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Emma TagliacolloWritten by: Interviste

Elnaz Yousefi e Azadeh Tehrani: essere donne e architette in Iran (e all’estero)

Intervista a due giovani architette tra Iran e Italia: la formazione, le differenze, i riferimenti

 

Ho incontrato le giovani architette Elnaz Yousefi e Azadeh Tehrani dopo un interessante incontro a Roma, presso l’Ordine degli Architetti, dove hanno raccontato la propria esperienza di studio e di lavoro in Italia, occasione nella quale hanno illustrato alcuni progetti realizzati da architette iraniane. Il tema di genere è innovativo e interessante perché ci rimanda un punto di vista nuovo sull’architettura e in modo particolare sull’Iran. Lo scambio di idee con Elnaz e Azadeh è stato fruttuoso per comprendere la contaminazione del linguaggio architettonico che può avvenire quando si mescolano culture differenti e ci si deve interrogare sulla tradizione e su come integrarla nella modernità in cui siamo immersi.

 

Avete avuto la fortuna di formarvi in Iran e in Italia: quali differenze avere rilevato nel percorso di studi?

EY: Ho deciso d’intraprendere questi studi principalmente per il mio interesse per l’architettura tradizionale iraniana. Durante il primo anno di università mi sono resa conto che per comprendere l’anima dell’architettura del mio paese dovevo intraprendere un percorso a ritroso: studiare e capire prima di ogni cosa l’architettura contemporanea e poi quella tradizionale. Questo insegnamento, che era anche una lezione dei miei docenti, non avveniva perché si considerava l’architettura tradizionale iraniana poco importante, bensì perché molti di loro credevano che studiare l’architettura tradizionale iraniana fosse un compito delicato, poiché poteva portare all’imitazione e all’uso insensato di archi, vetri colorati e mattoni tipici dell’architettura tradizionale. Dopo la mia laurea in Iran, poiché sono interessata alla ricerca, alla critica, alla tutela e al restauro degli edifici antichi, ho scelto di trasferirmi a Roma per continuare la mia formazione. Qui mi sono laureata in architettura con indirizzo in restauro e poi ho conseguito il dottorato di ricerca in storia dell’architettura.

AT: Mi sono prima laureata in letteratura e lingua italiana in Iran e, successivamente, mi sono laureata in architettura in Italia. La differenza principale riguarda il sistema in cui è organizzata l’università: in Iran una laurea breve dura 4 anni e a seguire sono previsti 2 anni di specializzazione, mentre il sistema universitario italiano è fondato sul 3+2. Personalmente trovo che sia molto utile investire più tempo nel percorso iniziale che costruisce poi le basi di un professionista.

 

Quali differenze architettoniche rilevate tra Italia e Iran?

EY: La vita media degli edifici in Iran (intendo quelli residenziali costruiti nell’ultimo secolo e privi di valore storico o artistico) è di circa 25 anni, perché vengono impiegati materiali di bassa qualità. Per questo dopo qualche anno ciò che è considerato vecchio può essere demolito e rimpiazzato da un nuovo edificio. Solo recentemente sono state emanate delle leggi specifiche per l’edilizia con il fine di migliorarne la qualità. Nel frattempo la demolizione e la ricostruzione degli edifici, unite alla mancanza di regole chiare sulle aree specifiche di costruzione, è diventata un’opportunità per la maggior parte di coloro che hanno studiato nel campo dell’architettura. In Italia invece vi è una grande sensibilità per la tutela dei beni culturali e paesaggistici; si preferisce inoltre riqualificare un edificio esistente invece di demolirlo per realizzare una struttura ex novo.

 

A vostro avviso qual è il ruolo dell’architetto oggi? È possibile fare un confronto tra il ruolo dell’architetto in Iran e in Italia?

EY: Quello dell’architetto nella contemporaneità non è un compito facile. Da un lato c’è la responsabilità e il rispetto per la storia dell’architettura, dall’altro coesistono sia la voglia di guardare al futuro, sia la necessità di progettare per una società con esigenze contemporanee, senza essere accusati d’imitare l’architettura dei grandi maestri.

