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Marco FalsettiWritten by: Città e Territorio

Ritratti di Città. Kaliningrad e i fantasmi di Königsberg

Tra Prussia e URSS, i molti nodi irrisolti di una città dalla doppia anima sospesa tra passato tedesco e presente russo

 

KALININGRAD (RUSSIA). A partire dal nome, Kaliningrad evoca ancora oggi, nel suo fortuito quanto raro esploratore, tutto l’immaginario dell’universo sovietico, con i confini invalicabili e le sue file di chruščëvka. Ad eccezione dei centri dell’Estremo Oriente russo, Kaliningrad rappresenta forse una tra le città più misteriose di tutta la Federazione, con un nome che omaggia una figura ormai dimenticata della storia sovietica e un toponimo incomprensibilmente sopravvissuto alla caduta del Muro.

 

Königsberg-Kaliningrad, due vite parallele

La storia recente di Kaliningrad può efficacemente riassumersi nel celebre aforisma di William Faulkner: “Il passato non è mai morto. E non è neppure passato“, un concetto che resta, a conti fatti, la migliore chiave di lettura per comprendere le dinamiche della città odierna. Il passato sovietico, tuttavia, è solo uno tra i molti volti della città, senza neppure esserne il principale: Kaliningrad infatti altro non è che l’antica capitale prussiana Königsberg, una tra le città più importanti della storia tedesca, sepolta tra le macerie del conflitto mondiale e da allora uscita dai destini europei per far parte di quelli della Russia.

Fino alla Seconda guerra mondiale la Prussia Orientale – il territorio di cui Königsberg fu capitale, separato dalla Germania dal corridoio di Danzica – rappresentava la provincia più estrema dell’Impero tedesco, ai confini con il mondo slavo. Il 9 aprile 1945, con la caduta del capoluogo, si conclusero tragicamente oltre 700 anni di storia germanica e la città assunse il suo nome attuale. Da allora Kaliningrad vive due vite parallele, sospesa in un limbo temporale e geografico (ma forse sarebbe più corretto dire geopolitico), una combinazione che le impedisce di fare realmente i conti col suo passato nonostante nel corso degli anni siano emersi tentativi di pacificazione, tanto interni quanto esterni.

Alla fine del conflitto mondiale, dopo il bombardamento britannico del 1944 e i successivi combattimenti tra tedeschi e sovietici dell’aprile 1945, risultava distrutto oltre il 90% della città storica. Negli anni successivi la popolazione tedesca superstite fu espulsa dall’Armata rossa e la città annessa all’Unione Sovietica. Col tragico esodo dei suoi originari abitanti, Königsberg progressivamente sparì, più che dalle carte geografiche, dalla mappa ideale delle città d’Europa, entrando a far parte del grigio inventario dei toponimi sovietici, gran parte dei quali è a sua volta venuta meno dopo la caduta dell’URSS. Se quasi più nessuno è in grado d’indicare a cosa corrispondano oggi Sverdlovsk o Frunze o Gor’kij, per Kaliningrad è valsa la regola opposta, almeno fino al febbraio 2022, con l’inizio della guerra in Ucraina.

 

Il tema della memoria

Per quanto la città odierna abbia poco in comune con l’antica capitale prussiana, nessun approccio razionale può prescindere dal problema che essa intrinsecamente reca con sé, e cioè quello della sua memoria. Ogni tentativo d’indagare o soltanto visitare Kaliningrad non riesce a sfuggire alla conflittualità della sua immagine, che la mente elude solo convincendosi del fatto che si tratti di due città diverse. Sulle rive del Pregel, un tempo bordate dagli alti magazzini tipici dei porti anseatici e dal denso tessuto urbano dello Kneiphof, si affaccia oggi una sommessa cortina di chruščevka, gli anonimi complessi prefabbricati che ancora informano il paesaggio delle città russe o ex URSS.

Eppure la storia dei primi architetti del periodo sovietico testimonia, diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare, una forte volontà di preservare ciò che era sopravvissuto, anche contravvenendo alle disposizioni del governo centrale, arrivando a tentare la ricostruzione dei monumenti “tedeschi” con un ammirevole rispetto per il valore civile dell’architettura. Già nel 1946 fu avanzata l’ipotesi di trasformare il centro della città in un museo a cielo aperto con il proposito di dedicare, in una fase successiva, il Castello (o Palazzo reale) di Königsberg e gli edifici superstiti sulla Gesekusplatz a memoriale, similmente a quanto avvenuto a Dresda con le rovine della Frauenkirche.

