All’Accademia di San Luca, una straordinaria serie di fotografie borrominiane scattate dall’architetto recentemente scomparso
ROMA. Al primo piano di Palazzo Carpegna, sede dell’Accademia Nazionale di San Luca, la grande sala in passato utilizzata per incontri e riunioni appare del tutto vuota. Il pavimento a spina di pesce contrasta con il bianco delle pareti bianchissime, interrotte solo dalle porte di legno scurissimo, che rimangono chiuse; le finestre sono nascoste dietro a tende altrettanto candide, mentre la volta a padiglione è resa abbagliante dall’illuminazione disposta sopra alla cornice perimetrale.
In quest’interno metafisico, all’altezza dell’occhio umano corrono in parallelo due file sovrapposte di fotografie: sono settantadue, tutte in bianco e nero, tutte d’identico formato quadrato, tutte a soggetto architettonico. Non soltanto le foto ma quasi lo spazio, nella sua interezza, sono di Paolo Portoghesi, come hanno voluto intitolare i curatori Francesco Cellini e Laura Bertolaccini questa magnifica esposizione di scatti eseguiti nel corso di una vita intera dall’architetto e storico dell’architettura romano, scomparso il 30 maggio scorso.
Portoghesi è stato (miglior) architetto o storico dell’architettura?
Con la propria bellezza accecante, nata da un’eccezionale capacità d’indagare lo spazio costruito, queste fotografie innanzitutto finalmente chiudono una questione annosa quanto morbosa. Portoghesi è stato (miglior) architetto o storico dell’architettura? Quali sono stati i contatti e gli attraversamenti tra le due discipline che nella sua lunga carriera scientifica ha favorito? Ossia, ed è questa la domanda più infida: è stato uno storico che ostinatamente ha voluto farsi architetto o viceversa? Non esiste una risposta, in realtà perché queste domande sono oziose, com’è dimostrato, da ultimo, proprio dalla sequenza d’immagini esposte.
Come pochissimi altri nel corso del Novecento, Portoghesi è stato un architetto che ha compreso la storia e, al tempo stesso, uno storico che non ha mai rinunciato a uno sguardo da architetto; del passato ha restituito non soltanto cronologie e testimonianze documentarie ma anche interpretazioni, aspirazioni, o persino sogni. Le immagini dai chiaroscuri contrastatissimi, sospese nel biancore della sala accademica, raccontano un rapporto immediato, diretto, quasi carnale con l’architettura romana, e borrominiana in particolare, nella costante ricerca di un disegno che prenda vita come spazio tridimensionale. Solo in pochi casi gli scatti di Portoghesi privilegiano la vista frontale; più frequentemente essi restituiscono l’architettura da punti di vista che solo un architetto può (ri)conoscere.
La macchina fotografica ricostruisce le piante, con acrobatici scatti zenitali, e i particolari più minuti, spesso invisibili da chi guarda con occhio inesperto, attraverso lo strumento che più d’ogni altro gli appartiene, il disegno. L’occhio che fissa l’immagine, così come le parole che la descrivono sono quelli dell’architetto quando disegna una modanatura, nasconde una struttura metallica di supporto a una decorazione in pietra, traccia frettolosamente sul foglio la figura di una fiamma che solo dal basso si riconoscerà svettare sulla cornice di una chiesa. Con Sant’Ivo alla Sapienza, questa modalità raggiunge vertici parossistici, che non si faticherebbe a definire in sé barocchi: lo sguardo scivola lungo la materia della cupola borrominiana, a precipizio verso una strada che appare lontanissima. Spesso Portoghesi osa persino rappresentare gli edifici come mai Borromini stesso avrebbe pensato possibile, al solo fine di renderli ancor più vicini al disegno originario: ancorché deformata, la facciata di San Carlino vista dall’alto si lascia finalmente comprendere in tutta la sua complessità, così come l’inflessione del fronte di Propaganda Fide che diventa variazione nella linearità del fronte stradale visto dal basso.
Il catalogo, un approfondimento che completa
A compimento dell’esperienza vissuta nello spazio sospeso evocato dall’allestimento, il visitatore può approfondire i temi che le fotografie di Portoghesi sollevano anche grazie a un agile catalogo, pubblicato dalla medesima Accademia. Di là dall’introduzione di Francesco Cellini e da un’efficace selezione delle fotografie in mostra, vi si trovano preziosi saggi di Joseph Connors, Giuseppe Bonaccorso e Maurizio di Puolo, accompagnati da una gemma rara: la trascrizione del testo e alcune riproduzioni delle pagine dell’inedito primo lavoro dedicato dal sedicenne Portoghesi a Borromini, composto di 26 fogli di carta per acquerello rilegati dallo stesso autore. Un documento straordinario, estraneo a ogni schema storiografico, anche in virtù di uno slancio mistico che quasi gonfia le parole, le frasi, fino a renderle racconto di un’anima tormentata. Sull’intestazione del manoscritto si legge Paolo Portoghesi: di Francesco Borromini, con un’apparente inversione tra autore e oggetto di studio, che oggi diventa persino inquietante. Così, la sovrapposizione tra i due appare definitiva: aver intitolato quest’esposizione “di Paolo Portoghesi” finisce per rendere un commosso omaggio alla passione di una vita, trasformata in occasione di perpetua febbrile ricerca.
di Paolo Portoghesi. Sguardo, parole, fotografie
4 ottobre – 4 novembre 2023
Accademia Nazionale di San Luca, Roma
Mostra curata e organizzata da Francesco Cellini e Laura Bertolaccini
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allestimenti , barocco , fotografia , mostre , Paolo Portoghesi , roma
Last modified: 11 Ottobre 2023