L’intervento di AOC Architects e la trasformazione da museo sull’infanzia a spazio per l’infanzia
LONDRA. Guance pallidine e diafane, vestitini di pizzo e velluto, innocenza vittoriana e storie edificanti. Se questa è la vostra idea d’infanzia (soprattutto quella inglese), abbiamo una brutta notizia. Entrare nel nuovo Young Victoria and Albert di Bethnal Green equivale ad una discesa in un regno in cui noi, gli adulti, siamo ammessi solo con un certo sospetto. L’estensione del 2006, elegante e luminosa, di Caruso St John è stata ora trasformata in un parcheggio per passeggini, mentre l’interno è un trionfo di pargoletti coloratissimi, vivacissimi, attivissimi e sostanzialmente padroni assoluti dello spazio.
Il museo ha riaperto le porte l’1 luglio, dopo un progetto di rinnovo da 13 milioni di sterline iniziato nel 2021, firmato per la parte architettonica da De Matos Ryan, e per l’allestimento da Agents of Change Architecture (AOC). L’edificio che accoglie il museo è un tipico spazio vittoriano che potrebbe essere confuso con un’ex fabbrica, o una piccola stazione ferroviaria; in realtà è stato progettato da James William Wild nel 1872, nella lunga coda dell’esposizione universale del 1851. Immaginato come un museo dell’East End, nel 1922 fu trasformato “informalmente” in uno spazio espositivo di artefatti per l’infanzia, con donazioni di giochi da parte della famiglia reale e di alcuni privati. Tranne che durante la Seconda Guerra Mondiale, è sempre stato un museo sull’infanzia, almeno finora.
L’edificio, dal forte carattere industriale, con colonnine in ferro ed elementi modulari prefabbricati che seguono l’esempio del Crystal Palace, era stato appunto rinnovato da Caruso St John provvedendo ad aggiungere un nuovo ingresso, extra spazi di servizio seminterrati, e una nuova installazione espositiva.
L’interno gioioso e dissonante che si ammira oggi è invece il frutto di un lavoro molto interessante da parte di AOC Architects, che ha certamente – e non senza critiche – snaturato il progetto di Caruso St John. Dove infatti il primo progetto mostrava sostanzialmente un museo di esibizione, elegante nei dettagli, con linee sobrie e un’ottima capacità di disegno dell’esposizione di cui Adam Caruso e Peter St John sono maestri, quello attuale celebra l’abilità infantile del farsi trasportare da immagini e oggetti. La nostalgia verso i Meccano e le macchinine di latta è sempre presente, ma non è più l’unica narrativa del museo. La meravigliosa collezione di casa di bambole c’è ancora ma, nella base dell’espositore, con una torcia, i bambini possono osservare il rifugio delle Tartarughe Ninja!
Play, Imagine, Design
Parte della collezione originaria del museo è stata spostata altrove, per dare così più spazio al gioco e alla sperimentazione. Gli oggetti esposti nelle tre gallerie permanenti – Play, Imagine, Design – diventano pretesto per iniziare un’esplorazione fantastica, tra palchi ricoperti di tappeti rossi, mini-gallerie di finta erba, luci, specchi ed enormi costruzioni in gommapiuma blu. La materialità di questi ambiti sorprende per la varietà e ricchezza, riuscendo nell’impresa di stimolare l’immaginazione ben oltre l’idea d’interattività espositiva. Così come le sovrastrutture, che invadono gioiosamente ogni angolo del museo, riescono nell’intento di creare più scale di progetto, includendo ogni età e dimensione, e dando modo agli adulti di giocare e interagire con i più piccoli.
Da V&A Museum of Childhood a Young V&A
In questo progetto, in cui John Constable e Giovan Battista Piranesi stanno comodamente accanto alle Barbie Spice Girls, è quindi possibile – finalmente – osservare quello scarto semantico da uno spazio immaginato per mostrare la visione adulta dell’infanzia, ad uno per l’infanzia, in cui la creatività fanciullesca è riconosciuta nelle sue diverse anime ed età, e soprattutto, la si riconosce padrona dello spazio e dei suoi usi.
Questo cambio d’identità, fortemente voluto, tanto da cambiare il nome dell’edificio da V&A Museum of Childhood a Young V&A, si osserva su più livelli nel progetto di AOC. A partire dai disegni: sezioni e assonometrie caotiche, gioiose e colorate, che risultano quasi confuse nella loro varietà. Molto diverse dalle classiche proiezioni ortogonali, in scala di grigi, chiare e ripetitive di Caruso St John. Così come molto differente è stato il processo progettuale. Non più quello dell’architetto factotum, maestro che definisce l’idea e dirige le maestranze che la portano a compimento, ma un esercizio di co-creazione, con workshop aperti ai bambini e momenti partecipativi di scambio interdisciplinare e intergenerazionale.
Qualche polemica
Il risultato finale è eccezionale in termini di fruizione. L’architettura forse si perde tra le superfici gommose e i colori esagerati, ma è un perdersi felice. In ogni caso, a poco più di una settimana dall’apertura, le polemiche sono già iniziate. Da una parte chi ha utilizzato questo esempio di spazio collettivo per i giovani, gratuito e dinamico, per ribadire l’ingiustizia di un sistema educativo inglese sempre più elitario e discriminatorio. Dall’altra chi ha invece attaccato direttamente l’allestimento perché tra le scelte di cosa esporre e cosa no, è stato escluso un poster in difesa dei diritti transgender.
Senza nulla togliere a questi dibattiti, estremamente validi e importanti, questo progetto rappresenta un’importante e innovativa idea di spazio collettivo per l’infanzia, e una sensibilità e comprensione per i bambini come utenti molto speciali dell’architettura che forse solo Aldo Van Eyck era riuscito a realizzare. I passeggini che ogni giorno aspettano in fila fuori dal museo per poter entrare lo dimostrano chiaramente.
Immagine di copertina: © Carla Molinari
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allestimenti , infanzia , londra , musei
Last modified: 11 Luglio 2023