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Mara Patrizia CorradiWritten by: Interviste

Rafiq Azam: il Bangladesh deve evolvere socialmente e ambientalmente

Dialogo con il vincitore del World Architecture Festival 2022, categoria Landscape-Urban, sul ruolo dei progettisti

 

L’intervista all’architetto bangladese Rafiq Azam chiede una premessa. Non capita spesso, infatti, che le riviste italiane si occupino di questi territori, soprattutto per mancanza di occasioni di scambio tra i due paesi. Anni fa feci la conoscenza di Azam e del suo studio, Shatotto Architecture for green living, e fui invitata in Bangladesh. Negli uffici dell’ambasciata italiana campeggiava un manifesto che recitava l’eloquente messaggio: “Visit Bangladesh before tourists come”. Visitai Dacca e le campagne verso sud, fino a Nohakali, entrando così in contatto con una cultura che ereditava influenze musulmane, indù, buddiste e britanniche maturate in centinaia di anni. Sovrapposte e contaminate tra loro, emergevano inaspettatamente, sotto un manto di decadenza, povertà, disordine e malessere sociale. 

Dal punto di vista del territorio, il Bangladesh è solcato da oltre cinquanta fiumi che nascono dall’Himalaya, tra cui il Gange e il Bramahputra, e che sfociano nel Golfo del Bengala, trasformandone le pianure in un grande delta. Di questo fortissimo legame con gli elementi naturali, come l’acqua e la vegetazione lussureggiante, non restano che poche tracce a Dacca dove, negli ultimi decenni, strategie di espansione urbanistica inadeguate hanno perso il controllo sulla crescita demografica. Sempre più ampio appare il divario sociale tra una classe colta e benestante e una moltitudine d’indigenti, costretta a vivere ai lati delle strade. La necessità di continuare a costruire ha inesorabilmente eroso le aree pubbliche, riducendo la percentuale di verde al 5% del suolo urbano. Camminando per la città si è attratti dalle pochissime isole alberate e dagli esigui spazi collettivi come da una pagina bianca dopo pagine e pagine scritte fitte.

Quasi trent’anni fa Azam ha avviato il suo studio partendo dall’osservazione di ciò che Dacca stava subendo. Imponendosi sui costruttori, che spingevano per far “salire la città” sempre più in alto, Azam studiò la storica villa bangladese, a un piano con giardino e specchio dell’acqua, e ne propose un’interpretazione negli edifici multipiano in cemento richiesti dalla committenza. In un momento storico in cui nemmeno in Occidente l’edilizia incarnava una sensibilità ambientale, tanto meno in Bangladesh, dove il consumo di suolo non costituiva certo una preoccupazione, tale approccio attirò l’attenzione. I suoi progetti riportarono l’elemento naturale anche in verticale, il verde attraverso i giardini pensili e l’acqua nelle vasche con il tradizionale ghat, e divennero punti di partenza per sviluppare sistemi di ventilazione naturale dai benefici effetti sul microclima domestico.

Già all’epoca del mio viaggio però, il suo rammarico riguardava il fatto di poter intervenire solo sullo stile di vita di una fascia di popolazione agiata, in grado di commissionargli una villa nei quartieri emergenti, come Gulshan o Dhanmondi. E in anni più recenti Azam si rammaricava che per le giovani generazioni di architetti progettare un buon edificio significasse solo collezionare certificazioni ambientali da un lato, o disegnare una romantica cartolina dall’altro, più che adoperarsi per ampliare la sperimentazione dalla casa al quartiere, alla città intera.

Questa intervista racconta delle origini storiche della sua ricerca e di un cambio di punto di vista, che rintraccia nella pianificazione urbana l’ambito di maggiore urgenza per i progettisti bangladesi.

 

Da dove nasce l’architettura nazionale bangladese?

Il Movimento moderno in Bangladesh è stato avviato dal maestro Muzharul Islam e si è propagato come un’onda dopo la costruzione del Fine Arts Institute di Dacca, nel 1951. Egli ha gradualmente aperto la strada ad altri architetti internazionali tra cui Robert Bough, Richard Neutra, Constantinos Doxiadis, Robert Vrooman e Paul Rudolph. Il nome di Louis I. Kahn è ancora pronunciato con riverenza per il suo progetto del Parlamento del Bangladesh, considerato uno dei migliori complessi governativi del mondo e il miglior esempio di architettura contemporanea nella storia del nostro giovane paese.
Il progresso dell’architettura nazionale raggiunse il suo apice a fine anni sessanta, per interrompersi a causa del conflitto politico tra il Bangladesh (allora Pakistan orientale) e il Pakistan (allora Pakistan occidentale), che portò il nostro paese all’indipendenza nel 1971. Dopo l’assassinio del presidente e padre della nazione Shaikh Mujibur Rahman nel 1975, il Bangladesh entrò in un periodo di grave instabilità sociopolitica ed economica. In questa fase, l’architettura perse il suo orientamento filosofico per diventare mero strumento di profitto. Spazi sociali come centri comunitari, campi da gioco, parchi, fiumi e canali sono stati trascurati, distrutti o lasciati inutilizzati perché non più sicuri, a causa di una cattiva pianificazione, di gestioni improprie e persino dell’occupazione illegale. L’impatto di questo danno sul tessuto sociale del Paese e sulla vita quotidiana dei suoi cittadini è oggi dolorosamente evidente. Fino a fine anni novanta, mentre la mancanza di conoscenza del contesto e la scarsa forza economica del paese deprezzavano il settore, pochissimi tentarono di raccogliere l’eredità modernista. Tra questi Shamsul Wares, architetto e accademico, Bashirul Haq, che si formò negli Stati Uniti e trasformò il suo studio in un apprendistato per giovani. Uttam Kumar Saha e Nahas Khalil, che erano suoi studenti, ispirarono la generazione successiva. E poi lo studio Diagram, fondato nel 1984 da quattro giovani architetti, che si concentrò sulle periferie urbane e che deve il suo successo al gruppo di studio Chetona per un nuovo linguaggio bangladese, guidato da Muzharul Islam.

