Aspettando il 2024, considerazioni a valle di un itinerario arbitrario nel panorama espositivo globale
Fine anno è momento di bilanci, si sa, e i bilanci portano con loro numeri e classifiche, valutazioni, apprezzamenti e critiche.
Nel campo del “mostrare”, matura arte del comunicare attraverso l’allestimento dello spazio, le mostre, genericamente intese, costituiscono un patrimonio ingente, anche se solo scrutato attraverso la finestra dei dodici mesi dell’anno solare, finestra che già un poco va a stridere con le stagioni di musei e fiere che preferiscono il ciclo autunno – inverno, e quello primavera – estate, in questo simpaticamente affini alla moda. Protestata l’impossibilità di fare un bilancio fondato e, ancor più, abbandonata la presunzione di poter affermare di aver visto tutto nell’anno 23 del terzo millennio, la riflessione va a ciò in cui ci si è imbattuti, o si è voluto scegliere e scovare, certi di un’indifendibile arbitrarietà che, forse, può però portare a delineare elementi di un qualche interesse.
Il primo grande discrimine è posto dalla domanda: perché fare una mostra? E qui c’infrangiamo su un insormontabile scoglio, quello dei numeri. Le mostre vivono del pubblico, del numero di visitatori che attirano, del denominatore che mettiamo nel maledetto/benedetto quoziente che ci dà il costo a contatto. Non c’è museo, ordinatore, allestitore, artista, ente o fiera che, alla fine, anche se magari non vuole ammetterlo, non guardi al benedetto numero e che gioisca, o si deprima, se questo è più o meno grande. Certo, si dirà, ma ben contano la qualità, il rigore scientifico, la straordinarietà dei pezzi esposti, l’unicità del luogo… ma tutti, ammettiamolo, cadiamo più che sovente nel valutare una mostra in base al numero dei visitatori avuti o attesi. E, gioco forza, si costruiscono mostre per avere grandi numeri.
Così, se confrontiamo una piccola, piccolissima mostra tenuta presso la Fondazione Cini a Venezia in estate, “Luciano Baldessari. Architetture per la scena”, con un grande evento di Palazzo Reale a Milano, prendiamo ad esempio “Goya. La ribellione della ragione” – ma molte altre potrebbero essere – vediamo un Davide che muore schiacciato da Golia, almeno nei numeri. La ricerca che porta a trarre da un archivio piccoli disegni che testimoniano e aprono alla mente un periodo straordinario che lega futurismo, razionalismo, espressionismo nello spazio delle architetture disegnate per le scene, certa di presentarsi ad un manipolo di ardimentosi, nulla ha a che fare con una rassegna completa che articola in sette sezioni il percorso di un gigante della storia dell’arte che si presenta al mondo dalle sale del Piermarini che una volta ospitavano i Reali. Davide è il frutto di una ricerca per pochi, Golia si mostra nella sua possanza per molti. Al pubblico il compito di guardare, capire e, se vuole, giudicare.
Il panorama internazionale è ricchissimo di mostre che musei ed istituzioni allestiscono per il grande numero, ma bisogna pur riconoscere una qualità che spesso eccelle. Si pensi a “Edward Hopper’s New York”, ottimamente allestita nelle amplissime sale del nuovo Whitney disegnato da RPBW a Manhattan, o alla preziosa retrospettiva su Mark Rothko, presentata alla Fondation Vuitton a Parigi, ove, ad esempio, le opere della serie Black and Grey del 1969-1970 dialogano con le figure a grande scala di Giacometti nella sala più alta dell’enorme edificio disegnato da Frank Gehry.
Mostra come scoperta e valorizzazione di luoghi
La mostra serve anche a scoprire e valorizzare luoghi consolidati, come è accaduto a chi ha visitato a Vicenza “La proporzione aurea”, ove una raffinata proiezione dimostra in loco la costruzione in sezione aurea della Basilica palladiana.
Ma le mostre nei musei sono anche mezzi di rinnovamento e occasioni offerte al pubblico per tornare a visitarli. Alterni i risultati. Al Metropolitan Museum di New York, istituzione che non ha bisogno di presentazioni, si poteva ammirare a inizio anno “Chroma: Ancient Sculpture in Color”, esperimento espositivo che collocava copie interpretate cromaticamente seguendo approfondite ricerche in mezzo ai pezzi originali con un risultato cacofonico. A Milano la fine d’anno ci ha portato il rinnovamento di un’ala significativa del Museo di Storia naturale che, con “Tracce”, indaga con eleganza e respiro l’evoluzione dell’uomo.
Ricorrenze e multimedialità
Le mostre cadono, giustamente, a consacrare le ricorrenze. Il nostro beneamato Pinocchio, quest’anno, ha visto compiersi i 140 anni dalla sua prima edizione, nel 1883. La storia del burattino più famoso del mondo era in mostra a New York, “Guillermo del Toro: Crafting Pinocchio”, al MoMA, ed ora lo è all’ADI Design Museum di Milano, con “Carissimo Pinocchio”. Lo stesso personaggio, la stessa ricorrenza: una muscolare rappresentazione del dietro le quinte del making of di un film che porta grossolane licenze alla verità storica, da una parte, l’interpretazione di designer e grafici dall’altra; una produzione internazionale di una stop-motion animation contro fogli di carta disegnati. Chissà cosa avrebbe scelto il maestro Lorenzini.
