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Luigi BartolomeiWritten by: Reviews

Oltre sacro e profano: dalla città dello scarto a quella del riuso

“A Ribbon and a prayer: da spazi laici a luoghi sacri”: a Reggio Emilia una mostra fotografica di Massimiliano Camellini esplora le moderne contaminazioni del religioso

 

REGGIO EMILIA. Una piccola, curatissima mostra ancora al Binario 49 per la quale vale la pena scendere dal treno regionale e allungarsi su via Turri. Il riscatto di un quartiere dalle molte fragilità, affacciato sul nodo ferroviario reggiano, è iniziato proprio dalla rigenerazione di questo padiglione sghembo che fu l’origine dell’impianto architettonico e oggi l’avvio di un processo di recupero nato dal basso, con opere di restauro e riallestimento in gran parte frutto di volontariato e passione.

Dopo l’inaugurazione nel 2018, Binario 49 fece presto parlare di sé, ospitando l’anteprima nazionale della mostra “Africa” di Sebastião Salgado che sfiorò i 25.000 visitatori. Oggi il binario diventa nastro (ribbon) e dà spazio ancora alla fotografia come strumento di conoscenza, indagine e incontro con gli altri e con l’Altro.

 

Un percorso iniziatico

Massimiliano Camellini ha scelto il padiglione come sede per la sua mostra “A Ribbon and a prayer: da spazi laici a luoghi sacri”, con un allestimento a cura di Benedetta Incerti e Andrea Tinterri. Le opere si presentano in grande formato a parete o su supporti metallici, stampate con cura da Fotofabbrica (Piacenza) su delicatissima carta cotone che le predispone già all’eternità. Le immagini ne emergono con una nitidezza e verità tridimensionale, introdotte da tappeti che, quasi segmentazioni locali del nastro di cui al titolo, costruiscono ad ogni opera una soglia che i visitatori non osano varcare e che conquista alle opere un distacco fisico e metafisico, per evadere dalla prigionia dei dettagli e scandire un percorso le cui sole luci sono quelle assicurate alle immagini da neutri faretti ricaricabili da bicicletta.

Resta il dubbio se sia solo una mostra o anche un percorso iniziatico, fatto sta che in nove stationes (perché infine omne trinum est perfectum) gli ospiti sono condotti dal vedere all’esperire, fino all’apice dell’esperienza che, come per Tommaso, fu l’attraversare: poiché invito finale dell’esposizione è proprio varcare quella soglia che si pensava interdetta e penetrare nel quadro, squarciato nel mezzo come il velo del tempio sull’asse verticale della croce della chiesa evangelica di Oslo, ospitata in un edificio residenziale. Ogni dualismo tra sacro e profano è superato e il percorso della mostra compiuto.

 

La diaspora del sacro nella città post-industriale

Echeggia invece nella sede, nelle opere e nell’allestimento la dicotomia tra la città dei consumi che genera scarti, e quella del riuso che produce appartenenza. La seconda emerge tra le pieghe della prima, in ambiti di marginalità, ove spesso le comunità migranti fissano i propri luoghi d’incontro e di preghiera, annodando passato e presente, terra di origine e nuovo, quotidiano paesaggio di vita. A queste moderne contaminazioni del religioso è dedicata la mostra, il cui tema è, per la gran parte, la diaspora del sacro nella città post-industriale.

La proposta è originale perché oggi prevale il movimento opposto, ossia la fascinazione iconica dell’abbandono e il problema gestionale che lasciano chiese e conventi dismessi dalle loro comunità religiose: temi ai quali più volte anche questo giornale si è dedicato. Negli scatti di Camellini il religioso appare invece come elemento vitale e parassita, pronto a colonizzare gli scarti e gli edifici eccedenti delle città per garantire spazi di ritualità e preghiera a nuove comunità religiose o a comunità di antica tradizione con esigenze di culto e spiritualità rinnovate.

Un sacro che si affaccia ove non ti aspetti, come nella casa sull’albero nella campagna di Assisi che apre la mostra: un edificio effimero dagli ascendenti ludici divenuto la più recente declinazione del romitorio su un pendio che di esperienze eremitiche è sempre stato fertile. Delle altre opere in mostra il contesto è urbano, e Camellini riesce a istituire una relazione tra interno ed esterno dei luoghi, superando la crasi tra la repulsione che genera l’incuria dello scarto e l’appartenenza che produce la cura del luogo.

Il metodo di lavoro rimonta al collage, pur essendo infine stampato dalla più alta tecnologia digitale. Al centro dell’opera, in un bianco e nero perfetto immune da qualsiasi riflesso, l’interno di ritrovati luoghi di culto, in cui la comunità si percepisce per assenza, solo nell’ordine impresso alle cose: le scarpe ordinate all’ingresso della moschea, le icone e i lampadari decorati della chiesa ortodossa, la menorah della sinagoga accolta in un edificio residenziale a Lubiana.

Sullo sfondo e a cornice di questi quadri, l’esterno dei luoghi stessi, cromaticamente virati in funzione didascalica per identificare i culti insediati. L’operazione non è però esteticamente ingenua e il risultato mai banale. L’immagine degli interni non giace mai a caso né interferisce con il corrispondente esterno, trovando anzi la propria collocazione in relazione a figure e forme, perpendicolarità e assi istituiti dalla figura di contesto. L’opera d’arte pone una relazione tra interno ed esterno dei luoghi che dissolve la dicotomia percettiva e postula forse anche una nuova comprensione della città.

Il cromatismo di cornice palesa poi che l’attività di Camellini non è solo di ricerca estetica ma, altrettanto, di conoscenza sistematica, per un’indagine che al Binario 49 propone un’accurata selezione di opere da circa settanta casi studio e un progetto che ambisce portare l’obiettivo della Hasselblad a illustrare religiosità nomadi in tutti e cinque i continenti.

Immagine di copertina: IACA, Assisi (casetta sull’albero), 2021

 

“A Ribbon and a prayer: da spazi laici a luoghi sacri”

Progetto fotografico di Massimiliano Camellini a cura di Andrea Tinterri e Benedetta Incerti

Dal 28 aprile all’11 giugno 2023

Binario49, Reggio Emilia, via Turri 49

Orari: venerdì/sabato ore 18 – 22; domenica ore 17 – 21

Ingresso libero

 

Autore

  • Luigi Bartolomei

    Nato a Bologna (1977), vi si laurea in Ingegneria edile nel 2003. È ricercatore presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Bologna, ove nel 2008 ha conseguito il dottorato di ricerca in Composizione architettonica. Si occupa specialmente dei rapporti tra sacro e architettura, in collaborazioni formalizzate con la Facoltà teologica dell’Emilia-Romagna ove è professore invitato per seminari attinenti alle relazioni tra liturgia, paesaggio e architettura. Presso la Scuola di Ingegneria e Architettura di Bologna insegna Composizione architettonica e urbana, ed è stato docente di Architettura del paesaggio e delle infrastrutture. È collaboratore de "Il Giornale dell'Architettura" e direttore della rivista scientifica del Dipartimento, “in_bo. Ricerche e progetti per il Territorio, la Città, l’Architettura”

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Last modified: 3 Maggio 2023