In questa prima fase furono ricostruiti diversi edifici semicentrali della vecchia città: la nuova Borsa, la Fabbrica di ambra, l’ex Questura, la Sede centrale della Reichsbahn e il Tribunale statale e distrettuale. Tuttavia, non appena la ricostruzione di tali complessi fu completata, all’inizio degli anni sessanta, s’iniziarono a demolire le altre (e più significative) rovine superstiti.

Nel 1964 fu tenuta una conferenza sullo sviluppo del centro cittadino, allora completamente in macerie, che condusse a una seconda fase nello sviluppo di Kaliningrad con la fondazione dell’Istituto di pianificazione divenuto poi “Istituto di pianificazione e progetto di Kaliningrad per l’edilizia civile e la costruzione di città e insediamenti” (Калининградгражданпроект).

Il vasto supporto popolare e le proteste dell’intelligencija cittadina non riuscirono però a salvare le rovine del Castello, simbolo della città, dalla volontà demolitrice di Leonid Brezhnev (e delle autorità sovietiche in generale) che, come per altri casi nella Germania Orientale, in Ungheria, e nei Paesi Baltici furono in prima linea nel distruggere i monumenti di un passato ritenuto scomodo. Dopo che il Castello fu fatto saltare in aria, nel 1965, l’area intorno alla Schlossplatz e alla Gesekusplatz fu completamente ridisegnata, alterando irrimediabilmente il tessuto urbano e le ponderate corrispondenze tra le sue torri: quella del castello di Friedrich August Stüler, quella dell’ufficio telegrafico di Friedrich Heitmann e la Altstädtische Kirche di Karl Friedrich Schinkel.

 

Il problematico ridisegno del centro

Proprio in questa sovrascrittura della maglia storica va ricercata la ragione dell’odierna “schizofrenia” urbana di Kaliningrad, privata della gerarchia che regolava il rapporto tra assi viari, nodi e poli, nel tessuto della quale le isolate, superstiti emergenze architettoniche paiono galleggiare attorno al grande “vuoto verde” dell’antico centro storico, trasformato in un parco.

Il problema del “cuore della città” (come è spesso chiamato nella pubblicistica ufficiale) è da circa un decennio al centro del dibattito architettonico locale, soprattutto da quando ha avuto inizio la serie di concorsi finalizzati a risolverlo; il principale tra questi ha preso il via nel 2013 e si è concluso con la vittoria del team pietroburghese Studio 44.

Nella maggior parte dei concorsi svoltisi nell’ultimo decennio (tutti rimasti su carta) va tuttavia segnalato come le proposte vincitrici siano spesso governate da logiche prettamente commerciali, dove la rievocazione di un generico “carattere europeo” (sintetizzato da vicoli e piazze d’invenzione) dà forma a un non-luogo sospeso tra il citazionismo e l’immaginario della starchitecture. D’altronde i vincoli e i veti incrociati più o meno palesi, che ciascun bando propone, rendono difficile maturare una proposta capace di armonizzare tutte le istanze.

Ma cosa è rimasto dell’antica Königsberg, e cosa invece appartiene soltanto a Kaliningrad? Una rassegna dei monumenti cittadini può forse e aiutarci comprendere l’enigma di una città doppia, curiosamente definita dai russi la “più europea” della Federazione.

 

Monumenti superstiti

Dell’antica Königsberg, con i suoi stretti vicoli e il tessuto di case anseatiche, purtroppo è rimasto ben poco e nell’immagine odierna si fa fatica a scorgere la bellezza e il fascino di un tempo. Non a caso Jamie Freeman nel volume German Königsberg to Soviet Kaliningrad: Appropriating Place and Constructing Identity (Routledge, 2020) ha definito l’annessione della città “una tra le più radicali distruzioni del passato mai avvenute”. Lontano dal centro alcuni monumenti tuttavia sopravvivono, in una condizione di acontestualità che dimostra come ciò che manchi all’odierna città sia proprio il suo tessuto relazionale, quel paesaggio urbano non solo fisico che legava assieme passato e presente, conferendo loro valore e significato.