L’affermazione, quasi a livello di standard espositivo, della dimensione multimediale o, comunque, la presenza diffusa d’installazione e ausili di questo tipo, può essere letta anche in questa chiave numerica. La “modernizzazione” introdotta dalla narrazione multimediale si ritiene arrivi più immediata al grande pubblico e porta a concepire ambienti totalmente immersivi che possono fare tranquillamente a meno di opere e spazio allestito, purtroppo, come succede ad esempio a Torino, con “Klimt: The Gold Experience”, o a Milano e Roma, con “Van Gogh Experience”.
Le Biennali
Molto si è detto e scritto sulla Biennale veneziana di Architettura e dei suoi allestimenti, stretti fra l’installazione artistica imperante, la tecnologia e la mise en place pervasiva dell’ideologia, ma, facendo un salto a Oriente, nel bellissimo edificio già da tempo recuperato della Power Plant di Shanghai, potete godere della 14th Shanghai Biennale, Cosmos Cinema, dove un corretto rapporto fra opere e allestimento permette di godere della bellezza e del fascino di un grande spazio cinematografico ove artworks e persone galleggiano senza uso di tecnologia, ma solo con il sapiente uso della luce e della composizione.
Le monografiche
Molte le mostre dedicate a personaggi e alla loro opera. Fra gli architetti e i designer “Riccardo Dalisi_Radicalmente”, al MAXXI di Roma, vede una scelta estetizzante utilizzata per presentare un’attività complessa e forse irriproducibile, mentre “Alberto Meda_Tensione e leggerezza”, alla Triennale di Milano, convince con una concreta atmosfera da laboratorio.
Si (ri) scopre la dimensione famigliare del progettare sempre al MAXXI con “Aalto – Aino Alvar Elissa_La dimensione umana del progetto”; ma su questo piano appare ben più convincente il confronto/dialogo fra le due vite da militanti di “Antti + Vuokko Nurmesniemi”, presentate al Design Museum di Helsinki da un solido, quanto semplice ed efficace, allestimento.
Che la semplicità paghi, quando si hanno contenuti, lo dimostra anche la piccola, ma estremamente significativa retrospettiva dedicata a “Dieter Rams: uno sguardo al passato e al futuro”, passata all’ADI Design Museum di Milano. Il compito diventa più arduo, quando da mettere in scena sono personaggi attivi in altri campi. L’approccio può essere analogico, come avviene in “Favoloso Calvino”, straordinario scrittore di mondi immaginari che viene raccontato au contraire con meticolosità documentale alle Scuderie del Quirinale a Roma; oppure totalmente digitale, come nell’autobiografia scientifica e artistica di “Orhan Pamuk. Parole e Immagini”, al Labirinto di Franco Maria Ricci a Fontanellato. O, ancora, si può narrare una vita grazie alla forza dell’installazione artistica, utilizzata nella mostra raccolta ed efficace dedicata alla massima diva della lirica, “Fantasmagoria Callas”, al Museo Teatrale alla Scala di Milano.
Le mostre di un sol quadro sono ormai tradizione consolidata e di successo per chiudere l’anno, come si può vedere a Milano, che ospita per l’occasione a Palazzo Marino “Perugino. Il Battesimo di Cristo”, e al Museo Diocesano, “Beato Angelico. Storie dell’Infanzia di Cristo”, ma anche a Lecco, con “Michelangelo, Il Segno del Padre”.
Tutto digitale
Non si può non citare chi ha scelto la strada totalmente digitale e lo ha fatto in tempi non sospetti. La sesta edizione di The Wrong Biennale, partita nel 2013, presenta un gigantesco padiglione rosa, The New Float, collocato virtualmente a Berlino giusto al fianco della Neue Nationalgalerie di Ludwig Mies van der Rohe e di fronte alla Philarmonie di Hans Scharoun. L’operazione apre prospettive insolite e pone lo spettatore di fronte ad un non facile confronto con il nuovo museo firmato Herzog & de Meuron in costruzione sull’area stessa.
Sempre rimanendo a Berlino, ma nel mondo reale, la Hamburger Bahnhof presenta nella sua sala principale, ove un tempo venivano esposti i treni che ancora prima qui fermavano, una spettacolare installazione di Eva Fàbregas, “Devouring Lovers”, che, ancora una volta – è proprio il caso di dirlo – dimostra che le installazioni site specific sono vere e proprie opere di allestimento e che l’arte e gli artisti sono, ormai, progettisti di spazi abilissimi nel trovare brillanti soluzioni e tracciare nuove strade.
Così un anno è passato, fra mostre che si distribuiscono con alterne fortune fra arte, scenografia, multimediale, immersivo, esperienziale, analogico, di ricerca.
Attendiamo fiduciosi il 2024, pronti ad apprezzare ciò che ci mostrerà.
Immagine in evidenza: allestimento di “Guillermo del Toro: Crafting Pinocchio” (courtesy MoMA)
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allestimenti , installazioni , mostre
Last modified: 8 Gennaio 2024