Contro le invettive di Gian Antonio Stella, riceviamo e pubblichiamo una difesa del progetto di conservazione archeologica firmato dal gruppo di Francesco Cellini
Mi è già capitato in un passato lontano di trovarmi a difendere un progetto di Francesco Cellini. Mi pare fosse il 1998 o ’99 e facevo parte della Commissione centro storico del Comune di Ragusa. Probabilmente in ritardo mi ero accorto di articoli sui giornali locali con critiche spinte e isteriche di alcuni pseudo ambientalisti (erano gli anni in cui, senza che nessuno alzasse la voce, si cementificava sistematicamente la costa del ragusano, si distruggevano boschi secolari e la produzione delle serre provocava disastri inauditi: credo che fosse in quello stesso periodo che mi resi conto della scomparsa totale delle rane e della morte dei pioppi nel territorio compreso tra i comuni di Santa Croce e Vittoria) al progetto di ampliamento della villa comunale di Ragusa Ibla. Il peccato mortale era che il disegno prevedeva l’abbattimento di una ventina di pini striminziti, malati e non autoctoni, piantati a casaccio qualche anno prima. Al colmo della contesa si era persino sostenuto che quegli alberi possedessero un alto valore simbolico: corrispondevano al numero dei caduti ragusani nella Seconda guerra mondiale. Affermazione che non aveva fondamenti, ma politici spregiudicati o paurosi iniziarono a cavalcare l’onda mentre architetti locali, infastiditi dal progetto di un architetto romano, s’intromisero per fomentare le critiche. Scrissi al sindaco (terrorizzato anche lui) e, alla fine, con molte distorsioni, molte licenze e varianti (tutte al ribasso della qualità), il progetto si realizzò, mantenendo perlomeno traccia di alcune intuizioni geniali.
Adesso un articolo sul teatro di Eraclea Minoa (Agrigento) di Gian Antonio Stella («Corriere della Sera», 22 maggio) attacca pesantemente il progetto per la conservazione del teatro greco. Un’opera che, per inciso (e questo nell’articolo non lo si nega perché è innegabile) non esiste più se non per sparuti e frammentari resti, frutto degli interventi scriteriati di alcuni osannati tecnici del restauro del secolo passato, oggi in via di beatificazione.
La vicenda mi ha fatto riflettere. Sulle teorie balzane, applicate da restauratori e archeologi, possiamo ormai metterci il cuore in pace e cercare persino giustificazioni, mentre su un progetto che risponde perfettamente a un bando, conserva dei miseri resti e si propone di evocare la potente relazione paesaggistica con il mare che il teatro greco aveva mantenuto per secoli, si può invece tranquillamente affermare che trattasi di un’impattante astronave.
Forse sui gusti e sulla sensibilità, in un paese dove è costume parlare e scrivere a vanvera e le competenze non valgono da tempo, si potrebbe persino sorvolare, ma Stella va oltre, cerca il reato, condanna la procedura perché i giurati erano tutti siciliani (tutti collusi e tutti provinciali?), insinua accordi torbidi tra commissione e progettisti in base alla coincidenza di un cognome molto diffuso. Pazzesco, mi sembra persino autolesionistico: un’ombra su passate inchieste dello stesso giornalista che in tanti abbiamo apprezzato. È vero che le storie si possono ripetere solitamente in forma di farsa, ma qui siamo a un passo dalla calunnia, lo specchio tragico dell’assenza di argomenti.
Spero che tutto si chiuda con un velo di silenzio. Ai co-progettisti (Giulia Piazza, Nicola Piazza, Maria Margarita Segarra Lagunes, ABGroup srl, Emmevi srl, Vamirgeoind srl) e a Cellini, che conosco da anni e a cui posso solo rimproverare una ritrosia tutta a discapito del suo talento, auguro di completare questo progetto. Eraclea e la Sicilia lo meritano.
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archeologia , lettere al Giornale , sicilia , teatri
Last modified: 24 Maggio 2024