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Christian De IuliisWritten by: Patrimonio

Ri_visitati. Gli hangar scomparsi di Orbetello

Nell’idroscalo abbandonato, un masterplan prevede la demolizione dei lacerti dell’opera di Pier Luigi Nervi

 

Il passato

Quando il computer non era nemmeno prevedibile e il cemento armato materia per ardimentosi, qualcuno, più coraggioso degli altri, spingeva più avanti il confine dell’immaginazione. “La scienza delle costruzioni”, scriveva Pier Luigi Nervi nel 1955 in Costruire correttamente,resta pur sempre inferiore alle possibilità creative e costruttive offerte alle possibilità dei progettisti”. Occorreva, appunto, ragionare oltre lo schema teorico, provare qualcosa d’inedito, scovare certezze alle quali agganciarsi.

Sono questi i motivi che spinsero Nervi, l’ingegnere nato a Sondrio nel 1891, amante dell’architettura e protagonista del Novecento italiano, ad affidarsi, già nel 1935, al Laboratorio Politecnico di Milano, per lo studio sperimentale delle sollecitazioni su modelli in celluloide realizzati in perfetta scala. È il primo passo che lo condurrà alla realizzazione di una serie di strutture composte da elementi prefabbricati prodotti in officina e assemblati in cantiere. Principalmente coperture di grandi dimensioni, tra le quali restano emblematici gli hangar realizzati prima a Orvieto e successivamente, con le dovute migliorie, anche a Orbetello e Torre del Lago per conto della Regia Aeronautica Militare che li scelse tramite appalto-concorso. La proposta di Nervi fu preferita alle altre non solo per la convenienza economica ma anche e soprattutto per l’uso limitato dell’acciaio, per il cui approvvigionamento l’Italia, in quel momento, era dipendente dalle forniture estere.

Orbetello (Grosseto) gli hangar potenziarono il più noto idroscalo italiano, sorto nei primi anni del XX secolo e in seguito teatro delle cerimonie fasciste poiché punto di partenza delle imprese “per aria”. Da lì decollarono le cosiddette “Crociere nel mediterraneo” e le trasvolate atlantiche, ideate dal generale Italo Balbo per dimostrare l’efficienza dell’aviazione italica.

L’idroscalo fu il fiore all’occhiello dell’Aeronautica Regia: insieme agli edifici che ospitavano gli uffici, nell’area vennero costruite le palazzine per gli ufficiali e le loro famiglie. Piccole architetture razionaliste affiancarono le preesistenti costruzioni in stile umbertino.

Nervi intraprese la costruzione degli hangar in pieno periodo di autarchia economica, con tutte le difficoltà del momento, prima fra tutte il reperimento delle materie prime. Per realizzare uno spazio coperto di 100 metri di lunghezza, 40 di larghezza e 12 di altezza, si affidò ad una serie di travi reticolari frammentate in decine di parti che, unite, andavano a formare una semicupola geodetica. Ognuno di tali frammenti (dal peso massimo di 1.300 kg, adeguato per le attrezzature a disposizione) venne giuntato in cantiere con getti di calcestruzzo e saldature elettriche e fissato su travi piene laterali, snelle, dritte o curvate che seguivano le direzioni massimamente sollecitate della copertura. Il tutto poggiava su sei pilastroni dall’iconica forma a “Y” che riproporrà anche in altre opere (una su tutte, il palazzetto dello sport di Roma). Tre lati della struttura vennero, infine, chiusi per dare maggiore rigidità all’edificio, così gli idrovolanti entravano dal lato corto che si apriva grazie a due portali scorrevoli, accanto ad uno dei quali Nervi posò in una foto iconica che tuttora dimostra le dimensioni ciclopiche dell’aviorimessa. Ad opera terminata, la vista delle nervature, dall’interno, conferiva dignità architettonica e indubbio fascino all’enorme copertura, tanto da rappresentare una sorta di decorazione strutturale che venne ripresa decine di volte, in numerose varianti, in altre strutture.

Terminati nel 1940, a conflitto mondiale già iniziato, gli hangar ebbero vita breve. Durante la risalita lungo la penisola, i tedeschi prima li utilizzarono per l’alloggio dei velivoli della Luftwaffe ma, successivamente, nel giugno 1944, arretrando sulla linea Gotica, una pattuglia di guastatori li distrusse minando i pilastroni d’angolo. La copertura collassò di colpo, appiattendosi al suolo.

Ho potuto constatare”, scrisse Nervi, “esaminando le macerie, che i nodi avevano resistito meglio degli elementi e risultavano quasi tutti integri. Non prevista, ma eloquente prova della sostanziale monoliticità statica che può raggiungersi con l’unione di elementi prefabbricati”.

Nervi, incoraggiato, ripropose il sistema costruttivo prefabbricato non appena le condizioni glielo suggerirono. Ad esempio a Torino in occasione del palazzo delle esposizioni di Italia ’61 e al Lido di Ostia nella rotonda Kursaal, ma anche per la realizzazione del viadotto su corso Francia a Roma.

 

Il presente

L’idroscalo oggi è in stato di abbandono. Delle residenze degli ufficiali e delle strutture al servizio dell’aeroporto restano solo isolate tracce. Resistono pochi corpi di fabbrica tra cui la palazzina di comando, costruita negli anni trenta, il circolo canottieri e altri piccoli immobili che furono utilizzati come alloggio del personale militare.

