Secondo Jan van der Borg, senza una gestione dei flussi la città rimane preda di un turismo sempre meno consapevole
VENEZIA. Un ticket d’ingresso (5 euro) per il turismo mordi e fuggi limitato a 30 giorni l’anno, quelli corrispondenti ai periodi di maggior afflusso. Dopo anni d’ipotesi, il provvedimento varato a settembre dal Comune dovrebbe partire in via sperimentale questa primavera. Tuttavia, un calendario preciso non c’è, non si conoscono ancora le modalità dei controlli (a campione) e la lista delle esenzioni è lunga: turisti pernottanti (che già pagano la tassa di soggiorno), residenti in Comune, Città metropolitana, Regione, lavoratori pendolari, studenti, possessori di un immobile… Necessaria la prenotazione. Pena una multa da 50 a 300 euro. «Un punto di svolta rilevante nella gestione dei flussi turistici», secondo le parole dell’assessore al Bilancio Michele Zuin; per molti, invece, un provvedimento contorto in quanto non risolutivo.
Jan van der Borg, docente di Economia e turismo all’Università Ca’ Foscari, ci offre una lucida analisi della situazione ponendo l’attenzione anche sulla capacità di carico e sulle alternative all’attuale provvedimento per riportare un turismo consapevole e di qualità in una città oramai respingente e al collasso, dove il numero dei posti letto (49.693) ha superato quello dei residenti (49.304).
Professore, quanti sono i visitatori annui a Venezia?
Secondo quanto rilevato nel 2019 (i dati durante gli anni del Covid sono incompleti) il numero si aggira intorno ai 28 milioni di presenze.
Qual è la cosiddetta capacità di carico della città, ossia il numero massimo di persone che la possono visitare senza causare la distruzione dell’ambiente fisico, economico o socio-culturale?
Il tentativo più recente di calcolare questo dato è sempre del 2019 ed è stato fatto da una squadra di ricercatori del Dipartimento di Economia da me diretta. Venezia potrebbe reggere tranquillamente 40.250 visitatori al giorno, di cui 37.000 visitatori pernottanti e 3.250 escursionisti. In un anno si tratterebbe di un totale di 14.691.250 presenze di cui 13.505.000 turisti pernottanti e solamente 1.186.250 escursionisti.
Il Comune però non fornisce dati sulla capacità di carico né dispone di protocolli da far scattare quando qualche parametro va fuori pista. Non c’è la volontà d’intervenire. Manca inoltre un discorso sul turismo pendolare, ossia sui turisti giornalieri mordi e fuggi. Non c’è una statistica ufficiale che rilevi quel numero. La smart control room dovrebbe darci dei dati più precisi ma in realtà il Comune non riesce a produrli né a condividerli.
Come funziona la smart control room?
Non è sufficiente rilevare solo arrivi e presenze bensì anche gli aspetti economici, sociali, ambientali. Ci sono dati in mano ad aziende del Comune, alla Soprintendenza, ai gestori dei parcheggi che sono comunque utili per capire l’entità del flusso turistico e il suo comportamento economico. La smart control room dovrebbe raccogliere e mettere a sistema tutti i dati derivanti da queste fonti statistiche per dare una fotografia più chiara e completa del fenomeno. Tutto è inoltre possibile attraverso le nuove tecnologie: ormai le biglietterie sono online, l’aeroporto ha statistiche precise su movimenti giornalieri di aerei e passeggeri…
Si può parlare di un incremento dell’overtourism post Covid anche rispetto al cosiddetto turismo di prossimità?
Sì. La pandemia ci ha fatto perdere l’80% del mercato. Siamo tornati oltre i livelli del 2019 ma la qualità di chi ci visita è più bassa. E per qualità non intendo gente che spende poco ma gente che crea più confusione. L’impatto complessivo è peggiorato e in parte questo è legato ad un maggior afflusso dalla regione. Io non sto certo contestando il diritto di visitare Venezia ma l’offerta si sta spostando verso clienti meno esigenti.
Come giudica la proposta dell’introduzione di un ticket d’ingresso nella città lagunare così come deliberato dalla giunta?
Far pagare il turismo mordi e fuggi per il mantenimento del sistema Venezia non è una cosa scandalosa ed anzi potrebbe essere un disincentivo per chi non ha tanta voglia di venire in città ma lo fa più per inerzia. Potrebbe dunque rendere il visitatore potenziale più consapevole della sua decisione. Il ticket potrebbe anche servire per il recupero dei soldi necessari a coprire il sovraccosto della visita alla città in termini d’impatto.
