Una settimana che è diventata la celebrazione corale di una città e della mutabilità democratica del design
MILANO. Quella che si è appena conclusa è stata una Milano Design Week da record, con oltre 300.000 visitatori, provenienti da 181 paesi (soprattutto da Cina, Germania e Francia), e un indotto di 223 milioni.
Una Milano avvolgente, allegra, aperta, con interi quartieri gremiti di visitatori che affollavano la marea di appuntamenti in città e l’energia di migliaia di persone accorse da ogni parte del mondo per partecipare a quella che sempre di più si configura come la celebrazione corale di una città più che come una manifestazione tematica. A Milano la mutabilità democratica del design è il fil rouge che tiene insieme contesti e obiettivi molto diversi, complice anche la scelta, strategica, di programmare il Miart e l’Art Week nella settimana precedente i Saloni, in modo da avere un flusso pressoché ininterrotto di visitatori, appassionati tanto di arte quanto di design. Del resto, arte e design sono due ambiti tradizionalmente lontani ma che, con buona pace di Bruno Munari, si stanno avvicinando sempre di più, grazie ai contributi di artisti che firmano oggetti quotidiani e ai designer che creano pezzi unici per collezionisti. Milano accoglie entrambi con la consueta generosità, con un mix&match che ha mutuato dalla moda la spregiudicatezza e la libertà delle profanazioni.
Installazioni alla moda
Discorso diverso per la moda. Tanto la Fashion Week è esclusiva, rigorosamente a porte chiuse per i non addetti ai lavori che espelle come corpi estranei, tanto la Design Week è spalancata e ospitale, permeabile alle contaminazioni e accogliente con chiunque abbia voglia di esserci. Sarà per questo che la Design week piace tanto alla moda, sempre più presente in questa settimana, al punto che non c’è stilista che non presenti qualcosa durante il Salone. A loro si deve una delle protagoniste di questa edizione: l’installazione. Se fino ad ora obiettivo della Design Week era la promozione e la comunicazione dei nuovi prodotti ora l’installazione, intesa come la scenografia esperienziale dello spazio, diviene protagonista rispetto al prodotto, mutuando dal retail dei brand del lusso la capacità di meravigliare e sorprendere attraverso un coinvolgimento sensoriale.
Con la consueta eleganza, Hermès ha allestito alla Pelota una scenografia giocata sull’essenzialità del cemento e del ferro; Vuitton ha presentato a Palazzo Serbelloni undici dei suoi Objets nomades insieme al Cabinet of Curiosities curato da Marc Newson; Dior ha organizzato una delle più belle feste della settimana per presentare la rivisitazione della sedia “Médaillon” firmata da Philippe Starck; Bottega Veneta ha esordito con l’installazione immersiva di Gaetano Pesce che per l’occasione ha disegnato anche due borse; Etro ha scelto l’artista americana Amy Lincoln per l’installazione “Woven Spectrum” dedicata ai suoi celebri pattern; Giorgio Armani ha aperto per la prima volta gli spazi del suo atelier Haute couture con i meravigliosi affreschi di Palazzo Orsini; Buccellati ha rivestito di “Rosso maraviglia” il tetto del suo edificio con un’installazione di Michele De Lucchi.
Le installazioni hanno segnato un cambio significativo nella percezione del Fuorisalone, marcando la differenza, progettuale ma soprattutto economica, tra i progressisti e i passatisti. Se nei padiglioni fieristici s’investe nell’allestimento dello stand per facilitare l’incontro tra la domanda con l’offerta in una relazione prettamente commerciale, nel perimetro urbano della grande Milano le installazioni rappresentano l’ultima forma di comunicazione e di celebrazione del brand. Intorno, tutti i quartieri milanesi si aprono alla curiosità del pubblico, di specialisti come di semplici passanti.
