La “porta d’Europa” è anche un’isola dalle molte risorse che attende un convincente progetto di ripensamento, anche architettonico
LAMPEDUSA (AGRIGENTO). Storico crocevia di traffici rivolti più all’Africa che all’Europa, Lampedusa è la principale isola dell’arcipelago Pelagie (o “isole d’alto mare”, di cui fanno parte anche le più piccole Linosa e Lampione). Distante 205 km da Porto Empedocle e 167 km da Ras Kaboudja (Tunisia), l’isola, negli ultimi anni, è sempre più spesso al centro della cronaca perché obbliga al confronto con uno dei temi più cruciali della contemporaneità: quello della migrazione. A partire da fine anni novanta Lampedusa è infatti diventata uno dei principali approdi delle rotte delle migrazioni clandestine, tanto da essere universalmente considerata la “porta d’Europa”, come ricordato anche dalla grande scultura di ceramica refrattaria, opera di Mimmo Paladino, inaugurata nel 2008 all’imbocco del porto.
La condizione di avamposto d’Europa impone un ripensamento su cosa significhi controllare un territorio di appena 20,2 kmq stabilmente abitato da 6.373 abitanti e da circa 400 militari, appartenenti alle varie forze dell’ordine, che, con la loro massiccia e tangibile presenza, modificano la percezione di isola dedita alla pesca e al turismo e rendono necessario il mantenimento di attività commerciali e ricettive che, nel passato, avevano carattere stagionale.
Lampedusa è l’approdo di chi sogna l’Europa ed il molo Favaloro è lo spazio dove vengono assiepati i migranti appena sbarcati. Qui, su una piattaforma di cemento lunga 150 metri priva di acqua potabile, di ripari dal sole e di posti a sedere, nei giorni in cui gli sbarchi sono più frequenti, i migranti restano per ore nell’attesa di esser registrati e trasferiti all’hotspot.
Al cruciale e inderogabile ruolo di approdo migratorio che la geografia e la storia più recente attribuiscono a Lampedusa non ha corrisposto, negli anni, un’adeguata capacità di previsione e gestione degli arrivi. L’isola continua infatti a vivere cicliche e tragiche emergenze dovute alla difficoltà di fronteggiare il numero sempre crescente di esseri umani in arrivo e a vivere la distopica realtà di un’isola presidiata in cui, quasi senza sfiorarsi, convivono migranti e turisti in vacanza.
Il primo Centro di permanenza temporanea e assistenza, allestito nel 1998 vicino all’aeroporto, con i suoi 186 posti si è subito rivelato insufficiente. Per rispondere alla crescente pressione, nel 2007 è stato inaugurato il Centro di Accoglienza di Contrada Imbriacola, capace di ospitare 381 persone. Nel gennaio 2009 la struttura viene trasformata in un Centro di identificazione ed espulsione, chiuso nel 2011 a seguito di disordini. Successivamente, con l’approvazione dell’Agenda europea sull’immigrazione, a settembre 2015, diventa un hotspot che, nonostante il flusso di migranti sempre più massiccio, è rimasto immutato poiché privo d’investimenti per aumentarne la capacità di accoglienza e migliorarne l’operatività. Come tutti gli altri hotspot presenti sul territorio italiano, anche quello di Lampedusa dipende dalla Prefettura provinciale ed è stato finora gestito da cooperative selezionate mediante gare al massimo ribasso.
Da giugno di quest’anno (e fino al 31 dicembre 2025) la gestione del solo hotspot di Lampedusa è passata alla Croce Rossa Italiana, che ha dichiarato di voler risolvere le emergenze emerse con lampante evidenza a settembre: a fronte dei circa 400 posti, si sono registrate ben 7.000 presenze che hanno spinto il Comune a proclamare lo “stato di emergenza”, data l’impossibilità di fornire cibo, acqua e cure di base ai così tanti uomini, donne e bambini giunti disidratati, malnutriti e feriti dopo aver compiuto la lunga traversata del Mediterraneo.
Una perla del Mediterraneo, ma senza qualità architettonica
Se Lampedusa, a causa della sua posizione geopolitica, impone degli interrogativi su cosa sia l’accoglienza e su cosa significhi controllare un territorio, al contempo, è anche una delle più belle isole del Mediterraneo, con acque cristalline, fondali in cui ammirare spugne e pesci rari e un paesaggio aspro e a tratti arido, i cui colori e profumi mutano con l’alternarsi delle stagioni. Non a caso, per tutelarne il patrimonio naturalistico, nel 1995 è stata istituita la Riserva naturale gestita da Legambiente e dal 2002 è stata istituita l’Area marina protetta delle Pelagie che copre un’area di 4.136 ettari.
A Lampedusa è anche presente un buon tessuto imprenditoriale, che è riuscito a sviluppare un’ampia offerta turistica. Tuttavia, all’incessante attività edilizia corrisponde una scarsa qualità architettonica e, come avviene nel resto della provincia agrigentina, costruire senza sosta e senza un’idea di città pare essere più importante che non riqualificare il patrimonio esistente.
Tra i pochi interventi che appaiono di segno contrario si evidenziano il progetto firmato da Vincenzo Latina per il riutilizzo dell’ex Cava Posta tra Cala Francese e Punta Sottile e quello per il recupero dell’ex Base Nato Loran. Nell’ex Cava sono in corso i lavori per trasformarla in Teatro naturale e Memoriale delle migrazioni. Oltre ad accogliere un’imbarcazione utilizzata per arrivare a Lampedusa, sulla parete perimetrale sud-est della cava saranno realizzati 368 fori per ricordare il numero di vittime del tragico naufragio del 3 ottobre 2013. Per quel che riguarda l’ex Base Nato Loran, arenatasi l’idea di trasformarla in Centro studi internazionale per la pace, con un progetto che avrebbe dovuto esser affidato a Stefano Boeri, l’Agenzia delle Dogane e Monopoli, che ha ormai in gestione l’area, ha recentemente bandito la gara per la ristrutturazione edilizia e riqualificazione ambientale e paesaggistica della struttura, da utilizzare per alloggi e uffici delle Forze dell’Ordine che soggiornano nell’isola, i cui lavori (con un importo di 4.893.719,00 euro) sono appena iniziati.
Con il PNRR, la transizione ecologica
Il Programma Isole Verdi, attivato nell’ambito del PNRR, prevede la transizione ecologica con l’investimento di circa 7 milioni a Linosa e di circa 34 milioni a Lampedusa. L’acquisto di bus elettrici, gli incentivi per l’acquisto di veicoli e monopattini ecologici, le colonnine di ricarica, i distributori di acqua potabile per ridurre l’utilizzo di bottiglie in PET, i nuovi dissalatori, gli incentivi per gli impianti fotovoltaici, l’ammodernamento e ampliamento della rete di distribuzione dell’energia e la realizzazione di un impianto eolico alimenteranno una rivoluzione ecologica che contribuirà a tutelare l’ambiente delle Pelagie e a ridurre i costi per l’energia e la mobilità. Ciò che ancora pare mancare è la riflessione operativa su cosa possa e debba fare l’architettura contemporanea per ripensare l’idea stessa di questa città che è al contempo fortezza e porta d’Europa.
Immagine di copertina: L’abitato visto dal porto (© Archivio AutonomeForme)
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Last modified: 28 Novembre 2023