Il più importante tra questi monumenti superstiti è certamente la Cattedrale, che troneggia solitaria sullo Kneiphof, un tempo cuore della città vecchia, oggi anonimo polmone verde eufemisticamente denominato “isola di Kant” in onore del suo più illustre residente. Sull’isola aveva infatti sede il Collegium Albertinum dove Immanuel Kant teneva le sue lezioni (almeno fino a quando i locali non divennero così angusti da costringere il filosofo a tenere le lezioni nella sua casa nell’Altstadt). La Cattedrale fu edificata a partire dal 1330 dopo che l’Ordine Teutonico, avendo perso la sua sede di Marienburg a favore della Polonia-Lituania, ebbe trasferito il suo quartier generale a Königsberg, nel 1457. Rimasta intatta, seppur soltanto nelle sue mura esterne, la Cattedrale divenne un popolare landmark della città sovietica fino a che, tra il 1996 e il 1998, vennero ricostruiti il soffitto e le grandi vetrate.

Oggi essa ospita due piccole cappelle, una luterana e l’altra ortodossa (in grado di accogliere una ventina di persone al massimo), mentre alle spalle, esternamente, riposano le spoglie del più eminente cittadino di Königsberg. Il sonno del filosofo è custodito all’interno di un Cenotafio in porfido di Rochlitz, realizzato nel 1924 – bicentenario della nascita di Kant – nelle forme di un classicismo semplificato da Friedrich Lahrs. Sebbene la Cattedrale rimase in rovina per quasi tutto il periodo sovietico, il Cenotafio di Kant fu tra le prime architetture ad essere restaurate (non potendo non riconoscere il ruolo del prussiano per il pensiero di Hegel), divenendo in breve un monumento in sé, cornice di eventi pubblici ma, soprattutto, popolare tra i cittadini, che sulla tomba di Kant da allora si scambiano i voti nuziali.

La mole neorinascimentale dell’ex Borsa nuova (Калининградский областной музей изобразительных искусств, opera di Heinrich Müller) rappresenta per dimensioni il secondo tra gli edifici superstiti della vecchia Königsberg ed è oggi occupata dal Museo di belle arti. A differenza della gran parte degli edifici della città vecchia, destinati alla demolizione, le autorità sovietiche decisero di ricostruire l’ex Borsa nel 1967, dopo che le sue rovine avevano già fatto da sfondo a diversi film di propaganda come Il padre del soldato (1964), riconoscendovi inoltre “elementi tipici dell’architettura neoclassica russa”.

Nel 1928-29 Hanns Hopp realizzò (con Hermann Lukas) la “Klopsakademie” o Scuola commerciale femminile della Prussia Orientale (Ostpreußische Mädchengewerbeschule), uno tra i primi edifici Bauhaus della regione. Il complesso, chiamato scherzosamente anche “Mädchenaquarium” (acquario per ragazze) per via delle grandi superfici finestrate e la volumetria scatolare, si è preservato in buono stato di conservazione ed ospita adesso la “Casa degli ufficiali della flotta baltica” (Дом офицеров Балтийского флота).

Sempre di Hopp è l’Handelshof, oggi Municipio, realizzato nel 1923 nelle forme del Backsteinexpressionismus (l’Espressionismo in mattoni tipico delle regioni baltiche) e profondamente alterato negli anni cinquanta. L’edificio, con il grande atrio vetrato coperto, ospitava originariamente la Fiera orientale tedesca, all’epoca una tra le kermesse europee più celebrate, con espositori provenienti finanche dalla Cina, e padiglioni e negozi dedicati.

Degna di nota è anche l’ex stazione centrale (oggi stazione Kaliningrad-Passashirsky – Калининград-Пассажирский), a tre navate, costruita intorno al 1929 anch’essa secondo i canoni del Backsteinexpressionismus. La grande finestra ad arco ogivale domina ancora la facciata, strutturata attraverso otto pilastri verticali in travertino. Per il 750° anniversario della città, nel 2005, la stazione è stata completamente rinnovata con il ripristino della copertura in vetro andata distrutta nel corso della Seconda guerra mondiale.

