Per la cura di Fulvio Irace, Triennale Milano espone gli oggetti progettati dall’architetto e designer, che è stato anche innovativo direttore, editore e grafico
MILANO. Fino al 13 ottobre si può visitare la mostra organizzata da Triennale Milano e Fondation Cartier pour l’art contemporain, in collaborazione con l’Archivio Mendini, a cura del poliedrico storico dell’architettura Fulvio Irace. Il titolo (“Io sono un drago. La vera storia di Alessandro Mendini“) riprende uno schizzo che Mendini (1931-2019) fece nel 2006 in cui, con ironia, si raffigurava con testa da designer, corpo da architetto, mani da artigiano, petto da manager, pancia da prete, piede d’artista, gambe da grafico, coda da poeta.
Architetto e designer ma, anche, un grande assemblatore d’informazioni
Mendini è stato tutto questo, un coacervo di figure e funzioni, un borghese gentile e disponibile soprattutto con i giovani. Un designer, un architetto, un direttore di rivista, prima “Casabella” e poi “Domus”, la fondazione di “Modo”, un “attivista culturale”, dalla Global Tools ad Alchimia, più sapiente nel micro degli oggetti quotidiani che nel macro dell’architettura.
Ha innovato il modo di fare editoria di architettura quando negli anni settanta dirige “Casabella”, il salotto della borghesia architettonica milanese, cambiandone la struttura con un giovane caporedattore come Enrico D. Bona, trasformando la rivista che fu di Ernesto Nathan Rogers nell’house organ della nascente neoavanguardia architettonica, nota anche come architettura radicale. Nata a Firenze poco prima del 1968, con la fondazione dei gruppi pop Archizoom e Superstudio, seguiti da UFO, Gianni Pettena, 9999 e Zziggurat, l’architettura radicale ha sempre avuto un posto speciale nell’animo di Mendini.
«Quando arrivai a Casabella“», ricorda Mendini in un’intervista per archphoto, «lavorai in stretto contatto con il grafico AG Fronzoni, personaggio unico: integralista social-comunista, integerrimo, grande moralista […]. Quando divenni direttore iniziai a vedere scenari che mi erano sconosciuti: i fiorentini, Ettore Sottsass, il gruppo di Graz, i viennesi Pichler, Max Peintner e Hans Hollein, la Jugoslavia, Gianni Pettena. Un mondo diverso che mi ha portato a pensare alla grafica della rivista come un fatto organico ed espressivo. Seguii io stesso la grafica di “Casabella” inventando le copertine, perché le mie riviste sono sempre state caratterizzate da una grande attenzione ideativa e comunicativa delle copertine, e feci degli oggetti appositamente chiamati “oggetti ad uso spirituale”. Una valigia pesante che si chiamò “Valigia per ultimo viaggio”, una sedia di terra, una performance con una sedia bruciata, un kit con un martello e quattro chiodi con scritto “Do it yourself”. Fu in questo contesto che conobbi Sottsass e i fiorentini. Loro in quel periodo erano i Beatles del design e penso che copiassero Yellow Submarine».
Così la rivoluzione non fu solo quella dei radicals. Per Mendini si trattava di concepire una rivista nuova a partire proprio dalla copertina che doveva essere evocativa di un messaggio, prima con i collage di Superstudio e poi, quando assume la direzione di “Domus”, con i ritratti fotografici dei protagonisti dell’architettura da Aldo Rossi a Manfredo Tafuri. Attitudine ripresa nel 2010 quando ritorna proprio alla direzione di “Domus” con i ritratti di architetti e designer disegnati da Lorenzo Mattotti.
«Mendini ha sempre rivendicato un ruolo autonomo di divulgatore come costruttore di messaggi», afferma Irace, «e le riviste per lui sono state l’aria necessaria per respirare. Quando lo hanno cacciato da “Casabella” ha fondato “Modo”, quando lo hanno cacciato da “Domus” ha fondato “Ollo”, lui aveva bisogno di assemblare le informazioni».
La mostra alla Triennale
Tuttavia alla Triennale, il Mendini intellettuale ed editore è stato esplorato in misura minore, preferendo una conversione sugli oggetti grazie al ricercato allestimento di Pierre Charpin. La mostra è divisa per sezioni aperte che dialogano con gli ampi spazi verticali della Triennale: tra quelle più riuscite, “La sindrome di Gulliver”, in cui emergono i fuori scala della Poltrona di Proust e de La Petite Cathédrale; “le architetture”, una rassegna dei progetti alla scala urbana che comprende anche il museo di Groningen; e “le stanze tematiche”, come quella dedicata a Proust con l’omonima poltrona che rimanda alla pittura divisionista.
La mostra è accompagnata da un catalogo Electa che integra, come spesso avviene, i contenuti espositivi con il contributo di diversi autori e autrici tra cui Francesca Picchi che analizza gli sconfinamenti di Mendini nell’arte, nel teatro e nella musica, e la Mendiniville dell’onnipresente fotografo Filippo Romano, oltre al testo di Beppe Finessi che indaga l’importanza delle riviste nella ricerca mendiniana. Del tutto ignorate, invece, altre figure protagoniste di scambi intensi con Mendini come, ad esempio, quelle di Lapo Binazzi, Gianni Pettena, Bruno Orlandoni e Enrico D. Bona.
Con le monografiche su Ettore Sottsass, Enzo Mari, Bruno Mangiarotti e ora Mendini, Triennale Milano si propone sempre più come un’istituzione dedicata all’architettura e al design, con particolare riguardo alla radicalità.
Immagine copertina: © Emanuele Piccardo
“Io sono un drago. La vera storia di Alessandro Mendini”
fino al 30 giugno 2024
Triennale Milano
A cura di: Fulvio Irace
triennale.org/eventi/alessandro-mendini
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allestimenti , Mendini , Milano , mostre , riviste , triennale milano
Last modified: 16 Aprile 2024