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Lucio BoveWritten by: Patrimonio

Domus Tiberiana, imago imperii

Domus Tiberiana, imago imperii

Riaperto a Roma il complesso del palazzo imperiale, con un allestimento che racconta un tassello della storia del Palatino

 

ROMA. Volgere l’attenzione al Palatino dal Foro Romano significa abbracciare con lo sguardo il profilo del colle, le sue sostruzioni ed emergenze architettoniche e archeologiche. Spesso ci si focalizza proprio sulle due Uccelliere Farnesiane e sulle poderose arcate poste all’estremità nord: la Domus Tiberiana. Ora i visitatori del Parco archeologico del Colosseo potranno attraversare queste strutture e sostarvi, fruendo in maniera circolare degli ambienti che connettono il piano del Foro a quello del soprastante colle.

 

Il palazzo imperiale

Fin dalla prima età repubblicana questo versante del colle è il luogo privilegiato dalle famiglie aristocratiche per erigere le proprie dimore; all’epoca di Augusto la nobiltà si vede confiscare i propri possedimenti dal principes per destinarle, presumibilmente, a esponenti della casata giulio-claudia; gli archeologi sono riusciti a ottenere molte informazioni del periodo grazie ad alcuni oggetti d’uso quotidiano rinvenuti durante gli scavi (II sec. a.C. e l I sec. d.C.).

Il vero complesso edilizio della Domus risale al I secolo d.C. Sono state proprio le indagini archeologiche a permettere di attestare la prima fase, subito dopo il disastroso incendio del 64, contestualmente all’edificazione della Domus Aurea nel limitrofo colle Oppio. La fase neroniana, per quanto si ponga in continuità con i precedenti interventi, mantenendo una scansione urbanistica regolare degli isolati a maglia ortogonale, modifica la destinazione d’uso e ridefinisce gli spazi. Il Clivo della Vittoria diventa la cerniera di collegamento di una parte di questo poderoso intervento, mettendo in relazione ambienti prospicenti e permettendo di superare il dislivello del colle correndo parallelo alla sua orografia lungo l’asse sud-est e nord-ovest. I successivi ampliamenti e ristrutturazioni sono dovuti agli imperatori Domiziano (81-96 d.C.) e Adriano (117-138 d.C.), definendo una residenza di quattro ettari, oggi non pienamente apprezzabile visto che la superficie conservata si estende per poco meno della metà, con un’altezza variabile tra i 5,5 e i 17 m.

Le tecniche costruttive rilevabili vanno dall’opera laterizia con mattoni di colore giallo-arancione e opera cementizia, all’opera listata con pannelli in reticolato di tufelli di 7-8 cm di lato, cinture e stipiti in laterizio e opera mista con laterizi differenti dai precedenti, anche di forma estremamente eterogenea. La malta impiegata è generalmente molto coesa, con aggregati e granulometria fine costituiti principalmente da pozzolana rossa e nera.

Le superfici presentano ancora porzioni di decorazioni e rivestimenti superficiali; il cosiddetto ponte di Caligola conserva ancora parte degli stucchi che ricoprivano i soffitti dei vani di questo versante della Domus. Il motivo centrale del lacerto è geometrico, composto da tre pannelli centrali di forma quadrata con ai lati campi a forma di “T”, a loro volta delimitati da una spessa cornice dove si susseguono esagoni. Figure antropomorfe e motivi vegetali campeggiano dentro queste geometrie una volta variopinte; il fondo dei tre riquadri era di colore rosso, mentre quello dei tondi iscritti blu. I pavimenti erano mosaicati e in sectile, alcuni composti con il medesimo disegno delle volte.

L’utilizzo del palazzo continuò fino al VII secolo, quando divenne temporanea sede pontificia di Giovanni VII. Solo a seguito di questo pontificato iniziò il lento declino e abbandono degli ambienti, fino a quando la famiglia Farnese non vi s’insediò, ridisegnando parte dell’orografia del colle e utilizzando le strutture per innestarvi il giardino di delizie privato, gli Horti Farnesiani.

