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Written by: Città e Territorio Forum

Venezia, l’intoccabile dai giorni contati

Il fatto che la città lagunare non sia entrata nella lista nera dei siti Patrimonio UNESCO a rischio non è una buona notizia. Ecco perché

 

Venezia non entrerà nella black list dei siti a rischio. Lo ha deciso il Comitato del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, contraddicendo la precedente raccomandazione del World Heritage Centre. Un autogol dannoso, secondo Anna Somers Cocks, frutto di pressioni politiche da parte dei rappresentanti del governo italiano e di un’astuta recente mossa: l’introduzione di un ticket di accesso per i turisti giornalieri a partire dalla primavera del 2024, attivo per 30 giorni da bollino nero.

 

Il 14 settembre, in occasione della riunione del Comitato del Patrimonio Mondiale dell’Unesco a Riyadh, l’Italia ha segnato un autogol sciocco e dannoso. Con intrighi e pressioni è riuscita a far respingere dal Comitato la raccomandazione dell’UNESCO d’inserire Venezia nella lista dei siti a rischio, mentre avrebbe dovuto accogliere la candidatura e gridarla dai tetti, in modo che fosse sulla bocca di tutti i capi di Stato all’incontro World Climate Ambition a New York, presso le Nazioni Unite, pochi giorni dopo.

La realtà è che, a meno di misure eccezionali, Venezia non sopravviverà nel prossimo secolo a causa dell’innalzamento del livello del mare. Se fosse stata dichiarata ufficialmente a rischio la notizia avrebbe avuto una risonanza mondiale e avrebbe anche reso più facile raccogliere il sostegno finanziario e tecnico internazionale per impedire che ciò accada. L’immagine della città come un rudere potenzialmente marcescente e inabitabile, con edifici che crollano, avrebbe avuto lo stesso esemplare impatto della famosa fotografia dell’orso polare sulla piccola banchisa che si sta sciogliendo.

 

Come osa l’UNESCO?

Invece, ha trionfato la politica del breve termine. “Come osa l’UNESCO insinuare che non ci stiamo prendendo cura della città in modo adeguato?”, è stato il messaggio molto ostile dei politici locali, che hanno deliberatamente esagerato le critiche dell’UNESCO per farle sembrare stupide o antidemocraticamente invasive. In un articolo del 6 agosto sul “Corriere della Sera” (che assomigliava in modo sospetto al manifesto di un candidato sindaco), Renato Brunetta, ora presidente della Fondazione Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità, rivelava ciò che aveva gettato nel panico i politici locali: che l’UNESCO avrebbe potuto insistere su una politica di limitazione delle presenze turistiche. E allora dove sarebbero finiti i profitti delle pizzerie? Brunetta ha dichiarato che “Con ripetuta arroganza l’UNESCO vuole avere l’ultima parola su tutti i progetti per Venezia. Venezia è ben tutelata, dalle azioni che il Paese ha messo in campo ma soprattutto dalla passione dei suoi abitanti e degli italiani tutti… Quindi, non la chiuderemo alle visite [provvedimento in realtà mai suggerito dall’UNESCO; n.d.a.]: il flusso dei visitatori, anche grazie alle nuove tecnologie, sarà regolato, non interrotto“.

Il sindaco Luigi Brugnaro ha accolto la decisione di non includere la città nell’elenco con uno sgargiante post online di colore viola costellato di emoticon che recita: “Grande VITTORIA all’UNESCO!!! Decisione presa all’unanimità. Venezia non è a rischio. È stato contraddetto il rapporto fuorviante della Commissione. Il mondo ha capito tutto il lavoro che abbiamo fatto per difendere la nostra città!” Per il Ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano si è trattato addirittura di una questione di patriottismo: “Questa è una vittoria per tutta l’Italia. Sconfitti coloro che pur di far polemica politica si schierano contro la loro patria… Venezia non è quindi in pericolo“. Per Luca Zaia, governatore del Veneto è stato “Un grande risultato raggiunto grazie alla tenacia di Sangiuliano e di tutto il Governo che ringrazio per il lavoro e gli sforzi profusi per evitare che la città lagunare venisse inserita nella black list“.

L’UNESCO aveva toccato anche un altro punto sensibile: aveva criticato l’assenza di una zona di protezione intorno a Venezia [la cosiddetta buffer zone, n.d.r.] che l’Italia si era impegnata a istituire già nel 1987 quando la città divenne Patrimonio dell’Umanità, ma che ha resistito a definire. Così i grattacieli autorizzati dal Comune continuano a sorgere intorno alla laguna, per la soddisfazione degli interessi locali.

 

Acqua alla gola

Ma nessuno dei politici, locali o nazionali, ha menzionato l’innalzamento del livello del mare: come dicono loro, Venezia non è a rischio. Possibile che siano così ignoranti da non sapere che le barriere mobili tra Adriatico e laguna sono efficaci contro gli eventi temporanei di acqua alta, ma non contro il costante innalzamento del livello del mare? Le barriere si alzano e due o tre giorni dopo si abbassano di nuovo quando finisce l’acqua alta, ma non sono in grado di affrontare il problema dell’ineluttabile innalzamento del livello dell’acqua senza essere chiuse per periodi sempre più lunghi e poi quasi definitivamente, cosa che distruggerebbe la laguna. È necessario trovare una nuova soluzione a partire da ora, non da domani, perché ci vorrà molto tempo prima di elaborarla, poi di ottenere il necessario consenso politico e infine di realizzarla. Ma al momento non c’è l’ombra di un piano per il futuro.

