Presso Eataly Art House l’omaggio a un maestro della creatività
VERONA. Nonostante sia passato già un quarto di secolo dalla scomparsa, la figura di Bruno Munari (1907-1998) continua a rimanere un riferimento vivo e attuale. Lo si deve ai tanti versanti ai quali applicò la sua “fantasia” – viene facile prendere a prestito il titolo di uno dei suoi fortunatissimi libri – da cui deriva anche una certa difficoltà nel definirne il ruolo: artista e designer, grafico e pedagogo, docente e studioso di metodologia progettuale. Inutile tentare di separare i campi della sua attività, tanto che “munariano” è diventato il termine per definirne il metodo e gli esiti creativi.
Per chi voglia tuffarsi nel suo mondo, l’occasione è offerta da una mostra curata da Alberto Salvadori e Luca Zaffarano, con la collaborazione di Repetto Gallery di Lugano, e intitolata «Bruno Munari. La leggerezza dell’arte», allestita presso gli spazi di Eataly Art House (E.ART.H.) fino a fine marzo. In consonanza con gli obiettivi della giovane realtà nata all’interno dello store in riva all’Adige della gastro-chic-nomia farinettiana, l’esposizione è incentrata sulla figura di Munari artista: in parallelo, l’Art Market insinuato tra scaffali e banconi dello shopping culinario delle siore scaligere offre infatti l’opportunità di mettere nel carrello alcune delle molte opere grafiche di Munari ancora in circolazione.
Ma è al primo piano della Rotonda degli ex Magazzini Generali che si dipana il progetto espositivo, ripercorrendo le tappe fondamentali dell’attività di Munari attraverso tutto il Novecento. Il percorso è organizzato in sezioni tematiche – La regola e il caso, Il dinamismo di una forma, Fantasia, Dipingere con la luce – dedicate agli ambiti d’indagine che hanno caratterizzato il suo lavoro sin dagli inizi. Alle opere definibili a pieno titolo come prodotti artistici, s’interpongono alcuni degli oggetti simbolo di un’idea d’industrial design al tempo stesso ludica e iconica, razionale e poetica: dal posacenere Cubo alla scimmietta Zizì – nata come gadget della Pirelli per dimostrare le potenzialità della gommapiuma –, dalla lampada Falkland all’Abitacolo, struttura da abitare nel microcosmo domestico. E poi ancora le fondamentali esperienze nell’ambito editoriale: a Munari si deve tra l’altro l’impostazione grafica di alcune delle collane Einaudi – quando ancora era “l’Einaudi” – come le mitiche NUE o Nuovo Politecnico. Ma per dirsi munariani basta riconoscersi nelle irresistibili Forchette parlanti, nei Libri illeggibili o forse nelle Sculture da viaggio: arte prêt-à–porter.
L’ultima sala della mostra è interamente dedicata a opere incentrate sull’uso della luce, intesa come materia scultorea in grado di definire lo spazio architettonico in cui è posta. Ecco le Macchine inutili degli anni Trenta che proiettano ombre astratte grazie al movimento casuale degli elementi della macchina. Concavo-Convesso (1947) è invece una composizione di rete metallica piegata sospesa in un ambiente semi-oscuro: le rifrazioni delle sue ombre sulle pareti danno luogo a continue mutazioni. Per le Proiezioni dirette del 1951 Munari utilizza dei telai di diapositiva ponendo al loro interno vari materiali che, proiettati, creano ambienti immersivi di grandi dimensioni e spettacolarità, anticipando con una tecnologia semplice molte tendenze artistiche legate ai nuovi media. Ma, appunto, non è stato forse Munari un maestro di creatività, invenzione, immaginazione e “fantasia”? La mostra ce ne dà una bella conferma.
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Bruno Munari , mostre , verona
Last modified: 13 Novembre 2023