Dei due hangar di Nervi rimane in piedi solo una porzione del muro di tamponamento (di nessun valore architettonico) retrostante all’aviorimessa di ponente, ovvero quella posizionata sul piazzale dei “Trasvolatori atlantici” e che sostituì gli originari fabbricati per la rimessa degli apparecchi (la serie di capannoni col tetto a doppia falda, riportata nella maggior parte delle foto d’epoca).

Così oggi “Il viaggio nella perduta architettura di Nervi”, come scrive Mariano Ranisi in L’Architettura della Regia Aeronautica (Roma, 1991), “è possibile farlo (solo) nella dimensione dell’immaginario, per recuperare le indicibili emozioni che offrivano gli invasi o il luogo aeroportuale”. Sono le testimonianze, le immagini dei cantieri nerviani e le parole degli storici a mantenere vivo il ricordo di un luogo letteralmente scomparso. Ai piedi della parete e nello spazio che fu dell’aviorimessa oggi vi è un rimessaggio di barche, molte delle quali ridotte in frantumi. Nell’area, accessibile liberamente, lo sguardo cerca invano altri segni; ci si smarrisce, intontiti da un inquietante silenzio, nemmeno scalfito dal sussurrio dei canali, il fosso Glacis e il fosso Reale, di cui appena si coglie il verso. È forse la laguna a mettere la sordina ad ogni tentativo di ricanto?

Di recente, l’idroscalo è tornato, suo malgrado, nelle pagine di cronaca. Il 9 marzo 2022 il consiglio comunale ha approvato una mozione del gruppo di maggioranza che lo intende intitolare a “Italo Balbo aviatore”. La decisione, duramente contestata dalle opposizioni, è ancora sul tavolo della prefettura che dovrà decidere se ribattezzare l’idroscalo scippando il nome all’attuale titolare: Agostino Brunetta, pilota d’idrovolante, eroe pluridecorato della prima guerra mondiale.

 

Il futuro

Nel 2005 l’area dell’idroscalo, insieme a quella della rocca e di Porta Nova, è stata acquisita al patrimonio comunale. Contestualmente venne redatto uno studio di fattibilità per “la riqualificazione e valorizzazione dell’area come sistema di spazi e attrezzature d’uso pubblico”. In particolare le aree libere venivano destinate a parco pubblico con l’obiettivo di riqualificare il sito, amplificando l’offerta in termini di spazi e attrezzature per incrementare gli standard urbanistici presenti sul territorio comunale.

A maggio 2023 è stato adottato il nuovo strumento urbanistico: il Piano operativo comunale che nella sostanza recepisce le indicazioni dello stato di fattibilità. Nella scheda operativa dedicata si legge che la finalità dell’azione di pianificazione “prevede un progetto guida urbano di iniziativa pubblica unitario (…) di tutela/valorizzazione dell’intera area, tramite inserimento di funzioni di eccellenza all’interno dei manufatti dismessi, interventi puntuali di demolizione e ricostruzione, restauro delle emergenze architettoniche e valorizzazione ambientale e paesaggistica diffusa”. Tra gli obblighi del masterplan, propedeutico a qualsiasi tipo di progetto, c’è quello di valorizzare gli elementi tipici del Parco delle Crociere, recuperare la palazzina di comando e il circolo canottieri, ma anche di demolire i ruderi degli hangar Nervi.

Così di quell’opera visionaria, non rimarranno nemmeno le ultime tracce. Tuttavia la testimonianza, il genio e il coraggio costruttivo rimangono fermi nella memoria. Un modello su tutti: la prefabbricazione, che oggi è ampiamente utilizzata per la realizzazione di opere di grandi dimensioni in cemento armato garantendo quelle caratteristiche di economia e funzionalità che Nervi, quasi un secolo fa, aveva già intravisto.

Giulio Carlo Argan scrisse che i pilastroni delle aviorimesse “frenano” invece di “sorreggere” le volte interne. Come se gli hangar di Nervi potessero, da un momento all’altro, librarsi in volo proprio come gli aerei che custodivano. È un’immagine potente che aiuta la fantasia a rivedere quelle straordinarie architetture delle quali non resta nulla, tranne le foto. Così come di quel glorioso passato, solo le rovine.

Immagine di copertina: l’area hangar Nervi di ponente

 

Autore

  • Christian De Iuliis

    Nasce, cresce e vive in costa d’Amalfi. Manifesta l’intenzione di voler fare l’architetto nel 1984, rendendolo noto in un tema in quarta elementare, raggiunge l’obiettivo nel 2001. Nel 2008 si auto-elegge “Assessore al Nulla” del suo paese. Nel 2009 fonda il movimento artistico-culturale de “Lo Spiaggismo”, avanguardia del XXI° secolo che vanta già diversi tentativi, falliti, di imitazione. All’attivo ha cinque mezze maratone corse e tre libri pubblicati: “L’Architemario. Volevo fare l’astronauta” (Overview editore, 2014), “Vamos a la playa. Fenomenologia del Righeira moderno” (Homo Scrivens, 2016) e "L'Architemario in quarantena. Prigionia oziosa di un architetto" (KDP Amazon, 2020). Ha ricevuto premi in diversi concorsi letterari. Premio PIDA giornalismo 2020 per la divulgazione dell'architettura. Si definisce architetto-scrittore o scrittore-architetto: dipende da dove si trova e da chi glielo chiede

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Last modified: 6 Novembre 2023