 

Gli scavi archeologici “alla maniera moderna” e i dissesti statici

A partire dal 1862 prima Pietro Rosa, poi Rodolfo Lanciani e, infine, Giacomo Boni intrapresero numerose indagini sistematiche e campagne di scavo della Domus, sia sul fronte settentrionale verso il Foro quanto sul versante orientale lungo il cosiddetto Clivo Palatino. Lo stesso Boni nel 1900 iniziò la demolizione della chiesa di Santa Maria Liberatrice per riportare alla vista la sottostante Santa Maria Antiqua, a sua volta costruita sopra una porzione del palazzo imperiale edificato alla quota del Foro. Queste approfondite e incisive campagne di scavo modificarono completamente le condizioni morfologiche alla base delle pareti prospicenti la via Nova. Purtroppo, non seguirono adeguati interventi di consolidamento e restauro delle murature rinvenute, eccezion fatta per inserimenti di sostegni alle porzioni superiori, integrate con archi e setti murari; per secoli inglobate dal terreno, sono quindi tornate in funzione senza però avere un adeguato sostegno nelle zone di attacco a terra.

 

La chiusura al pubblico, i restauri e la recente riapertura

A seguito dei continui dissesti e davanti al rischio di crolli, la Domus è chiusa ai turisti nel 1970. Da quel momento si sono susseguiti le campagne di monitoraggio, studio e analisi, supportati di volta in volta dal costante avanzamento tecnologico degli strumenti utilizzabili. La raccolta e la gestione dell’esteso materiale accumulato – fondamentale per la comprensione dei fenomeni in atto – e le nuove indagini effettuate, tra le quali i carotaggi geognostici, le misurazioni e i saggi di tipo strutturale e geotecnico, hanno permesso di redigere un coerente e complesso progetto di restauro.

Come ricordato da Maria Grazia Filetici (progettista, insieme a Fulvio Coletti, del progetto generale “Domus Tiberiana. Imago Imperii”), è ancora il restauro attivo a confermarci che ogni singolo monumento rappresenta un episodio a sé, da affrontare nella sua singolarità di “caso per caso”.

 

Il percorso di visita e l’allestimento

Alla fase d’intervento strutturale – sono ben visibili le integrazioni delle ghiere degli archi e dei pilastri delle arcate del quartiere dei servizi della Domus Tiberiana, celate alla vista ma individuabili grazie ai capochiave e da alcune catene inserite nella muratura – ha fatto seguito lo studio di un nuovo percorso di visita, articolato lungo gli ambienti che si affacciano sul clivus Victoriae: sette sale espositive permettono di avere una vista privilegiata sul sottostante Foro, abbracciando con lo sguardo anche gli edifici della capitale oltre via dei Fori Imperiali.

Anfore, lucerne, vasellame, decorazioni fittili e reperti metallici e vitrei raccontano della vita non solo della Domus ma anche delle case che erano dislocate sul Velabro, zona pianeggiante estesa tra le pendici nord-est del Palatino e il Campidoglio. Le strutture espositive metalliche, colorate di nero, ben s’inseriscono nel contesto degli ambienti dominati dai toni caldi dei laterizi: inquadrano i reperti e diventano alloggio dei corpi illuminanti per le opere e gli ambienti stessi. Le luci, a tratti teatrali, permettono di apprezzare l’intero intervento di commistione contenuto-contenitore. In uno dei vani, una piramide olografica illustra la ricostruzione della fase neroniana dell’edificio, mentre la descrizione del periodo domizianeo e di quelli successivi è demandata ai resti marmorei e al materiale lapideo degli ordini architettonici conservati nei depositi palatini.

La ricostruzione dei profili disegnati sulle pareti di fondo dove alloggiano i frammenti – un fil di ferro bianco su sfondo nero bidimensionale – aiuta la comprensione delle brecce scanalate, delle paraste dei capitelli, delle aggettanti trabeazioni, nonché la loro posizione nello spazio. Questo filo conduttore non solo fa ammirare la magnificenza e l’opulenza dei luoghi, ma riconnette la residenza palaziale al suo contesto, al percorso che attraversa la millenaria stratificazione del parco archeologico.

Immagine di copertina: Vista del Foro Romano e della Domus Tiberiana (© Emanuele Antonio Minerva)

 

Autore

  • Lucio Bove

    Architetto specialista in Beni Architettonici e del Paesaggio, si è formato tra l’Università degli Studi di Ferrara e La Sapienza di Roma. I suoi interessi sono orientati verso la storia dell’architettura e le questioni teoriche del restauro, anche come autore di articoli divulgativi del settore

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Last modified: 3 Ottobre 2023