Riceviamo e pubblichiamo una lettera che, nonostante le richieste in crescita, denuncia l’arretratezza normativa, burocratica e culturale del contesto
Dal 2003 mi occupo di recupero di materiali edili per restauro e ristrutturazioni nella Provincia di Parma. Il mio lavoro consiste nel recupero dei vecchi pavimenti in cotto. Quando un’impresa o un demolitore smantellano da un vecchio edificio un pavimento in terracotta datato (fino ai primi del Novecento), nel mio laboratorio lo seleziono, lo pulisco, se necessario lo restauro e lo catalogo. Se accade che durante un restauro conservativo, un recupero edilizio di un edificio antico c’è l’esigenza di completare la pavimentazione esistente con un materiale più simile possibile, spesso riesco a fornirlo. Da qui la mia battaglia perché nessun materiale proveniente da demolizione di fabbricati vecchi (anche rurali) venga frantumato.
In Italia esiste un settore di edilizia circolare che ha superato il concetto che “prima di riutilizzare un prodotto lo devi smaltire”, dove l’idea di rifiuto da riciclare non è un’opportunità ma un’attività che snatura un manufatto, destinandolo, tramite una lavorazione, a tutt’altro scopo. Quando si demolisce una casa in laterizi, questi non sono un rifiuto ma un’occasione. Un’occasione continuamente ostacolata da norme, divieti, codici, penalità. Si tratta di un’attività che in Italia oggi non ha ancora un nome proprio, una classificazione, un’identità, una direttiva mirata, un’incentivazione seria. Un’attività che utilizza pochissima tecnologia ma che si avvale della competenza, dell’esperienza e soprattutto della conoscenza dei materiali antichi da costruzione. Che sa riconoscerne la qualità ed il valore storico.
Si tratta di un lavoro importantissimo in un Paese come il nostro, che fornisce materiali autentici per le più belle ristrutturazioni e restauri conservativi di palazzi e monumenti. Il nostro mestiere, nella sola Provincia di Parma, nel 2023 ha salvato dal frantoio più di 500.000 mattoni destinati per un terzo al mercato estero, più di un milione di pezzi per coperture e pavimentazioni. Si pensi che già nel 2012, in Danimarca, il progetto “Rebrik” si prefiggeva di recuperare 30 milioni di mattoni all’anno, dando un marchio ecologico di qualità agli edifici costruiti con i mattoni riciclati (che rappresentano una riduzione della CO2 emessa in atmosfera per la loro produzione).
L’Italia, dove una percentuale altissima di fabbricati da demolire è antecedente la Prima guerra mondiale, e che oggi è fonte di approvvigionamento di materiali da costruzione antichi di recupero per Svizzera, Nord Europa, Inghilterra e America (dove si ama la casa “alla toscana”), fortunatamente vanta ancora una riserva consistente di edifici da decostruire, ma necessita urgentemente di una seria riqualificazione di questi prodotti, che non possono essere considerati rifiuto, ma pezzi della nostra storia.
Roberta Aleotti
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architettura circolare , compatibilità ambientale , lettere al Giornale , materiali , normativa , Parma , recupero , riciclo
Last modified: 31 Gennaio 2024