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Clima e architettura, parole per l’emergenza

Clima e architettura, parole per l’emergenza

Primo, sopravvivere. Più ancora dei progetti (realizzati o su carta), è la pubblicistica di settore (non solo a firma di architetti) a restituirci una dimensione contemporanea di urgenza

 

Sembra non poterci essere pubblicazione disciplinare che non parta da qua: l’onda del cambiamento climatico è sempre più preoccupante, società e territori – almeno per come li conosciamo oggi – sono a rischio, le discipline del progetto devono farsi carico di aggiornare processi, metodi e strumenti. È per certi versi impressionante la consonanza di temi e toni tra figure e realtà apparentemente così lontane, in una trasversalità, anche geografica, che rende la questione climatica il vero common ground internazionale.

 

Dure, inequivocabili, pressanti le parole di Papa Francesco nella seconda parte dell’Enciclica Laudato sì (l’esortazione apostolica Laudate Deum) – rilasciata il 4 ottobre, simbolicamente nel giorno dedicato a San Francesco d’Assisi – e rivolte “a tutte le persone di buona volontà sulla crisi climatica”. Scritta con tono diretto e chiaro, pur impostata ovviamente su un livello generale, sembra toccare tematiche urbane, paesaggistiche e architettoniche nel secondo dei 6 capitoli di cui è composta (“Il crescente paradigma tecnocratico”). In particolare, il paragrafo 22 (73 sono quelli di cui si compone il documento papale) affronta il tema del mutato e pericoloso rapporto tra artificio e natura, alla luce dei progressi tecnologici: “Le risorse naturali necessarie per la tecnologia, come il litio, il silicio e tante altre, non sono certo illimitate, ma il problema più grande è l’ideologia che sottende un’ossessione: accrescere oltre ogni immaginazione il potere dell’uomo, per il quale la realtà non umana è una mera risorsa al suo servizio. Tutto ciò che esiste cessa di essere un dono da apprezzare, valorizzare e curare, e diventa uno schiavo, una vittima di qualsiasi capriccio della mente umana e delle sue capacità”.

 

Laudate Deum, Esortazione Apostolica di Papa Francesco, 4 ottobre 2023

 

Il quinto capitolo dell’Esortazione Apostolica (“Cosa ci si aspetta dalla COP28 di Dubai?”) apre alla Conferenza delle Parti della United Nations Convention on Climate Change, in programma all’Expo City di Dubai tra fine novembre e dicembre 2023. Appuntamento potenzialmente decisivo per le politiche internazionali, che appare però già debole: ai dubbi iniziali (i risultati non straordinari delle ultime COP e le polemiche per il fatto che ospita l’incontro una tra le nazioni che basano sulle fonti fossili la propria economia), si aggiungono gli scenari di guerra che rischiano di relegare – ancora una volta – le questioni ambientali sullo sfondo. Che sia una storia lunga e travagliata – di progressiva consapevolezza così come di forti resistenze – lo esprime una pubblicazione emblematica, curata da quel Club di Roma che, 50 anni fa, nel 1972 (con il suo report The Limits to Growth), inaugurò tanto il tema quanto il “genere letterario”. Testo-manifesto, a prevalente sfondo economico e sociale, Earth for All si propone come un coro costituito da testi, schemi e disegni distribuiti in 9 capitoli. Molto ricco, parla di equità, di infrastrutture, di scale globali, di cibo, di clima. Non di architettura, né di urbanistica, né di paesaggio. I riferimenti all’ambiente fisico sono delegati ad una nozione di ecologia che pare ben lontana dal conferire un ruolo significativo alle discipline del progetto, almeno come intese dalla nostra cultura architettonica. In questo senso si ritrova una tendenza diffusa, e per tanti versi non rassicurante. Una delle figure chiave della rinnovata attenzione pubblica al clima e alle sue emergenze è senza dubbio Greta Thunberg. Il suo ultimo libro, The Climate Book, è una ponderosa e attualissima ricerca sul tema, con decine di contributi e voci distribuiti nei 5 capitoli. In un’abbondanza iconografica di schemi, diagrammi, grafici manca una componente: nessun architetto, nessun progettista. Spesso anche la politica sembra guardare in una direzione che non intercetta adeguatamente la nostra disciplina. Sta avendo diffusione e risonanza un libro che racconta l’esperienza amministrativa e di vita di un sindaco iconico, qual è Sadiq Khan, primo cittadino di Londra. Le sue scelte – raccolte nel libro emblematicamente titolato Respirare – sono descritte per gli esiti che generano: si parla soprattutto di mobilità (la congestion charge, le piste ciclabili) e di parchi (sempre quantitativamente: superfici e numero di alberi). Come se gli impatti sul clima fossero sempre e comunque il prodotto di decisioni autonome dalla qualità urbana o dalle ragioni tecniche-infrastrutturali degli abitati.