AT: Credo che un architetto contemporaneo dovrebbe avere uno sguardo critico verso i temi e i paradigmi essenziali della società; inoltre, dovrebbe avere la capacità di analizzare e progettare in maniera consapevole. Nelle sue soluzioni progettuali dovrebbe poi tener conto delle nuove sfide della vita moderna; l’abitare, lo spazio nell’era moderna, il rapporto tra il centro e la periferia, la sicurezza urbana, la scarsità delle risorse. Una differenza che mi sembra notevole tra i due paesi riguarda il tema della “piazza” intesa come spazio pubblico e luogo di scambio culturale. Come architetti, credo che sia nostra responsabilità offrire ai cittadini l’opportunità d’incontrarsi negli spazi pubblici, tra gruppi diversi, di dare accesso paritario ai servizi e d’implementare nuove tipologie di progettazione partecipativa. Mi pare che questo aspetto comunitario nelle piazze italiane sia ben evidente, mentre negli spazi pubblici in Iran le tematiche dell’integrazione e della collettività sono poco trattate. Guardando al passato, durante la fase islamica, le città tradizionali iraniane si componevano di due spazi diversi utilizzati da uomini e da donne. I luoghi pubblici o esterni come le strade, le piazze e i bazar erano considerati spazi maschili. Lo spazio privato, gli spazi interni della casa, il quartiere e tutti gli altri luoghi che potrebbero essere chiusi erano considerati di pertinenza femminile. Dopo la modernizzazione in Iran, in particolare durante il regno di Pahlavi I, queste separazioni sono cessate, permettendo a tutti di fruire degli spazi pubblici. Anche se la modernità trasforma le città iraniane, ancora oggi negli spazi pubblici si percepisce la traccia del passato.

 

Quali sono le architette più influenti in Iran? Per alcune di loro la formazione è stata svolta anche all’estero e, nel loro caso, come ritiene abbiano unito la tradizione dell’Iran con un linguaggio differente appreso anche fuori dall’Iran?

EY: Le architette più influenti in Iran sono state le prime. La storia in genere non dimentica le “prime volte”, ma le pagine virtuali e reali della nostra storia architettonica contemporanea sono prive della memoria e del nome della “prima” generazione di donne architetto in Iran. Il ruolo delle donne nella storia dell’architettura iraniana è ancora da scoprire, anche perché l’architettura è stata un mestiere principalmente nelle mani degli uomini. Molti di loro hanno avuto la loro formazione primaria in Iran e poi sono andati all’estero per gli studi post laurea. Le architette iraniane di prima generazione, come Nektar Papazian-Andreef  e Giti Afrouz-Kardan, hanno seguito, nei loro progetti, lo stile moderno internazionale. Le architette come Noushin Ehsan, Leila Farhad Motamed e Shahrazad Siraj utilizzavano soluzioni come tetti a falde, cortili centrali, archi e portici per collegare i linguaggi internazionali con quelli autoctoni. Essendo dominante nell’architettura iraniana contemporanea lo stile internazionale, studiare architettura e seguire un corso di formazione al di fuori dell’Iran è molto utile. Fortunatamente, grazie alla facilità di comunicazione e di relazioni nel mondo contemporaneo, la nuova generazione di architette può condividere le idee e i progetti in modo più semplice.

 

Potete descrivere uno o due progetti di una o più architette per voi notevoli e spiegarci il motivo della loro importanza?

AT: Ci sono tanti esempi, ma in particolare vorrei segnalare i lavori di Shiva Aghababaei, che ha realizzato molti alberghi con uno stile moderno, come l’Ibis Novotel (IKIA) e l’Asaldokht Hotel, o più tradizionale, come il Safaiyeh Hotel e il Kandovan cave Hotel. Per quest’ultimo progetto si sono realizzate le camere esattamente nel modo in cui la popolazione locale ha scavato le proprie case tradizionali nelle rocce vulcaniche circostanti. Qui la vera sfida era unire le esigenze della modernità senza tradire la tradizione del luogo; questa è la ricerca che sta portando avanti questa progettista.

