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Luca GibelloWritten by: Progetti

Nuova sede Regione Piemonte a Torino: la torre dei sospiri

A un anno dalla piena operatività, visita alla tribolata opera progettata (e disconosciuta) da Studio Fuksas. Nel frattempo ha riaperto (parzialmente) il Museo regionale di scienze naturali

 

TORINO. L’inaugurazione è avvenuta in sordina, a ottobre 2022. Nella circostanza, il proverbiale understatement sabaudo è stato quanto mai propizio per passare sotto traccia una vicenda che non sarà ricordata come virtuosa.

 

Dal concorso all’opera: un’Odissea

Correva l’anno 2001 quando lo Studio Fuksas s’aggiudicava la competizione internazionale d’idee per la nuova sede della Regione Piemonte. Obiettivo ragionevole: raccogliere in un unico edificio – un grattacielo – presidenza, direzioni ed uffici sparsi per la città, azzerando i canoni di locazione e dismettendo strutture obsolete. Collocazione: simbolicamente e visivamente significativa, a chiusura della focale prospettica, verso sud, del gran boulevard urbano della Spina centrale, definito dal PRG di Vittorio Gregotti e Augusto Cagnardi, in vigore dagli anni novanta. Poi, in barba a scrupoli contestuali – i grattacieli ne saranno esenti? – si cambia sito e si elabora il progetto definitivo, calandolo su parte del comparto ex Fiat Avio, 95.000 mq a sud-est, in zona Lingotto Fiere.

La posizione più decentrata salverà tuttavia la torre – 43 piani per 205 metri, quasi 40 più della Mole – dagli strali di coloro che non volevano grattacieli in prossimità del centro; come ben sa la nuova sede d’Intesa San Paolo firmata RPBW, che in tal senso se l’è invece vista brutta, ed è stata sottomessa di qualche centimetro al monumento antonelliano.

Poi, tra bonifiche del sito e more dei tempi tecnici di appalto, si giunge alla posa della prima pietra nel 2011. Poi, a metà cantiere, fallisce l’impresa capogruppo – Coopsette – e si devono rifare gli affidi, nonché alcune opere già eseguite. Sì, perché si riscontrano irregolarità nei lavori, oltre a forniture inidonee o fallate, con conseguente intervento della magistratura, che blocca tutto. Poi, si apre un contenzioso tra progettista e committente circa la direzione artistica e le parcelle: a Massimiliano Fuksas, che s’infuria per la sostituzione della struttura in cemento armato a quella in acciaio, viene addirittura negato l’accesso al cantiere e l’architetto romano disconosce l’opera (tuttavia riportata sul suo sito web – cui si rimanda per i dati tecnici e i crediti di progetto -, mentre, per contro, la pagina sul sito della Regione non riporta nomi di progettisti). Evidentemente, il rapporto tra Fuksas e Torino è problematico, visto il precedente dell’edificio mercatale nell’area di Porta Palazzo, non certo l’opera più riuscita dell’architetto romano.

Poi, nell’autunno 2022, a 21 anni dal concorso, a 11 dall’apertura del cantiere, dopo ben 9 varianti in corso d’opera e un esborso lievitato a quasi 237 milioni (ma c’è chi parla di oltre 300 se s’includono le bonifiche), si giunge ai collaudi e alla consegna, con il trasloco dei 2.300 dipendenti (con 2.220 postazioni di lavoro, tra quelle assegnate e altre a rotazione su prenotazione) nella prima metà del 2023.

 

La visita: (dis)comfort vs spazio «infruttifero»

Abbiamo rimandato il sopralluogo per misurare il «gradimento» degli utenti a distanza di alcuni mesi dall’insediamento.

Avvicinandosi alla torre dalla direttrice di via Nizza, così come dall’adiacente fermata della metropolitana, si coglie la cesura con la prosaica edilizia periurbana nei paraggi, non mediata dall’antistante piazzale, privo di un disegno connotante. La torre – a pianta quadrata, 45 m di lato – sorge al centro di un «fossato» a cielo aperto con inserti di verde, circondato da un basamento ipogeo su due livelli che ospita il centro servizi (archivi, mensa, centro stampa e vigilanza), bordato verso ovest dai bassi volumi fuori terra del centro congressi (ancora inagibile), caratterizzato dalla pelle in lamiera grecata, cifra riconoscibile dell’ammiccante linguaggio à la page di Studio Fuksas.

Il «ponte levatoio» è costituito da un basso portale d’ingresso che introduce nel suggestivo atrio a tutt’altezza, pezzo forte dell’opera insieme alla terrazza sommitale. Tuttavia questo spazio verticale in cui, a quote diverse, sono sospesi i volumi delle sale riunioni, caratterizzati da vistose lastre inclinate, risulta piuttosto inospitale per via delle violente correnti d’aria ingenerate dall’apertura delle grevi porte: un problema comune a tutte le aperture sull’esterno, comprese quelle sul fossato, con vetri già infranti o porte inutilizzabili.