 

Earth for All. A SURVIVAL GUIDE for Humanity, a cura di Sandrine Dixson-Declève, Owen Gaffney, Jayati Ghosh, Jorgen Randers, Johan Rockström e Per Espen Stoknes, Club of Rome, New Society Publishers, 2022, 198 pagine, $ 20 (Edizione italiana: Una Terra per tutti. Il più autorevole progetto internazionale per il nostro futuro, a cura di Sandrine Dixson-Declève, Owen Gaffney, Jayati Ghosh, Johan Rockström, Per Espen Stoknes, Jørgen Randers (cura), Edizioni Ambiente, 2022, 274 pagine, 25 €)

The Climate Book, a cura di Greta Thunberg, Mondadori, 2022, 464 pagine, 28 €

Respirare – Fermiamo insieme l’emergenza climatica, di Sadiq Khan (traduzione a cura di Marianna Grimaldi), Egea, 2023, 160 pagine, € 19,90. Edizione originale di Hutchinson Heinemann / Penguin Random House

 

Servono (ci servono) approcci diversi, come quelli sperimentati da alcuni autori, architetti, che – con una torsione sperimentata da molti – hanno adattato i propri temi ricorrenti al filone dell’urgenza climatica. Si distinguono, su scala internazionale, lo storico olandese Hans Ibelings e il docente e curatore portoghese Pedro Gadanho. Ibelings ricostruisce – in un testo tanto intenso quanto didatticamente strutturato, 9 capitoli, molte immagini in bianco e nero – la storia dell’architettura attraverso il paradigma climatico. Dai casi studio storicizzati alle contraddizioni odierne, dal Crystal Palace alle visioni di città saudite nel deserto mediorientale, il racconto è finalizzato ad illustrare, come Ibelings scrive nell’introduzione, che “L’architettura è implicata nel processo di deterioramento planetario, non per connessione, ma direttamente. La creazione dell’architettura non è distinguibile dalla distruzione che può provocare”. Una consapevolezza che si ritrova in Climax Change!, di Gadanho, il cui preludio ha un titolo che è una dichiarazione di prospettiva: Stop Building. Il necessario cambio di punto di vista verso l’obiettivo di una nuova unificata teoria dell’architettura è declinato in 10 testi. I riferimenti sono vari e ampi: progetti ma anche sperimentazioni artistiche e richiami filosofici. I colori aiutano ad orientarsi in una pubblicazione elegante: copertina gialla, testi in viola, note bibliografiche in verde, immagini virate sul magenta.

 

Modern Architecture: A Planetary Warming History, a cura di Hans Ibelings, The Architecture Observer, 2023, 400 pagine, € 32,50

Climax Change! How architecture must transform in the age of ecological emergency, Pedro Gadanho, Actar Publishers, 2022, 256 pagine, € 40

 

