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Giacomo "Piraz" PirazzoliWritten by: Progetti

Galleria delle Collezioni Reali di Madrid: lunga durata o canto del cigno?

Galleria delle Collezioni Reali di Madrid: lunga durata o canto del cigno?

Un dialogo intorno al monumentale museo di Mansilla + Tuñón, ora finalmente completato dal dissonante allestimento di Manuel Blanco

 

MADRID. In giugno si sono finalmente inaugurate le Galerías de las Colecciones Reales. Il progetto è l’esito di un concorso vinto dallo studio madrileno Mansilla + Tuñón nel 2003, cui ha fatto seguito il cantiere nel 2006-2016. Nel frattempo, Luis Mansilla è scomparso a 53 anni nel 2012, mentre l’edificio – che in apparenza può ricordare il Municipio di Murcia di Rafael Moneo – è rimasto vuoto per alcuni anni, in attesa degli allestimenti poi realizzati da Manuel Blanco in dissonanza con la monumentalità degli interni. L’intervento, di circa 40.000 mq totali, accoglie opere appartenenti alle Collezioni Reali che non potevano essere mostrate nel Palazzo Reale. Realizzato per essere percorso dall’alto per mezzo di rampa e ascensori, oltre ai tre livelli espositivi l’edificio include anche auditorium, biblioteca e sale interattive. Di tutto ciò discutono Carmen Díez Medina e Giacomo “Piraz” Pirazzoli.

 

GP: Un progetto di altissimo livello, costruito con una cura senza pari: mossa geniale ma anche paradosso e canto del cigno. A cominciare dall’idea di “muro (ovvero sostruzione) abitato”, la struttura dell’edificio presiede alla creazione di sale paragonabili alla navata di una cattedrale, tuttavia con la parete a valle diaframmata per dosare la luce e l’altra, a monte, contro terra, ovvero ininterrotta serie di nicchie determinate appunto dalla struttura. Il tutto, governato da una distribuzione ineccepibile con una rampa che è quasi faglia geologica e che regala all’intera fabbrica due trasparenze incrociate verso l’esterno. Un mondo in granito e legno – su base in cemento armato bianco – di forte spessore. Ma tanta perfezione può ancora essere di questa terra, in tempi di cambiamenti climatici e Carbon Footprint?

CDM: Non credo che le considerazioni sul cambiamento climatico siano incompatibili con i valori della buona architettura. Si può costruire in modo responsabile dal punto di vista ambientale senza entrare in conflitto con il patrimonio che la città ci ha affidato. Il maggior pregio di questo progetto per un luogo storicamente così importante è la sua azzeccata strategia generale: un’architettura in continuità con la preesistenza; un edificio che “scompare” per consolidare la piattaforma topografica su cui sorgono il Palazzo Reale e la Cattedrale dell’Almudena. Non solo dobbiamo orientare le decisioni progettuali verso soluzioni sempre più ecologiche, ma anche imparare dall’esemplarità disciplinare di alcune opere sensibili alla città come questa. Questo museo va inteso come una delle tessere che compongono il grande mosaico della storia di Madrid nel rispetto dei valori che l’architettura aveva in passato, per esempio con una materialità che sfida il passare del tempo. Questo concetto di durevolezza ha molto a che vedere con i criteri di economicità, di cui si parla poco e che invece sono cruciali anche in termini di sostenibilità.

GP: Dunque, in quanto parte di un rilevantissimo complesso storico-monumentale, l’edificio sta in una braudeliana “lunga durata”. Perciò, in tal caso, avrebbe senso il cemento armato – dal punto di vista della sostenibilità il materiale più anacronistico in quanto irreversibile per antonomasia? Quanto alla struttura, merita una nota: partendo dalla parete esterna lato Ovest si ha una sovrapposizione in verticale di pilastri “pieno su vuoto” che nel senso della profondità vengono invertiti rispetto ai vuoti, a meno di uno spazio interstiziale (si veda la planimetria). In tal modo tutta la parete funziona da brise-soleil; è poi il layer interno che sale fino alle travi, continue con i pilastri, che a loro volta corrono fino alla parete contro terra ad Est, qui tornando pilastri a disegnare una spettacolare serie di nicchie ovvero componendo i grandi portali che della sala fanno monumento. Sto pensando a qualche altro intervento museale contemporaneo paragonabile a tanta lezione di architettura…

CDM: Forse il Museo di Arte Romana di Mérida di Rafael Moneo? Pur essendo formalmente molto diversi, in entrambi gli edifici la forma è dettata dalla struttura e dalla costruzione. In un’opera d’ingegneria romana nessuno mette in discussione la forma, perché l’immagine è affidata al meccanismo stesso della costruzione. Qualcosa di simile accade in questi due progetti: a Mérida, con il sistema di contrafforti che si adatta all’andamento della strada; a Madrid, con un sistema di pilastri sovrapposti che creano un “muro di contenimento abitato”, una formazione geologica artificiale che completa lo skyline urbano. L’architettura diventa così espressione plastica di un sistema costruttivo. Ma nella realtà, purtroppo, è sempre più difficile trovare edifici che si muovano rigorosamente entro i limiti dell’ambito disciplinare. Da qui, suppongo, la tua lettura come “canto del cigno”. Voglio pensare che non sia così. L’architettura – e questo edificio ne è chiara dimostrazione – dispone di una quantità inesauribile di risorse proprie che le permettono di risolvere brillantemente problemi complessi rimanendo nell’ambito disciplinare.

