Riflessioni intorno agli scenari sul possibile crollo della Torre Garisenda
BOLOGNA. All’ombra delle due torri, i giorni intorno al 19 novembre, quando il Comitato tecnico scientifico (CTS) per il consolidamento della Torre Garisenda ha depositato la sua relazione, sono stati accompagnati dalle passerelle, dalle prese di posizione, dalle polemiche. La vecchia torre pendente, finché sta in piedi, catalizza il dibattito cittadino, in una babele di commenti di urbanisti e fumettisti, cantanti ed architetti e persino di preti che – almeno loro – dovrebbero ricordarsi di come le torri – e specialmente quelle in laterizio – siano già state causa di divisioni tra gli uomini e i loro linguaggi. E qualche frizione tra scienza e amministrazione la città la sta registrando, e non è escluso si tratti anche di un problema di codici.
Collasso imminente?
Del progredire dello strapiombo della torre durante il secolo scorso, questo Giornale aveva già fatto cenno nel 2009, quando Gilberto Dallavalle (Studio Ceccoli e Associati), progettista di tutti gli interventi strutturali sulla Garisenda, vi aveva installato nuove cinture, ultima fase della campagna di restauri avviata nel 2000 con il progetto di Francisco Giordano.
Sul finire del 2018, un primo comitato scientifico, costituito dal Comune su suggerimento del professor Tomaso Trombetti, mise nero su bianco l’incremento dello schiacciamento della base verso lo strapiombo e le scarsissime capacità resistenti della muratura a sacco del basamento. Nel 2020, un nuovo comitato ristretto denunciò una probabilità di collasso 10.000 volte superiore a quella concessa dalle norme, confermata, nel 2021, da un rischio di crollo del 1,5% e da un’aspettativa di vita che, in quell’anno, si dimostrava già scaduta da oltre un decennio.
Contro tali vaticini, l’opinione pubblica – e, con essa, quella assurta ad Amministrazione – poteva facilmente addurre il fatto che, per malandata che fosse, la torre era ancora al suo posto, e l’Università una Cassandra, alla quale, forse per sfiducia o per scaramanzia – o più probabilmente e peggio solo per noncuranza – si ritardò a rinnovare il contratto per l’esame degli spostamenti e delle oscillazioni fino al 6 ottobre scorso, quando – ad allerta suonata – ci si è trovati con due anni di dati da sbobinare, e la torre, fortuitamente, ancora in piedi.
L’allarme lo ha lanciato lo stesso Trombetti il 3 ottobre, sostenuto a stretto giro dal professor Renato Lancellotta: l’estensimetro alla base dello spigolo sud-ovest della torre, nel periodo 2022-23, denuncia per la prima volta un principio di schiacciamento. Il vecchio Anteo, insomma, non solo si piega verso il chinato, ma avrebbe cominciato a farlo con una riverenza barocca, in un movimento di rotazione – impercettibile ma presente – inadeguato alla sua età e alla sua forma, nel quale rischia d’inciampare e cadere.
Una questione (anche) simbolica
La città si ferma. Per ascoltare la torre ci vuole silenzio. Ce ne vorrebbe invero anche per individuare le migliori soluzioni a sostenerla, ma questa è un’altra vicenda, che si sta ancora giocando.
Immediatamente il problema si presentò simbolico e urbanistico. Simbolico perché la città delle due torri, al rischio di perderne una, non potrebbe esimersi dall’interrogarsi se considerarsi ancora la stessa città. Quasi si trattasse del palo sacro degli Achilpa nella narrazione di Eliade, la sua rottura porterebbe alla dispersione della comunità e alla morte solitaria di ogni suo membro, condannato alla follia.
Poco più di un secolo fa, invece, la “fosca e turrita Bologna” di Carducci, appena una decina d’anni dopo la morte del poeta, non ebbe tema – al netto di qualche voce contraria – di demolire le torri Artemisi e Riccadonna in nome di un progresso in cui si aveva speranza. Oggi, la forma del vivere aggregato si ipostatizza (unicamente) nell’immagine dei monumenti del passato, per cui la loro conservazione è indiscutibile, “costi quel che costi”, foss’anche andare contro la gravità. E, nello specifico, proprio di questo si tratta.