Il passaggio dalle teorie alle pratiche, soprattutto in questo campo, non è né semplice né immediato. E proprio la pubblicistica (ricca di libri sbilanciati sulle soluzioni tecnologiche, povera di contributi che aprano ad una progettualità di visione, se non attraverso cataloghi di progetti, ovviamente super-sostenibili) fatica ad essere una guida adeguata. Tra le eccezioni virtuose c’è un testo ibrido tra ricerca accademica e applicazioni. Prodotto e pubblicato dalla Fondazione Benetton, ente di studio e ricerca sul paesaggio, riprende gli esiti di un convegno del 2020 ma – a differenza di quanto spesso accade con atti di incontri destinati a nascere già vecchi – attualizza il tema e lo inquadra con efficacia: gran parte dei cambiamenti climatici sono il frutto della progressiva trasformazione dei suoli. E i suoli sono una questione assolutamente architettonica. Diviso in tre capitoli (Le mani nella terra; Suolo come progetto. Teorie e pratiche; Suolo, territorio e società) e 13 saggi di autori italiani e stranieri, sembra ribaltare la prospettiva consolidata. Non è tanto utile guardare in alto, agli aspetti globali, alle modificazioni planetarie ma – come spiega nel suo contributo Rosario Pavia – “Il cambiamento climatico ci costringe a osservare con occhi nuovi il paesaggio, ad abbassare lo sguardo e cogliere la sua componente più strutturale e materica: il suolo su cui poggiamo i nostri piedi e su cui nel corso del tempo abbiamo accumulato una massa infinita di oggetti”. Simonetta Zanon, ricercatrice della Fondazione Benetton e curatrice (con Luigi Latini) del volume, scrive nell’introduzione che “L’unica cosa importante, oggi, è lavorare, ognuno nel proprio campo e per quello che gli compete, per riavvicinare ambiti che separati non hanno alcuna possibilità di sopravvivenza alla crisi planetaria: umano e non umano, organico e inorganico, arte e scienza, città e foresta, attivismo e politiche, selvatico e domestico…, e – non ultimo – suolo, asfalto e giardino, elementi la cui alleanza può rappresentare un punto di partenza estremamente «fertile» per questi necessari riavvicinamenti”. Suolo, asfalto, giardino. Le basi su cui progettare la sopravvivenza futura.

 

Suolo come paesaggio. Nature, attraversamenti e immersioni, nuove topografie, a cura di Luigi Latini e Simonetta Zanon, Fondazione Benetton Studi Ricerche con Antiga, 2022, 180 pagine, € 30

L’immagine di apertura dell’articolo è la copertina del libro: Esplorazione della cava Mosso a Carmagnola (Torino), nell’ambito del progetto IperPianalto. Fondazione Spinola Banna per l’Arte, Poirino, e GAM-Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, 2017. Fotografia di Andrea Caretto e Raffaella Spagna.

Autore

  • Arianna Panarella e Michele Roda

    Nata a Garbagnate Milanese (1980), Arianna Panarella si laurea in Architettura al Politecnico di Milano nel 2005 e nel 2012 consegue un master. Dal 2006 collabora alla didattica presso il Politecnico di Milano (Facoltà di Architettura) e presso la Facoltà di Ingegneria di Trento (Dipartimento di Edile e Architettura). Dal 2005 al 2012 svolge attività professionale presso alcuni studi di architettura di Milano. Dal 2013 lavora come libero professionista (aap+studio) e si occupa di progettazione di interni, allestimenti di mostre e grafica. Dal 2005 collabora con la Fondazione Pistoletto e dal 2013 con il direttivo di In/Arch Lombardia. Ha partecipato a convegni, concorsi, mostre e scrive articoli per riviste e testi. Nato nel 1978, Michele Roda vive e lavora a Como. Unisce l’attività professionale (dal 2005) come libero professionista e socio di una società di ingegneria (prevalentemente in Lombardia sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia scolastica e della progettazione urbana) a un’intensa attività pubblicistica. È giornalista free-lance, racconta le tante implicazioni dei “fatti architettonici” su riviste e giornali di settore (su carta e on-line) e pubblica libri sui temi del progetto. Si tiene aggiornato svolgendo attività didattica e di ricerca al Politecnico di Milano, dove si è laureato in Architettura nel 2003.

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Last modified: 30 Ottobre 2023