Dalla proposta del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici al dibattito internazionale
Negli ultimi anni e ancor più nel momento attuale, gli effetti causati dal cambiamento climatico spingono a riflettere su possibili strategie di adattamento che coinvolgano tutti gli aspetti economici e sociali, compreso il patrimonio culturale. Per pianificare il futuro dei siti che potrebbero essere severamente colpiti, gli approcci sono necessariamente di tipo multidisciplinare, abbinando le indagini storico-critiche di architettura al monitoraggio e alla raccolta dati di tipo scientifico sulle specifiche criticità ambientali.
Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici
Circa gli effetti dei cambiamenti climatici sui materiali da costruzione, sono in corso da diversi anni studi che sembrano concordare sulle possibili variazioni del degrado superficiale e strutturale. I primi esiti a livello europeo – si veda il progetto Noah’s Ark che, iniziato nel 2004, ha stabilito gli effetti diretti e indiretti del cambiamento climatico sul patrimonio costruito e sul paesaggio con la realizzazione di modelli nella finestra temporale di cento anni – sono stati ribaditi anche nella recente proposta del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) da parte del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (2023).
I modelli di previsione indicano, a livello territoriale, l’aumento di eventi estremi che possono alterare l’aspetto del paesaggio e danneggiare gravemente le emergenze architettoniche, mettendo in crisi le coperture e gli impianti di allontanamento delle acque meteoriche e colpendo in particolare l’architettura vernacolare che impiega terra cruda, mattoni crudi, elementi non cotti in fornace e graticci. Al contrario, il materiale lapideo potrebbe essere soggetto a un alto rischio di stress termico con decoesione e alveolizzazione, derivanti dall’aumento delle radiazioni solari, e ad ampi fenomeni di carbonatazione, causando l’aumento di recessione superficiale. Inoltre, si considerano alti i rischi di cristallizzazione nei materiali porosi e di essiccazione dei suoli in contesti archeologici.
A tal proposito, specifici ambiti territoriali o tipologie di beni architettonici possono essere soggetti a maggiori rischi per le loro caratteristiche intrinseche. È stato evidenziato il maggiore impatto delle variazioni dell’andamento delle precipitazioni e delle temperature per rovine e siti archeologici che presentano resti sia già scavati, sia ancora interrati, più vulnerabili a questo tipo di minacce. In quest’ultimo caso, verrebbe meno la funzione protettiva del suolo nei siti non ancora oggetto di scavo e l’evaporazione dell’acqua nel terreno potrebbe portare ad un’accelerazione della cristallizzazione dei sali nelle murature e negli intonaci antichi, con il rischio di produrre decoesioni e danni alle decorazioni. Inoltre, nei casi di strutture ipogee o grotte, la variazione del microclima e dell’irraggiamento solare ha già prodotto, in alcuni contesti, una variazione e un aumento della patina biologica, come evidenziato nello studio delle tombe ipogee a Tarquinia (Viterbo).
Città e aree costiere
In ambito urbano, la vicinanza a corsi d’acqua può risultare problematica, per possibili rischi idrogeologici, come indicato, ad esempio, dagli studi sui danni a manufatti e materiali da costruzione a Siviglia e Venezia. La sempre maggiore cementificazione impedisce il corretto drenaggio delle acque piovane e favorisce la formazione delle cosiddette “isole di calore”. A tal proposito, una maggiore attenzione alla progettazione e manutenzione del verde urbano e la valorizzazione delle aree verdi attualmente esistenti – anche di particolare pregio storico-artistico, come ad esempio il ricco complesso di ville e giardini storici che caratterizzano il tessuto urbano di Roma – potrebbe non solo aiutare nelle azioni di contrasto degli effetti dei cambiamenti climatici, ma anche riqualificare e rendere vive alcune aree dei centri storici, come indicato dalle relazioni del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC), che forniscono una panoramica su clima, impatti, rischi e strumenti di cui si stanno dotando le città di Bologna, Milano, Napoli, Roma, Torino e Venezia.
Il patrimonio culturale in aree costiere sarà soggetto in particolare all’innalzamento del livello del mare e ai fenomeni di erosione, con probabile perdita dei siti archeologici e dei complessi monumentali. Oltre alle già citate analisi su Venezia, sono attualmente in corso studi per la mappatura del patrimonio lungo la costa portoghese e per verificare lo stato, in alcuni casi fortemente precario, dei beni architettonici.
La discussione in ambito internazionale
Nei settori del paesaggio e dell’architettura, il riconoscimento dei valori dei beni è stato oggetto di discussione in ambito internazionale (UNESCO, ICOMOS, ICCROM), arrivando alla condivisione di criteri di conservazione basati sull’identificazione delle accezioni estetiche e storiche dei siti.
Pur considerando la necessità di partire da un approccio legato alla conoscenza del singolo sito e senza operare generalizzazioni, tali proposte di metodologie forniscono modelli abbastanza schematici e rigidi che in alcuni casi rischiano di depauperare il processo di conoscenza e di svilire l’atto di restauro: non più progettazione ma applicazione meccanica di rimedi. Allo stato attuale, agli studi teorici hanno fatto seguito solo pochi programmi concreti. L’adozione di strategie articolate nel tempo, che possano modulare le azioni caso per caso e modificarle a seconda dell’evoluzione del contesto – quali le tanto auspicate strategie di conservazione programmata – in abbinamento ad interventi di restauro più puntuali, potrebbero rappresentare un metodo operativo, ancora da esplorare pienamente, al fine di limitare i pericoli per il patrimonio costruito e il paesaggio.
Immagine di copertina: acqua alta a Piazza San Marco, Venezia, 1960 (fotografia di Paolo Monti, serie fotografica Venezia, Biblioteca Fondazione BEIC, CC BY-SA 4.0)
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beni culturali , cambiamento climatico , paesaggio , restauro , tutela
Last modified: 12 Settembre 2023