Sebbene realizzata in piena epoca sovietica, anche la Camera dei Consiglieri (Дом Советов) poteva annoverarsi, fino a pochi mesi fa, tra i monumenti superstiti in quanto reliquia di un tempo ormai lontano (almeno concettualmente). E tuttavia, nonostante gli eventi del 1991, per tutto il trentennio successivo alla caduta dell’URSS, la Camera dei Consiglieri ha rappresentato il simbolo principale, seppur involontario, della Kaliningrad moderna, un ideale contrappunto al Castello teutonico e poi prussiano, sulle cui rovine è stata edificata. Ma le macerie frettolosamente sepolte nel 1967 e l’urgenza di costruire un simbolo della nuova città hanno riservato all’edificio un destino beffardo, rendendolo fin da subito inagibile, nonostante i ripetuti tentativi di consolidarne la struttura. Questa circostanza, che non pochi vedono come una metafora dell’impossibilità di seppellire la storia cittadina sotto le sue macerie – che continuano a reclamare le proprie memorie – ha minato qualsiasi tentativo di recuperare l’edificio, compreso quello di trasformarlo in una quinta urbana priva di spessore (una versione aggiornata dei villaggi Potemkin), così come era stato fatto nel 2005.

Nonostante nel tempo abbia acquisito un certo riconoscimento internazionale come emblema dell’incompiuto modernista,  nell’ottobre scorso sono stati avviati i lavori di demolizione.

 

Monumenti nuovi vs immaginari

Per quasi tutto il trentennio seguito alla caduta dell’Unione Sovietica, Kaliningrad è rimasta in uno stato di sospensione, legata al suo ruolo di avamposto militare e dunque lontana da qualsiasi forma di rinnovamento architettonico. In questo periodo turbolento la città ha consolidato una certa fama negativa, quasi fosse una “Marsiglia del Nord”, come ricorda Valentina Parisi nel volume Una mappa per Kaliningrad. La città bifronte (Exòrma, 2019).

Lo stadio (Калининградский Стадион), anche chiamato Arena Baltika (da agosto 2023 “Rostec Arena”), rappresenta uno tra i pochi edifici moderni realizzati dal governo federale dopo la caduta dell’URSS, vera e propria incursione di contemporaneità in un paesaggio urbano ancora sostanzialmente sovietico. Il complesso, situato sull’antica isola di Lomse, ha ospitato la Coppa del Mondo FIFA 2018 sostituendo il vecchio stadio.

Poco distante, eppure in netto contrasto con la mole imponente del Baltika, sorge un curioso isolato costituito da un tozzo faro bordato da alcune case “anseatiche”. L’aspetto generale e la vocazione turistica del complesso farebbero pensare, a prima vista, a un brano superstite o a una ricostruzione in stile ma, in realtà, il “villaggio dei pescatori” (Рыбная деревня), realizzato tra il 2006 e il 2010, è un intervento di tutt’altra natura, dal momento che non solo gli edifici non sono per nulla simili a quelli prebellici ma, soprattutto, perché non è mai esistito alcun villaggio di pescatori all’interno della città, che dista diversi chilometri dal mare.

Tra queste ricostruzioni di fantasia il faro occupa un ruolo centrale, quasi fosse un simulacro baudrillardiano, specie se si considera che la città sorge sulla riva di un fiume, lontano dalla costa. Non è sfortunatamente l’unico caso, ma la ragione dell’esistenza di questi complessi d’invenzione va collegata alla necessità, sorta negli anni, di creare un passato “addomesticato”, scollegato da una scomoda condizione storica ma in grado al contempo di razionalizzarne l’atipicità all’interno del “paesaggio” delle città russe.

Si tratta soprattutto di complessi commerciali e ricreativi, dal sapore vagamente disneyano, come il castello di Nesslebeck (замок Нессельбек) nel villaggio di Orlovka, che è stato Nesselbeck fino al 1945, dove tuttavia non è mai esistito alcun castello. Altri esempi singolari sono rappresentati dal complesso polifunzionale “Residenza dei re” (Резиденция королей) o dal centro commerciale Europa nei pressi della centralissima piazza della Vittoria (Площадь победы), l’antica Hansaplatz. Entrambi sono caratterizzati da forme storiciste che tuttavia confinano la citazione nell’ambito della rêverie, non essendo legati ad evidenze fattuali.

Nel 1948, sulle rovine dell’Università Albertina, dove per anni aveva insegnato Kant, fu installato l’Istituto pedagogico statale russo, riutilizzando alcuni locali superstiti; negli anni ’60 fu eretto, in forme ampiamente semplificate, un nuovo edificio in Paradeplatz, sulle fondamenta di quello principale distrutto durante la guerra. Il complesso ricevette nel 1966 lo status di università con il nome di Kaliningrad State University, poi cambiato in Università Federale Baltica Immanuel Kant, che mantiene tuttora.

