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Marina TornatoraWritten by: , Città e Territorio

Ritratti di città. Skopje: radici brutaliste, futuro europeo (e capitale)

Crocevia di etnie tra Oriente e Occidente, laboratorio del modernismo negli anni ‘60, oggi guarda al futuro (anche) come Capitale europea della Cultura 2028

 

Skopje (Скопје), capitale della Macedonia del Nord, con i suoi attuali 525.000 abitanti, si propone come ponte fisico tra l’Europa centrale e Atene. Dalle sue più remote origini, Scupi – insediamento illirico conquistato dall’Impero romano – è stata terra d’invasione dei turchi ottomani, dei bulgari, annessa alla Serbia e alla Jugoslavia, prima di diventare nel 1991 la capitale dello stato indipendente della Macedonia (ribattezzato recentemente Macedonia del Nord).

 

Semi-sconosciuta, ma Capitale della Cultura

Sebbene sia fuori dai circuiti della comunicazione mediatica internazionale, anche disciplinare, Skopje si presenta come una città dinamica e moderna, con un tessuto urbano stratificato, risultato delle diverse scritture e cancellazioni della sua storia. Il suo più noto architetto della seconda metà del ‘900, Zivko Popovski, la descrive come un luogo con “una complessa fusione di narrazioni e culture che formano un mosaico di destini intrecciati”, sul quale il fiume Vardar rappresenta un segno liquido, costante e riconoscibile.

Luogo di contatto tra la parte ottomana e quella moderna e contemporanea, il riverfront è uno degli spazi più vitali, anche grazie ai recenti interventi che ne hanno ridisegnato il bordo, ampliandone gli usi con passeggiate alberate, locali per attività ricreative, caffè e ristoranti. Si tratta di un intervento significativo che va oltre il Piano SK2014, che ha “grottescamente” popolato la città di statue e alterato alcuni edifici della ricostruzione post 1963 con facciate eclettiche sovrapposte, indebolendo (anche se fortunatamente solo in parte) il carattere impresso dal masterplan di Kenzo Tange.

Parallelamente il Museo di Arte contemporanea (MoCA), fondato nel 1964, simbolo di solidarietà per le donazioni di opere d’arte da artisti e istituzioni di tutto il mondo, è oggi uno spazio attivo, parte della International Committee for Museums and Collections of Modern Art. Tutti processi che hanno contribuito a laureare Skopje Capitale europea della Cultura 2028. L’annuncio, da parte dell’Unione Europea (la Macedonia del Nord non ne fa parte ma è Stato candidato), è arrivato a fine settembre.

 

60 anni fa, dopo un devastante terremoto, il piano di Tange

La città è riconoscibile nel panorama dei Balcani soprattutto per la ricostruzione del centro dopo il terremoto del 1963, basata su un radicale e futurista piano di Kenzo Tange. Nella proposta dell’architetto giapponese – anello di congiunzione tra la tradizione del mondo orientale e il linguaggio moderno occidentale, proiettato a rappresentare la Jugoslavia nel contesto internazionale – la Nuova Skopje (1965) attinge materiali dalle rivoluzionarie visioni del movimento metabolista, degli Archigram e Archizoom sino a Cedric Price e alle Incubation Process di Arata Isozaki. Tange interpreta l’orizzonte utopico che animava la Jugoslavia, dove dal 1948 al 1980 (dalla rottura del blocco sovietico dei paesi non allineati sino alla morte del maresciallo Tito) si assiste a un’intensa modernizzazione urbana. Si tratta di una fase storica che recentemente sta sempre più interessando studi e ricerche, aprendo un nuovo sguardo su un ampio fenomeno culturale e teorico, intrecciato ai diversi contesti nazionali, la cui produzione architettonica è stata spesso soffocata da una retorica storiografica e politica che ha avvolto queste opere in una percezione negativa, insieme all’idea della penisola balcanica come “semi-periferia” dell’Europa.

Radici brutaliste

Il piano di Tange rifonda l’impianto insediativo della città attraverso alcuni episodi dal forte carattere urbano, pensati con il preciso obiettivo di evocare, tramite il riferimento alla porta e al muro, il passato medievale degli abitati balcanici. Un monumentale sistema infrastrutturale organizza gli spazi urbani. La città è disegnata da una rete di collegamenti continui, ai quali s’innestano “nuovi prototipi” architettonici, perfettamente riconoscibili. In filigrana emergono i riferimenti alla Cluster City degli Smithson, nel sistema a grappolo, ininterrotto e ramificato di corpi edilizi. A Skopje l’architetto giapponese parte da una tabula rasa, ottenuta demolendo le poche preesistenze sopravvissute al terremoto, in corrispondenza delle quali inserisce le aree verdi, e individuando nella collina Kale un parco sul quale oggi svettano il MoCa e il Monumento alla Libertà.