Occorrerà poi misurare quanto le dichiarazioni di principio sapranno maturare in prassi di cui accettare anche i temporanei discomfort, perché le due torri si trovano in un nodo nevralgico del trasporto pubblico urbano, del quale – prima per nuove rilevazioni, poi in via precauzionale – è stata interrotta la viabilità. Avendo, la città storica, ormai assunto un’aura sacrale, si rischia di presupporne la permanenza indipendentemente da buone pratiche di conservazione. Invece, come dimostra la Garisenda, Bologna è una città fragile, di selenite e arenarie inconsistenti e sabbiose che l’abbondanza delle piogge, l’inquinamento e le vibrazioni portano facilmente a disgregarsi, come dimostrano in modo impietoso le immagini dei portici, dei palazzi e delle chiese sopravvissute alla guerra e poi logorate dall’uso, abuso, traffico e inquinamento. Di questa situazione d’allerta, la Garisenda potrebbe esser un’autorevole – per quanto tardiva – sentinella, utile ad indurre un ripensamento delle modalità di fruizione e conservazione del centro storico, mutando in opportunità una fase di pubblica inquietudine.
Pronostici difficili
Quanto alla Garisenda, non si può indulgere troppo all’ottimismo. Se “tutte le cose traveste il tempo”, tanto più questo manufatto snello, pendente ab origine, coinvolto in incendi ed usi impropri, compresa una fornace, rimossa a fine ‘800, che ne cosse dall’interno una porzione delle murature basamentali già provate dall’ingente carico eccentrico.
Chi attendeva dalla relazione del CTS informazioni precise sull’aspettativa di vita è rimasto deluso, ma occorre rammentare che manufatti eretti empiricamente sono difficili da schematizzare in modelli matematici che ne simulino il comportamento. Tanto più che fenomeni di coesione o disgregazione hanno avuto secoli per alterare localmente la capacità resistente e la stessa struttura cristallina del conglomerato e della selenite che costituiscono rispettivamente anima e cassaforma dell’opera cementizia in cui consistono le murature fino a 3,5 metri d’altezza, finite poi in laterizio fino ai 48 metri della sommità. Presupporre la natura compatta e unitaria dei paramenti murari è un’ipotesi insostenibile anche alla luce dei più recenti carotaggi e della stessa geometria della torre, che l’inclinazione espone a condizioni opposte, con il lato ovest offerto al crescente ruscellamento delle acque, quello est protetto dalla pioggia ma gravato del maggior peso della torre. Mentre ci si orienta verso rappresentazioni in Heritage Building Information Modeling (HBIM) per stratificare le notizie complesse che nel tempo hanno riguardato il manufatto, nell’assenza di una pervasiva conoscenza della muratura, imperfetta è anche la possibilità di profezia.
Governare il crollo
Del crollo, dunque, è incerto il quando, ma non il come: simili conformazioni sono soggette a rottura improvvisa come suggerisce l’analisi dei modelli, ed anche l’esperienza, non essendo poi così lontani i precedenti del Campanile di San Marco (1902) e, più significativo e recente, il crollo della Torre civica di Pavia (1989).
Puntuale sull’analisi, la relazione del CTS è però timida quanto ad indicazioni progettuali. A tutela dell’eventualità più infausta, è in corso di progettazione un’alta paratia di emergenza, realizzata in accordo con la Protezione Civile, che impedisca alle macerie di danneggiare gli edifici all’intorno e particolarmente la torre Asinelli. Poi si tratterà di garantire alla Garisenda un girello o una stampella, e per questo progetto sarà nominata un’apposita commissione operativa, che si confida riesca a vedere anche le proprie opere realizzate.
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bologna , crolli , restauro
Last modified: 27 Novembre 2023