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Luca MontuoriWritten by: Città e Territorio

Il campus di Paris Saclay, un ecosistema della ricerca

Il campus di Paris Saclay, un ecosistema della ricerca

In uno dei nodi del Grand Paris, il piano di Michel Desvigne accoglie da dicembre il Bâtiment d’enseignement mutualisé di Sou Fujimoto

 

PARIGI. Paris Saclay è un nodo del sistema metropolitano del Grand Paris che si trova nell’area meridionale della regione tra Versailles e Orly. In queste zone, caratterizzate dalla compresenza eterogenea di edificazioni disperse, zone industriali, campagne agricole e aree boscate, sta crescendo uno dei più vasti e importanti ecosistemi di ricerca del mondo.

Il campus non nasce però dal nulla. I primi insediamenti industriali nell’area risalgono al secondo dopoguerra – ci sono edifici che portano la firma di Auguste Perret -, quando alcune compagnie realizzano qui le loro sedi formando un primo nucleo che rapidamente diviene attrattivo per imprese e centri di ricerca sulle tecnologie avanzate. Lo sviluppo è continuato per successive addizioni fino a quando, nel 2010, il governo francese ha dichiarato la pianificazione dell’area “Operazione di interesse nazionale” e ha nominato Pierre Veltz presidente dell’Istituto che coordina il progetto.

 

Un campus a metà tra l’urbano e il rurale

Le strategie insediative su cui Veltz ha lavorato, con il gruppo che ha realizzato il piano guidato da Michel Desvigne, sono state indirizzate alla ricerca di una forma di urbanità capace di coniugare la vocazione agricola del Plateau con un “ecosistema di conoscenza in cui è possibile incontrarsi, sviluppare relazioni, fare la spesa…. Insomma, una quotidianità del vivere secondo una densità e intensità diverse”.

Consapevole delle contraddizioni che il progetto ha evidenziato nel dibattito pubblico, dei problemi oggettivi legati all’accessibilità nell’attesa della linea del Grand Paris Express, o anche dei rischi di alienazione raccontati nei romanzi di James G. Ballard, Veltz ha sempre voluto sottolineare che quello di Saclay è un campus dalla forma insediativa nuova, a metà tra l’urbano e il rurale, un ecosistema la cui superficie non è comparabile per dimensione a nessuno degli altri cluster esistenti.

Non è pensabile quindi imitare la densità della città compatta, come fatto in passato con le “villes nouvelles”, piuttosto bisogna immaginare forme di relazione e prossimità che derivano da modalità di lavoro innovative, e allo stesso tempo progettare spazi che garantiscano gradi di flessibilità capaci di registrare rapidi e imprevedibili cambiamenti perché, conclude, “siamo, per forza di cose e per logica istituzionale, prigionieri di un modo rigido e probabilmente un po’ datato di programmare i nostri edifici”.

Oggi nell’area di Saclay sono insediate imprese e università che rappresentano circa il 15% della ricerca francese con un investimento pubblico che sfiora i 2 miliardi e una serie di edifici e sedi d’istituzioni progettate tra gli altri da RPBW, OMA, Grafton, LAN e Bruther.

 

Il Bâtiment d’enseignement mutualisé ricompone tre scale

In questo contesto, a dicembre è stato inaugurato il Bâtiment d’enseignement mutualisé (BEM), che ospita circa 10.000 mq di superfici dedicate allo studio e alla ricerca di diverse Grand Écoles francesi. Il progetto di Sou Fujimoto architects, in collaborazione con i partner francesi OXO architectes (M. Rachdi, N. Laisné) e DREAM (D. Roussel), permette di guardare da un lato alle politiche per il consolidamento dei legami tra industria e ricerca scientifica, dall’altro alla pianificazione dell’area metropolitana con un’idea di dimensione urbana basata sul ripensamento delle relazioni tra accessibilità, lavoro e forme dell’abitare.

Il programma funzionale chiedeva un edificio in cui studenti e ricercatori di scuole diverse potessero trovare aule, luoghi di collaborazione e ambienti per promuovere l’incontro tra campi diversi del sapere. Il progetto interpreta questa ambizione con scelte architettoniche e tipologiche molto chiare. Si compone di un corpo di fabbrica longitudinale dove si trovano aule e uffici, cui si accede da un sistema di rampe e ballatoi all’interno di un grande atrio coperto e chiuso da una facciata curva e trasparente. Le rampe che portano alle aule si articolano sviluppando sequenze di platee a gradoni e aree studio che definiscono un luogo intermedio tra interno ed esterno, tra pubblico e privato.

Si può vedere in questa scelta una memoria dell’idea dell’engawa – la veranda giapponese – che qui si trasforma in un insieme di spazi su più livelli che invitano all’interazione e alla condivisione. Per evidenziare la natura questo doppio sistema, le rampe corrono tra alberature che penetrano nell’atrio, in continuità visiva con le trame delle piantumazioni esterne, e riconnettono l’edificio alla scala territoriale. Il piano di sviluppo del sistema infatti è pensato come una strategia che guarda, attraverso la temporalità del paesaggio, alla ricomposizione di una sequenza di tre scale: il “plateau”, che rilegge la geografia dei tracciati agricoli, delle trame vegetali e reti delle acque che scendono verso la Senna; il “campus”, che ridisegna i margini del plateau integrando aree boscate, zone umide, bacini idrici e parchi con servizi sportivi e aree ludiche a servizio dei cluster di edifici; gli “spazi di prossimità”, le cui reti arboree, i prati e i giardini sono parte integrante della continuità percettiva ed ecologica interna ai cluster.

Il progetto del BEM interpreta questa declinazione della relazione tra natura e artificio nella sua forma architettonica e nella scelta dichiarata di voler coniugare un’idea sul ruolo degli spazi per la formazione e il lavoro con un’idea di sostenibilità che vede nel paesaggio, nelle sue relazioni e nel suo complesso funzionamento, l’elemento a partire dal quale pensare la nuova dimensione dell’urbano.

Immagine in evidenza: @ SFA+OXO+NLA+DR

 

 

 

Autore

  • Luca Montuori

    Architetto, professore associato in Composizione architettonica e urbana, presso il Dipartimento di Architettura di Roma Tre. Dal 2017 al 2021 ha ricoperto il ruolo di Assessore all’Urbanistica di Roma Capitale. Ha collaborato con numerose Università e centri di ricerca in Italia e all’estero. Dal 2008 al 2016 è stato Membro del Comitato Scientifico della Casa dell’Architettura di Roma. Nel 2000 ha fondato, con Riccardo Petrachi, lo studio 2tr_architettura. Nel 2008 il progetto del Parco Archeologico del Piano della Civita ad Artena è stato segnalato per la medaglia d'oro alla Triennale di Milano. Nel 2011 il progetto per i nuovi spazi pubblici di Santa Fiora ha ricevuto la menzione speciale del Piranesi Prix de Rome. Nel 2016 lo studio ha ricevuto il Piranesi Prix de Rome vincendo il concorso: "la nuova via dei Fori Imperiali" (con L. Franciosini e altri).

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Last modified: 6 Febbraio 2024