Alla scala urbana, scoprendo delle chicche
Protagonista assoluta di questa Design Week è proprio Milano, con la sua personalità riservata e discreta, fatta di squarci su cortili misteriosi, chiostri segreti e interni che vogliono essere svelati e rifuggono qualsiasi ostentazione o sguardo frettoloso. In questa caccia al tesoro delle bellezze milanesi, grazie alla Design Week, sono stati aperti luoghi solitamente inaccessibili e poco conosciuti agli stessi milanesi: caveau di banche, come visto da Cassina, con la mostra “Echoes” dedicata ai maestri e curata da Patricia Urquiola e Federica Sala; Palazzo Borromeo d’Adda con la mostra “Ars Metallica” di Alessi con il bel progetto il “Tornitore matto” curato da Giulio Iacchetti e Alberto Alessi; l’ex Macello, riaperto per l’occasione da Alcova; la sede dell’impenetrabile “Corriere della Sera”, che ha ospitato “Elevators”, con installazione di Migliore+Servetto; la torre di Arrigo Arrighetti in Largo Treves, che, prima di essere demolita per essere trasformata nell’ennesimo super condominio, è stata avvolta dall’opera “Dry Days” di Agostino Iacurci; la sconsacrata chiesa di San Gelso che ha ospitato la collezione “Les Arcs” di Charlotte Perriand; i “Bagni misteriosi” con Gubi; “Dimore Centrale” e molte altre.
Negli ultimi anni le geografie del design meneghino hanno permesso di valorizzare i quartieri periferici che ospitavano i primi eventi del Fuorisalone come Tortona, Isola o Lambrate. Ora tutti i quartieri, anche quelli più centrali, si sono mobilitati per dare ai diversi luoghi un tema e una coerenza narrativa. Ne sono un esempio Brera con il tema ambizioso “The future is now”, 5Vie- Magenta con il tema “Design for Good”, Durini-Monforte con gli showroom dell’arredo e dell’illuminazione tra cui spiccava quello di Zanotta, Porta Venezia, Isola, e poi, naturalmente il Superstudio Più di Tortona.
In questa nuova dimensione urbana il design conserva i suoi baricentri istituzionali. Innanzi tutto la Triennale, che ha inaugurato la nuova edizione del Museo del Design curata da Marco Sammicheli, oltre a numerose mostre tematiche tra cui si segnala quella su Lisa Ponti a cura di Damiano Gulli. Poi l’Adi Design Museum con la mostra “Italy: A New Collective Landscape” a cura di Angela Rui. Mete irrinunciabili della settimana del design sono anche le gallerie di Nina Yashar, Rossana Orlandi, Luisa delle Piane e Rossella Colombari, le infaticabili muse dei nuovi talenti e sofisticate vestali dei nuovi linguaggi del progetto.
Coup de coeur
Nel flusso magmatico e scattante della Design Week 2023, in cui il tempo non era mai abbastanza e occorrerebbe triplicarsi per riuscire a vedere tutto, gli eventi che mi rimarranno negli occhi e nel cuore sono stati due. Il primo è “Doppia firma” della Fondazione Cologni a Palazzo Litta, che, giunto alla settima edizione e curato da Alberto Cavalli, ha raggiunto la piena maturità e chiarezza espressiva, valorizzando, attraverso l’intenso dialogo tra 24 artigiani e designer, l’unione tra l’innovazione del design e la tradizione dei grandi maestri d’arte. Se “Doppia firma” dimostra la bellezza e la contemporaneità dell’alto artigianato, “L’Appartamento”, affascinante progetto di Artemest nel palazzo abbandonato di via Cesare Correnti 14, è una scoperta nella scoperta, dove i diversi ambienti della casa sono stati progettati e arredati da sei interior designer utilizzando esclusivamente arredi, complementi, illuminazione e arte realizzati da una selezione di artigiani, brand e artisti italiani che collaborano con Artemest. Molto di più di un allestimento, ma un concept di progetto che presenta visioni creative eterogenee, coerenti e poetiche.
Tra gli oggetti più significativi incontrati in questo Salone c’è la lampada “Fluxus”, del bravissimo Paolo Ulian per Cassina, dove tubi di vetro borosilicato trasparenti piegati a metà della loro lunghezza consentono di far assumere forme diverse al corpo illuminante semplicemente ruotandoli su se stessi, conferendo un afflato scultoreo per via della loro trasparenza poetica. All’insegna del colore e dell’allegria i progetti pop di Elena Salmistraro, tra le protagoniste di questo Salone, come i tappeti “Legami” per Tai Ping dove mani intrecciate e braccia annodate coloratissime e preziosissime ci ricordano che il design ha sempre al centro l’uomo e la sua magia.
Immagine di copertina: L’Appartamento, nel palazzo abbandonato di via Cesare Correnti 14 (© Alba Cappellieri)
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installazioni , Milano , Milano Design Week , moda
Last modified: 26 Aprile 2023