Come sarà questo futuro se non agiamo? Con i cambiamenti climatici e secondo lo scenario più probabile di aumento della temperatura previsto nel rapporto 2021 dell’IPCC (l’autorevole Intergovernmental Panel on Climate Change) il livello delle acque salirà tra i 44 e i 76 cm entro la fine del secolo, cioè entro la vita dei nostri nipoti. E se a questo si aggiunge la naturale subsidenza della laguna di Venezia, ciò significa un innalzamento del relativo livello dell’acqua di 60-100 cm. Questo è assolutamente insostenibile per il tessuto urbano di Venezia.

Gli effetti dell’innalzamento delle acque si stanno già facendo sentire. La prossima volta che vi trovate a Venezia, notate la linea verde delle alghe. Dal 1897 (quando fu fissato lo zero mareografico di Punta della Salute) a oggi la quota delle acque lagunari è aumentata di ben 35 cm e in alcuni edifici si trova già al di sopra delle basi in pietra relativamente impermeabili degli edifici e contro la muratura, estremamente permeabile. Per capillarità l’acqua salmastra sale, in alcuni casi fino al secondo piano, e asciugandosi, i sali cristallizzati sgretolano i mattoni e la malta viene dilavata, compromettendo la stabilità dei muri. Questi antichi edifici sono rimasti solidi per secoli grazie all’ingegnoso metodo con cui sono stati costruiti dai veneziani, utilizzando tiranti collegati ai solai che danno stabilità a queste strutture costruite volutamente in modo flessibile. Ora i mattoni cominciano a crollare su se stessi e i tiranti si stanno ossidando, talora completamente.

Mario Piana, il Proto della Basilica di San Marco, che sta già subendo gravi danni a causa dell’umidità, è probabilmente il massimo esperto della costruzione della città e afferma che i giorni della città sono contati se non si prendono misure per proteggerla dall’innalzamento del livello del mare.

 

Serve un piano a lungo termine, come in Olanda

Di cosa ha bisogno Venezia per sopravvivere? Serve un piano a lungo termine, con finanziamenti indipendenti dal viavai dei governi e che sia investito di grandi poteri. L’ideale sarebbe che il governo italiano invitasse la partecipazione di competenze internazionali, non tanto in ingegneria, ecologia o idrologia, in cui l’Italia è molto esperta, ma per aiutare nella pianificazione e gestione del progetto.

Dovrebbe poter attingere all’esperienza degli olandesi, per esempio, che con il Piano Delta stanno guardando alla fine del secolo e oltre per proteggere i Paesi Bassi. Loro sanno come lavorare con l’incertezza che, come sappiamo, è uno dei più forti disincentivi ad agire contro il cambiamento climatico. Lo fanno abbracciando questa incertezza, pianificando per quattro possibili gradi d’innalzamento del livello del mare: 40 cm, 60, 80 e 120. Nessun investimento su larga scala, pubblico o privato, viene fatto ora nei Paesi Bassi senza che sia stato modellato in base a questi quattro scenari, per valutare se il progetto sia socialmente, economicamente ed ecologicamente sostenibile.

È così che l’Italia (e anche altri Paesi, ovviamente) deve cominciare a pensare, non solo per Venezia ma anche per altre città a rischio mare come Ravenna. Ma nulla di ciò sembra far parte dell’ordine del giorno del governo, né è chiaro a quale Ministero – Ambiente? Beni Culturali? Lavori Pubblici? – spetti la gestione di un simile progetto.

Il Piano Delta risponde al Ministero dei Lavori pubblici e poi al Parlamento olandesi, con un sostegno quasi del 100% da parte della popolazione; il che è facile da capire visto che sarebbe a fortissimo rischio di vita se le autorità si sbagliassero nella pianificazione delle difese contro il mare. Nella nostra Penisola non saranno tanti gli italiani che moriranno a causa dell’innalzamento del livello del mare, ma l’impatto sugli interessi economici del Paese e sui suoi beni culturali sarà molto grave se non si tira fuori la testa dalla sabbia al più presto.

 

La credibilità dell’UNESCO

Oltre a danneggiare se stessa opponendosi all’inserimento di Venezia nell’elenco, l‘Italia ha inferto un colpo molto grave all’UNESCO, la cui credibilità come organizzazione sovranazionale in grado di contribuire alla cura del patrimonio mondiale è stata minata. Il fatto che questo accada proprio nel caso di Venezia è un’amara ironia, perché la Convenzione del Patrimonio Mondiale dell’Unesco è stata elaborata e ratificata nel 1972 in gran parte in risposta alla grande acqua alta del 1966 per aiutare la città e incanalare l’assistenza internazionale. La carta costitutiva della Convenzione recita: “In considerazione dell’ampiezza e della gravità dei nuovi pericoli che minacciano questi siti, spetta alla comunità internazionale nel suo insieme partecipare alla protezione del patrimonio culturale e naturale di eccezionale valore universale mediante la concessione di un’assistenza collettiva che, pur non sostituendosi all’azione dello Stato interessato, ne costituirà un efficace complemento“.

L’Italia ha rifiutato la cooperazione e l’assistenza internazionale per la città più bella del mondo, la “città fatata del cuore” come la definì Lord Byron, e ha dato un calcio brutale ad un’organizzazione d’importanza mondiale, per quanto imperfetta. Si è davvero trattato di un autogol di proporzioni disastrose.

 

Immagine di copertina: Fulvio Roiter, Acqua alta in Piazzetta San Marco, 2002 © Fondazione Fulvio Roiter

 

 

 

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Last modified: 11 Ottobre 2023