City Wall: è la parte abitativa della Nuova Skopje, dalla forma a ferro di cavallo, disegnata da una composizione volumetrica che diventa soglia lineare tra il centro città e la nuova espansione. Pensata per ospitare oltre duemila appartamenti, la muraglia è costituita da due distinte tipologie di edifici. La prima corrisponde alla parte lineare con una struttura a terrazza alta 24 metri e balconi come protesi verso le corti interne. La seconda comprende i complessi residenziali a torre, organizzati in gruppi di due o tre edifici posti agli angoli che, come sentinelle, rafforzano l’immagine di un recinto fortificato, a marcare le porte d’accesso alla città.

City Gate: è l’imponente polo terziario e infrastrutturale (dalle numerose analogie col piano di Tokyo) che Tange concepisce come un nuovo suolo sopraelevato, separando i collegamenti pedonali dalla mobilità veicolare e ferroviaria. Una megastruttura architettonica pensata come un trasformatore intermodale, che avrebbe dovuto ospitare negozi, uffici, alberghi, cinema e sale riunioni, da subito giudicato sovradimensionato per una realtà come quella di Skopje. Solo la parte del Transportation Center è stata realizzata (1971-1981), attraverso una straordinaria infrastruttura sopraelevata che lascia libero il suolo alla viabilità carrabile e agli spazi intermodali e pedonali, cambiando la fisionomia della città attraverso la costruzione di una mega porta urbana.

Old Bazar: detto anche çarsı, è la parte più antica di Skopje, per secoli nucleo riconoscibile della vita economica, sociale e culturale. Sebbene fortemente danneggiato dal sisma del 1963, è l’unica testimonianza storica che Tange mantiene come frammento autonomo nel disegno generale della nuova città, sul quale Mimoza Nestrova-Tomić, una delle donne macedoni protagoniste della ricostruzione di Skopje, aveva in precedenza sviluppato un’articolata strategia, consentendo l’assetto attuale. Una chirurgica operazione che – rifiutando la totale demolizione delle piccole case fatiscenti, ma anche il restauro integrale per fini turistici – parte dal disegno del suolo, degradato e privo di pavimentazione, nonché delle reti primarie, promuovendo un’azione di sostegno all’iniziativa dei proprietari per riqualificare le piccole case e i negozi. Così si è generata quell’interazione necessaria per rivitalizzare l’area, oggi popolata di artigiani e ristoratori, spazio d’incontro di tutta la città e meta dei turisti.

Béton brut cityscape

Se la fama di Tange ha contribuito a polarizzare l’attenzione sul Piano per la Nuova Skopje, proiettando in un contesto internazionale il processo di modernizzazione della Jugoslavia del maresciallo Tito, in questa fase si sprigionano le energie di architetti e artisti impegnati sul territorio. Una generazione che ha rappresentato una vera e propria avanguardia jugoslava, testimoniata dalla qualità degli edifici modernisti e brutalisti.

In questo clima, nella capitale macedone nascono numerose architetture in cemento faccia a vista, per quella che viene chiamata la béton brut cityscape. Numerose sono le opere di questa fase, a partire dal complesso della Banca nazionale della Repubblica di Macedonia (1971-1975) di Olga Papesh e Radomir Lalovikj, primo edificio costruito come segmento conclusivo del sistema del City Gate. Significativo è l’articolato Centro delle telecomunicazioni (1972-1981) di Janko Konstantinov, che contamina la visionarietà dell’architettura metabolista giapponese. L’edificio rotondo dell’Ufficio postale sembra evocare una grande tenda con la copertura nervata, poggiata su elementi strutturali dalle forme antropomorfe, estroverse all’esterno. Disegnato sul lungofiume, il Centro commerciale (1967-1972) di Zivko Popovski, concepito come una complessa mega infrastruttura urbana, presenta un’innovativa tipologia che ibrida gli spazi commerciali, inseriti in una grande piastra orizzontale a più livelli, con gli edifici residenziali esistenti, integrati in una serie di torri. È un nodo multiforme dove il sistema di rampe si connette alle passeggiate nel verde, mentre la piattaforma orizzontale è un suolo stratificato con una serie di terrazze, vere e proprie piazze urbane, reinterpretazione moderna dell’idea del bazar tradizionale. Sulla sponda opposta del fiume si distende il Macedonian Opera and Ballet (1972-1981) progettato dal gruppo sloveno Biro 71, unico edificio costruito del Centro culturale previsto da Tange che si propone come una metamorfosi tettonica del terreno che modella una nuova topografia nella quale l’architettura e lo spazio pubblico si compenetrano. Infine, il Museo della Macedonia (1971-1976), progettato da Mimoza Tomić e Kiril Muratovski, è un complesso di diversi spazi espositivi che ridefinisce la topografia di un frammento del tessuto dell’Old Bazar nei pressi del Kurshumli Han, un caravanserraglio ottomano. L’intervento configura un dispositivo di raccordo tra le diverse quote del tessuto stratificato esistente, dal quale si eleva un’architettura di cubi puri aggregati lungo le diagonali. L’innesto dell’intervento contemporaneo nell’antico tessuto ottomano è filtrato dall’andamento della copertura, disegnata da falde di colore scuro in contrasto ai volumi bianchi (rivestiti con tesserine di marmo delle cave di Prilep), le cui linee di colmo configurano il nuovo skyline.