Il comfort degli uffici open space sembra apprezzabile, grazie a buone dotazioni di arredi di varia tipologia e a soluzioni volte a ottimizzare l’integrazione tra involucro e impianti, con vantaggi sul fronte del risparmio energetico. In particolare, l’involucro rappresenta tuttora un sistema tecnologicamente avanzato. Il corpo verticale presenta una doppia pelle climatizzata tra le più estese in Europa: oltre 17.000 mq di moduli vetrati nella cui intercapedine fluisce l’aria di ventilazione; inoltre, in ciascuno di essi, è collocata una tenda a rullo microforata automatizzata.

Tuttavia, nessun Dio illumina le finiture e il disegno dei dettagli: la qualità degli interni e dei rivestimenti è quella standard (leggasi «mediocre») di un’ordinaria opera pubblica italiana. Inoltre, si coglie lo sbilanciamento tra spazi serventi e serviti, con i primi che, tra vani tecnici, di servizio e distributivi, occupano oltre il 50% della superficie utile (s.l.p. totale: 70.000 mq). Rientra in questo bilancio deficitario un’ampia gamma di spazi privi di funzione: da quelli disadorni, destinati forse a rappresentanza, ai piani basamentali e sommitali, che si riducono a passaggio; ad alcune pseudo-serre multilivello ricavate sul fronte nord ma assai celate nonché disturbate dal ronzio degli impianti; fino alle coperture delle sale riunioni sospese sull’atrio a tutt’altezza, che costituirebbero affascinanti balconi interni ma il cui accesso è addirittura precluso per ragioni di sicurezza. La medesima percezione di spazio non valorizzato si coglie nella terrazza-giardino sommitale all’aperto, schermata dalle cortine vetrate verticali: vista ovviamente impagabile, ma pare di aggirarsi in una no man’s land.

 

E adesso, buona Salute a tutti!

Dalla cima, guardando giù verso ovest, con le Alpi sullo sfondo, spicca l’incompleto disegno del parco urbano che, celando un parcheggio interrato da 38.000 mq su tre livelli per oltre 1.000 posti auto ancora da realizzare (così come alcuni interventi residenziali), dovrebbe ricucire l’area fino alla stazione ferroviaria del Lingotto. Verso nord, il restante lotto del comparto Fiat Avio-Oval è una grande distesa di terra smossa dove, dopo le bonifiche che dovrebbero terminare entro l’anno, si attende la fantomatica Città della salute: un altro grande progetto strategico di riqualificazione che, tra incertezze, cambi di programma e ritardi già abissali, non parte sotto i migliori auspici. Vedremo se la torre della Regione saprà davvero diventare un fulcro per un tassello strategico della Torino che cambia.

Immagine di copertina: © Fabio Oggero

 

Riecco il Museo Regionale di Scienze Naturali, ma è solo un assaggio

Il 3 agosto 2013, lo scoppio di una bombola causava la chiusura del museo istituito dalla Regione Piemonte nel 1978 e ospitato nell’ex ospedale San Giovanni Battista in via Accademia Albertina, costruito su progetto di Amedeo di Castellamonte a partire dal 1680. Qui, dal 1936, sono custodite le ingenti collezioni del Museo di storia naturale dell’Università, man mano accresciute e assurte a referenza internazionale. Dal 13 gennaio il MRSN è nuovamente accessibile, ma si può ammirare solo una minima parte dei 7 milioni di reperti. Ci sono infatti voluti oltre 10 anni per il restauro e l’adeguamento di sole 3 sale al piano terreno, corrispondenti al primo lotto di lavori (8,3 milioni), dei 5 previsti entro il 2030. Le 3 mastodontiche gallerie voltate ospitano rispettivamente il Museo storico di zoologia (con le teche d’epoca tirate a lucido, testimoni dell’enciclopedismo ottocentesco), l’Arca delle esplorazioni (con lo scenografico allestimento a scaffali che simulano una carena di nave, firmato da Andrea Bruno a fine anni 90) e la Sala delle meraviglie, con l’anonimo nuovo allestimento, dell’architetto Massimo Venegoni: non basta dosare i segni per dirsi minimalisti, altrimenti si rischia di proporre solo pedane, scatoloni e pensiline del bus.

Autore

  • Luca Gibello

    Nato a Biella (1970), nel 1996 si laurea presso il Politecnico di Torino, dove nel 2001 consegue il dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica. Ha svolto attività di ricerca sui temi della trasformazione delle aree industriali dismesse in Italia. Presso il Politecnico di Torino e l'Università di Trento ha tenuto corsi di Storia dell’architettura contemporanea e di Storia della critica e della letteratura architettonica. Collabora a “Il Giornale dell’Architettura” dalla sua fondazione nel 2002; dal 2004 ne è caporedattore e dal 2015 direttore. Oltre a saggi critici e storici, ha pubblicato libri e ha seguito il coordinamento scientifico-redazionale del "Dizionario dell’architettura del XX secolo" per l'Istituto dell’Enciclopedia Italiana (2003). Con "Cantieri d'alta quota. Breve storia della costruzione dei rifugi sulle Alpi" (2011, tradotto in francese e tedesco a cura del Club Alpino Svizzero nel 2014), primo studio sistematico sul tema, unisce l'interesse per la storia dell'architettura con la passione da sempre coltivata verso l’alpinismo (ha salito tutte le 82 vette delle Alpi sopra i 4000 metri). Nel 2012 ha fondato e da allora presiede l'associazione culturale Cantieri d'alta quota

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Last modified: 19 Gennaio 2024