L’attuale delibera non fa però né l’uno né l’altro perché politicamente c’è stata una specie di trattativa per creare delle esenzioni. Se abbiamo detto prima che durante la pandemia la domanda si è spostata più verso i veneti e tu crei per questi ultimi un’esenzione, questo fa sì che non riesci ad avere la tassa come disincentivo, né riesci a raccogliere i soldi necessari per compensare i costi sociali, ambientali ed economici che questo tipo di visite comportano in città. Poi c’è la complessità del sistema dei controlli che ancora non è chiara. Il provvedimento è inapplicabile, come ha detto giustamente il professor Massimo Cacciari, è talmente bizantino…
Insomma, così com’è fatta questa cosa non è utile alla città nè a scremare il turista di qualità che non è – continuo a dirlo – chi paga più degli altri. Per me il giovane che viene a Venezia con il sacco a pelo ma che si integra bene nella società veneziana, che ne capisce bene le delicatezze, le sensibilità, è un turista a tutti gli effetti, mentre magari il ricco strafottente che pensa di potersi concedere qualsiasi cosa non è un turista di qualità.
Qual è secondo lei l’alternativa a questo provvedimento?
Cercare (lo si sta facendo nelle Fiandre ma anche in Olanda) un nuovo modello di business per contrastare questa tendenza all’overtourism. Questo nuovo modello parte sempre da un discorso di qualità e non di quantità. Qualità non è però chi porta più danari. Il turismo è ambiente, sviluppo sociale, tolleranza… ci sono mille valori legati. Quando viene a mancare il rispetto per gli abitanti del luogo, non si può più parlare di tolleranza. Quindi non si devono andare a vedere i numeri come hanno sempre fatto i ministri del turismo italiano. Un più 5% di pernottamenti non è un dato positivo se poi i turisti devastano le montagne o le città. Ci vogliono dati sull’impatto complessivo. Il secondo passaggio è che tu devi fare sviluppo pensando al residente, all’imprenditore locale, al soggetto che vive in quella destinazione. In tutto questo la tassa di sbarco potrebbe essere una specie di leva per introdurre un sistema di prenotazione. Se esenzione ci dev’essere, allora io la farei per chi prenota la visita a Venezia.
Però si arriverebbe comunque ad un numero chiuso…
Se si arriva a comunicare una certa disponibilità della destinazione rispetto a una capacità di carico e questo si trasforma in vantaggi logistici ed economici per chi usufruisce della prenotazione, io sono convinto che si riesca a spostare la domanda entro il tetto della capacità. Quello che non si riuscirà a fare è combattere quei 6,7,8 picchi all’anno. La Pasquetta, il primo di maggio ad esempio ci saranno sempre. Con la prenotazione non riuscirai a spostare quelle 90.000 persone che hanno solo quel giorno disponibile.
Penso che la città possa tranquillamente reggere questi picchi. Ciò che invece non riesce a reggere è la normalità turistica, quelle 10-12.000 persone di più al giorno, perché questi sono oramai i numeri di due terzi dell’anno che portano l’economia e la società veneziane verso la monocultura. È una pressione devastante. Non è l’estemporaneità dell’evento straordinario bensì la continuità del fenomeno che porta al collasso. Una città deve essere anche resiliente. Dobbiamo cercare di convincere i visitatori ad esempio a venire a fine novembre. E questo si riesce a fare con degli incentivi legati alla prenotazione. Per me è quella la sfida reale e ciò vale anche per le zone cittadine.
Le cronache continuano a riproporre episodi di un’assenza di un corretto approccio culturale alla città da parte dei turisti. A suo avviso quali sono le cause di questo fenomeno?
Penso che il fenomeno parta dalla città stessa. Venezia non si è mai rispettata e amata a causa di un’offerta che ha innescato un meccanismo al ribasso anche nella domanda. Se per 40 anni si promuove una città come un posto dove tutto è possibile, tutto si può fare purché si lascino dei soldi, non puoi pretendere che in pochi giorni si riqualifichi una domanda. È la proposta veneziana ad essere poco sensibile a quel turismo di qualità. Va inoltre rivista completamente l’offerta turistica complessiva e anche quella culturale, che continua a fare mostre sempre d’estate. Perché non spostare la Biennale ad esempio, da ottobre in poi, se vogliamo gestire meglio i flussi? Perché non chiudere alcuni periodi alle crociere e consentire gli sbarchi a Marghera da ottobre a maggio? È la cultura dei numeri e non della qualità. Se vogliamo perseguire delle strategie più idonee alle esigenze bisogna che la città abbia il coraggio di dire basta.
Chi è Jan van der Borg
Docente di Economia e gestione del turismo alla KU Leuven (BE) e all’Università Ca’ Foscari a Venezia, dove coordina i corsi di master in Turismo. Ha conseguito un dottorato in Economia presso l’Università Erasmus di Rotterdam nel 1991 con una dissertazione sull’overtourism a Venezia. Partendo dalla sua ricerca sullo sviluppo del turismo a Venezia, le condizioni per realizzare un turismo urbano sostenibile sono state un tema ricorrente nella maggior parte delle sue pubblicazioni e dei suoi insegnamenti. Recentemente è stato nominato in un gruppo di esperti della DG Grow che ha il compito di aiutare il turismo europeo a diventare più sostenibile. È inoltre direttore esecutivo di EURICUR.
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ticket d'ingresso , turismo , venezia
Last modified: 30 Ottobre 2023