GP: Vorrei ora discutere la museografia, pure arricchita da una notevole presenza archeologica. Di questa strategia espositiva trovo inaccettabile in tempi di post-colonial l’insistenza sulla “conquista” spagnola: l’unico contrasto appare quando il percorso lineare lungo la parete Ovest con le nicchie s’incrocia con quello lungo la parete Est per lasciar scorgere un guerriero sullo sfondo di un crocifisso e di opere d’arte sacra. Al di là di questo, viene da pensare che la museografia avrebbe potuto spingere su cotanta architettura, a partire dall’archetipica spazialità delle grandi sale e dalla loro asimmetria. Purtroppo, invece, la lunga teoria di nicchie viene trascurata, il sistema di dosaggio della luce accecato da (pur eleganti) scuri a tutt’altezza, mentre le travi che legano le due pareti contrapposte vengono interrotte dai supporti in cartongesso. Pur essendo intrinsecamente di standard elevato, questo allestimento è un’occasione perduta…

CDM: Tocchi due argomenti critici fondamentali. Riguardo alla narrazione proposta nell’allestimento, non ho l’impressione che s’insista sulla “conquista”. Mi sembra piuttosto che le opere siano presentate mettendo in rilievo più il loro valore artistico che le loro connotazioni storiche. Approvo l’aver cercato di mantenere la neutralità nella narrazione in un’istituzione statale come questa, perché la questione della “conquista” si presta facilmente alla strumentalizzazione. In quanto invece all’aspetto strettamente progettuale, riempire uno spazio dotato di tanta personalità, evitando di rivaleggiare con esso, non è compito facile. Nelle immagini a volo d’uccello le interruzioni dei supporti in cartongesso possono apparire alquanto discutibili, ma quando si percorrono le sale, questi aiutano a compartimentare tematicamente lo spazio, offrendo una scala e un supporto corporeo alle opere e permettendo una certa flessibilità per futuri allestimenti.

(traduzione di Stefano Giuliani)

Immagine di copertina: Emilio Tuñón, schizzo di progetto per la Galleria delle Collezioni Reali a Madrid

 

Chi è Carmen Díez Medina

Nata a Madrid nel 1962, è docente ordinaria di Composizione architettonica presso la Escuela de Ingeniería y Arquitectura de la Universidad de Zaragoza. Dottorato di ricerca al politecnico di Vienna (TU Wien) e laurea in Architettura al politecnico di Madrid (ETSAM). Ha svolto soggiorni di ricerca al Politecnico di Milano e all’ETH di Zurigo. Responsabile del gruppo di ricerca Paisajes Urbanos y Proyecto Contemporáneo. Ricercatrice principale di “Peri-Urban Strategic Areas in Transformation. Eco-cultural challenges in urban regeneration processes in Spanish Cities” (PER-START), con R. Bambó (2021-24). Curatrice (con Javier Monclús) di Urban Visions. From Planning Culture to Landscape Urbanism, Springer, 2018 (edizione spagnola Abada, 2017). Oltre cento pubblicazioni in libri e riviste specializzate. Come architetta ha collaborato negli studi di Rafael Moneo a Madrid (1996-2001) e di Nigst, Hubmann&Vass a Vienna (1989-95).

 

Autore

  • Giacomo "Piraz" Pirazzoli

    Nato nel 1965, laureato in architettura a Firenze, PhD Roma-Sapienza e post-doc FAU-Universidade Mackenzie São Paulo. Dopo aver realizzato in Italia alcune architetture in collaborazione con Paolo Zermani, Fabrizio Rossi Prodi e Francesco Collotti, lavora in ambito interculturale tra musei, mostre e sostenibilità applicando le ricerche Site-Specific Museums e GreenUP - A Smart City che ha diretto, essendo dal 2000 professore associato presso il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze. Già presidente dell’Accademia di Belle Arti di Firenze, è stato consulente presso ACE-CAE (Architects Council of Europe, Bruxelles), UN-UNOPS etc. Oltre che per mezzo di progetti, opere e relative conferenze, svolge attività internazionale anche come visiting professor e vanta oltre duecento pubblicazioni. Vive tra Firenze, l’Umbria e Rio de Janeiro.

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Last modified: 20 Settembre 2023