EY: Penso a due architette iraniane, con la differenza che una di loro si è formata fuori dall’Iran e l’altra no. La prima è Farshid Moussavi, inglese di origine iraniana, titolare dello studio omonimo (Farshid Moussavi Architecture), docente ad Harvard, fondatrice e partner di Foreign Office Architects (FOA). Insieme al cofondatore di FOA Alejandro Zaera-Polo ha realizzato una vasta gamma di progetti internazionali, tra cui il pluripremiato Yokohama International Ferry Terminal e il complesso John Lewis a Leicester, in Inghilterra. Nata e cresciuta in Iran, Moussavi si è trasferita a Londra in età giovanissima, dove ha studiato in prestigiose università. A mio avviso è una delle fonti d’ispirazione per le ragazze iraniane che vogliono intraprendere questa professione. Uno dei progetti che ha realizzato è l’edificio residenziale “Folie divine” a Montpellier, in Francia, che vuole riprendere la tradizione dei grandi palazzi settecenteschi circondati dai giardini, sebbene qui si tratti di una torre progettata con balconi curvilinei che si affacciano sul paesaggio e permettono di vivere lo spazio interno ed esterno in maniera integrata. La seconda donna che vorrei ricordare è Sara Kalantari, laureatasi alla Facoltà di Architettura di Tehran Azad, dove ha insegnato dal 2000 al 2020. Nel 2004 ha fondato TDC Office con suo marito, Reza Sayadian, e insieme hanno vinto un gran numero di concorsi anche internazionali, condividendo la gestione dei progetti. Una loro opera è l’edificio residenziale Saba a Teheran, con appartamenti progettati in modo tale che da un lato rispondono all’esigenza di mantenere l’intimità e creare un confine definito con il mondo esterno, mentre dall’altro realizzano il desiderio di vivere in un mondo senza confini. In questo progetto la casa non solo diventa parte integrante della città ma interagisce con essa. L’attenzione al sottile confine tra vita privata e vita sociale è uno dei punti in comune tra i due progetti residenziali. Gli edifici sono stati progettati da due architette diverse e in aree geografiche differenti, tuttavia in entrambi i casi hanno cercato di rispondere alla duplice esigenza della vita di oggi, che da un lato richiede un ambiente privato e pienamente protetto e, dall’altro, l’interazione con la comunità e lo spazio esterno alla casa.

Immagine di copertina: “Folie divine” a Montpellier di Farshid Moussavi (© Paul Phung)

 

Autore

  • Emma Tagliacollo

    Componente del Comitato Scientifico di IN/Arch, responsabile del percorso di formazione Storia e Critica per il CTF, componente della Commissione parità di genere sempre per l'Ordine degli Architetti di Roma e provincia. Già Segretaria di IN/Arch Lazio e di DO.CO.MO.MO Italia, è esperta di pratiche urbane e ricercatrice indipendente specializzata nel patrimonio culturale. Si occupa di temi del moderno ed è autrice di contributi, anche video, sulle trasformazioni urbane e sulla valorizzazione dei beni culturali. Ha lavorato come ricercatrice al CNR e all'Università Sapienza di Roma sui temi dei centri storici minori e della partecipazione come governance e strategia innovativa di valorizzazione. Ha collaborato in Cina con WHITRAP UNESCO per l’applicazione del Paesaggio Storico Urbano. Dall’esperienza sul campo ha ideato e curato il progetto “Passeggiate fuori porta” con CNR e IN/Arch Lazio. È dottore di ricerca e specializzata in “Restauro dei monumenti architettonici” all'Università Sapienza, dove ha insegnato Restauro e Progettazione architettonica e dove è stata titolare del corso di Teoria e storia del design.

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Last modified: 26 Aprile 2023