 

Dieci anni fa, un controverso Piano di rinnovamento

Ancora oggi tali emergenze rappresentano la parte strutturante del sistema insediativo di Skopje, una città in forte trasformazione, in particolare dopo l’autonomia dalla Jugoslavia.

La città mostra evidenti i segni delle diverse scritture: dopo il 1963-65 (terremoto e rifondazione), nel 2014 ha inizio il Piano di rinnovamento urbano (SK 2014). Mosso da questioni ideologiche verso il recente passato, celate dietro a una retorica urbana, il piano è intervenuto pesantemente sul patrimonio modernista e brutalista. Alcuni edifici sono stati ricoperti con superfici fittizie in stile neoclassico, mentre si è diffuso uno sfruttamento intensivo dei terreni e una corsa alle privatizzazioni e alla liberalizzazione.

Tuttavia, il patrimonio architettonico post-terremoto ancora esprime una forte caratterizzazione in termini spaziali e urbani, un’originalità della forma, della materialità e dell’artigianalità tanto intense che il passato sembra apparire “più moderno del presente”, non solo in chiave estetica. Si tratta di un paesaggio di architetture radicalmente moderne, nelle quali il beton brut è un materiale plastico. Sebbene non si sia completata la visione “utopica” del piano di Tange, esse rappresentano non solo l’eredità del recente passato ma una riserva d’idee per il futuro.

L’occasione di Skopje Capitale Europea della Cultura 2028 può delineare una nuova pagina capace di riappropriarsi del passato per intersecare inedite dimensioni progettuali e riposizionare l’identità urbana.

 

Pubblicazioni e mostre

Il volume 99FILES: Balkan Brutalism #Skopje (2019), scritto dagli autori di questo articolo, presenta un atlante di 15 opere realizzate nella capitale macedone dopo il terremoto del 1963, come ricerca capace di stimolare un diverso punto di osservazione delle architetture moderniste e brutaliste balcaniche. Sempre nel 2019, “99FILES” propone presso il Museo nazionale di Arte contemporanea di Skopje una mostra e un archivio digitale attraverso una call internazionale. Le iniziative sono ideate dal Laboratorio Landscape_inProgress dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria e sono concepite come un osservatorio interdisciplinare sul patrimonio brutalista. Tra le numerose mostre e pubblicazioni che hanno contribuito a rivelare un’intensa pagina del Novecento architettonico, trascurata dalla storiografia ufficiale, si ricordano le mostre “Cold War Modern: Design 1945-1970” (Victoria&Albert Museum, Londra, 2008) e la più recente “Toward a Concrete Utopia: Architecture in Jugoslavia, 1948-1980” (MoMA, New York, 2018).

 

 

Immagine di copertina: © Mattia Marinolli, Skopje 2014, unknown magnitudo. Dettaglio della Casa dello studente “Goce Delcev” (1969), G. Konstantinovski

 

Autori

  • Marina Tornatora

    Architetta, è professore associato in Composizione architettonica e urbana presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria

  • Blagoja Bajkovski

    Architetto, insegna alla Facoltà di Architettura della Ss. Cyril and Methodius University di Skopje. Insieme hanno pubblicato, nel 2019, il libro 99FILES: Balkan Brutalism #Skopje del MoCa, Museum of Contemporary Art, Skopje. Le attività di approfondimento su Skopje e sull’architettura brutalista macedone vengono condotte nel Landscape_inProgress, una struttura di ricerca e di progettazione, coordinata da Marina Tornatora e Ottavio Amaro, del Dipartimento dArTe dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria.

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Last modified: 30 Ottobre 2023