 

L’ipotesi di restauro urbano di Arthur Sarnitz

Negli ultimi anni l’architetto kaliningradese Arthur Sarnitz ha elaborato un modello della città prebellica a partire da una complessa opera di mappatura “archeologica”, presentando i risultati alla cittadinanza attraverso una serie di ricostruzioni 3D che hanno destato profondo interesse (al pari dei diffusi plastici del centro storico realizzati negli ultimi anni, esibiti nei musei e, persino, nei centri commerciali). Lungi dall’esaurirsi nel solo sforzo di documentazione, lo studio della morfologia urbana e delle mappe catastali dell’antica città ha permesso a Sarnitz di avanzare un’ambiziosa ipotesi di “restauro urbano” che, se realizzata, prevederebbe il recupero di vaste porzioni dei quartieri di Altstadt, Löbenicht e Kneiphof. Tale operazione, concepita sull’onda dei recenti casi di ricostruzione in Germania sarebbe, nelle intenzioni del progettista, capace di sanare la frattura tra l’immagine della città antica e quella moderna, risarcendone la memoria storica senza alterare lo status quo geopolitico.

Quest’auspicio si è rivelato tuttavia, fin dal principio, particolarmente complesso in quanto intimamente connesso alle dinamiche politiche sia interne che esterne alla Federazione Russa. La ricostruzione del centro, se realizzata massicciamente e in modo filologico (per quanto questo sia possibile), acuirebbe l’evidente alterità cittadina rispetto al “mondo russo”, riaccendendo le questioni irrisolte legate agli equilibri successivi al conflitto mondiale (come il conflitto in Ucraina ha in parte dimostrato). Nell’area baltica, forse più che nella stessa Germania, la “questione di Königsberg” è infatti particolarmente sentita, non a caso qualche anno fa Inesis Feldmanis, preside della Facoltà di Storia e Filosofia dell’Università della Lettonia, ha definito l’annessione della capitale prussiana da parte dell’Unione Sovietica “un errore della storia”.

Il progetto di Sarnitz, che tra l’altro prevedeva la ricostruzione integrale del Castello dei cavalieri teutonici, è stato interrotto alcuni anni fa, sia per la complessità e il costo degli interventi (e per la poca chiarezza del regime dei suoli), che per tutti quegli umori politici che sconsigliavano proposte filologiche, favorendo soluzioni “commerciali” volte al recupero di un generico carattere “europeo” (l’aggettivo ricorrente nel lessico della moderna “ricostruzione”, almeno fino al conflitto in Ucraina).

Tale sedicente carattere è ancora alla base della realizzazione di luoghi di fantasia sospesi tra il postmodern e l’immaginario della starchitecture, come il recente e storicista Neocampus dello stesso Sarnitz dimostra. Tuttavia, a dispetto dei tentativi di rimozione o reinvenzione dell’immagine di Kaliningrad, le costruzioni dei vecchi edifici di Königsberg ancora presenti nel terreno, livellato in fretta e furia nel dopoguerra, continuano nascostamente a condizionarne lo sviluppo urbano. Sono proprio queste tracce invisibili a decretare la fortuna della sua evoluzione, nella forma benevola del sedime per nuovi complessi o, quando l’architettura tenta di obliterarne la memoria urbana, abbattendone le ambizioni, come la vicenda della Camera dei Consiglieri ci ricorda.

 

Autore

  • Marco Falsetti

    Nato a Cosenza nel 1984, è Architetto e PhD, docente a contratto presso la Facoltà di Architettura dell’Università La Sapienza di Roma. Le sue ricerche riguardano la morfologia urbana, i frammenti identitari della città moderna e il ruolo dei grandi maestri nella formazione della coscienza progettuale contemporanea. Dal 2012 svolge attività progettuale, ricevendo premi e riconoscimenti. Ha pubblicato le monografie "Roma e l’eredità di Louis I. Kahn" (con E. Barizza, 2014), "Annodamenti. La specializzazione dei tessuti urbani nel processo formativo e nel progetto" (2017). 2019 Paesaggi oltre il paesaggio" (2019)

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Last modified: 23 Gennaio 2024