growth vede la luce nel 1972, lo sviluppo delle reti di trasporto e telecomunicazione rimpicciolisce il pianeta e si rafforza la percezione di una nuova vulnerabilità della vita sulla superficie terrestre.

 

XXI secolo, la natura per risorgere

Il nuovo millennio si apre all’insegna di progetti pionieristici in cui la natura è utilizzata per far risorgere aree dismesse o inquinate. Oltre alla riqualificazione del sito industriale della Ruhr, spiccano due lavori entrambi newyorkesi: il parco urbano di Fresh Kills a Staten Island, esito della riconversione della discarica in cui per oltre cinquant’anni la metropoli americana ha accumulato i propri rifiuti, e l’ormai celebre High Line, il giardino urbano lineare creato sull’obsoleta linea ferroviaria di Manhattan.

L’affermarsi di un approccio alternativo alla pianificazione urbana fondato sul primato del paesaggio naturale e una nuova nozione evolutiva del progetto, conoscono oggi crescente fortuna. In questa cornice si collocano recenti progetti in cui la conoscenza e il rispetto del luogo si combinano alla particolare sensibilità per le sue trasformazioni nel tempo: ad esempio, il Parc départemental du Sausset, à Aulnay-sous-Bois (Claire e Michel Corajoud), il Parc de la Plaça des Gloriès a Barcellona (Ana Coello e Manuel Colominas) e il Rooftop Prairie a Chicago (Studio Gang).

Da marginale a ubiqua, la presenza delle piante nel paesaggio costruito tende oggi a rafforzarsi diventando il tramite di un inedito bisogno di comunità. Più oltre, si levano voci per richiedere un nuovo contratto sociale che includa esseri umani e non, piante e animali ma anche fiumi, foreste e montagne, i cui diritti si vuole tutelare. Mentre pandemia e catastrofi naturali hanno evidenziato tutti i limiti di un improbabile controllo umano sulla natura, la mostra si conclude con l’ottimismo di uno sguardo che nella città vede ancora il luogo delle possibili risposte ai molti interrogativi di un critico presente.

Immagine di copertina: © Victoria Tanto

 

 

“Natures Urbaines. Une histoire technique et sociale. 1600-2030”
24 aprile-29 settembre 2024

Pavillon de l’Arsenal, Parigi
A cura di: Antoine Picon
Catalogo: Éditions du Pavillon de l’Arsenal, Parigi 2024
pavillon-arsenal.com/fr/expositions/12951-natures-urbaines.html

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Last modified: 19 Giugno 2024