 

Dal suo punto di osservazione, qual è la causa della fuga massiccia delle persone dalle campagne del Paese verso le città come Dacca?

In effetti questa è una delle maggiori sfide che stiamo affrontando attualmente. Tutti i servizi e le necessità di base, come strutture mediche e di formazione, opportunità di lavoro, amministrazioni governative, ecc. si trovano principalmente nelle aree urbane. Questo sviluppo centralizzato è il più grande fattore di attrazione. Invertire l’approccio è cruciale. Il nostro governo, negli ultimi anni, ha parlato di sviluppo rurale, cioè maggiori opportunità di lavoro, offerta d’istruzione, supporto legale, supporto amministrativo, strutture di formazione per le campagne. Ciò potrebbe migliorare le cose, ma molto lavoro dev’essere fatto.

 

Che cosa chiede oggi il suo paese all’architettura e all’urbanistica?

Individualmente parlando, i progettisti stanno facendo il possibile per migliorare le condizioni di vita a Dacca, ma i loro contributi sono come gocce nel mare. La capitale manca di pianificazione, dove è richiesto un approccio olistico di forze combinate. Il Bangladesh si sta sviluppando economicamente, come dimostra l’impressionante crescita del PIL, pari a circa 416 miliardi di dollari [ndr: nel 2015 era meno della metà], ma abbiamo bisogno di evolvere in termini sociali e ambientali. Negli ultimi 50 anni abbiamo imparato a guadagnare soldi, oggi dobbiamo concentrarci sull’imparare a spenderli meglio. Credo poi che il ruolo della didattica nel nostro Paese sia cruciale. Non ci sono stati progressi significativi nei programmi universitari recenti, soprattutto in termini di pianificazione urbana. Inoltre, l’attuale mancanza di processi o culture partecipative nella nostra società ci sta influenzando molto negativamente.

 

Il Jol-Sobujer Dhaka Project è un progetto recente avviato dalla Dhaka South City Corporation (uno dei due municipi che amministra la capitale a partire dal 2011) per modernizzare 31 parchi e campi da gioco. Qual è stato il suo impatto?

È un tema che m’interessa particolarmente, non solo perché ha cambiato la mia carriera di architetto, ma perché ha mutato la cultura della pratica architettonica nelle città in diverse parti del Bangladesh. Nel 2016 durante le numerose discussioni con l’allora sindaco della Dhaka South City Corporation, Sayeed Khokon, abbiamo scoperto che le aree più antiche e importanti della città meridionale stavano morendo, precipitando nel caos e perdendo la loro abitabilità, integrità e memoria. Quindi la nostra domanda era: quale intervento minimo è necessario per stimolare uno sviluppo positivo nella parte vecchia di Dacca? L’idea è stata quella di rivitalizzare 31 spazi aperti, tra giardini e parchi cittadini, in modo che potessero cambiare i quartieri circostanti e le condizioni di vita in modo radicale. L’aspetto più impegnativo è stato capire come riconquistare i luoghi da proprietà illegali come bancarelle, camion, negozi senza licenza, persone senza fissa dimora, tossicodipendenti e così via. Con l’aiuto dell’amministrazione, il sostegno delle comunità locali e altri benefattori, quando abbiamo iniziato a rivitalizzare un parco dopo l’altro abbiamo creato fiducia nella gente e siamo riusciti a dimostrare che il benessere sociale è possibile attraverso l’architettura. Penso che non sia ancora giunto il momento di giudicare gli esiti. Tuttavia, è chiaro che questo movimento ha creato un effetto a catena tra le altre corporazioni cittadine, ispirandole ad avviare progetti simili per il bene pubblico. Come architetto, ne sono molto soddisfatto.

 

Che peso ha la categoria degli architetti nelle decisioni politiche in Bangladesh?

Una bella domanda che mi ricorda qualcosa di molto divertente. Uno dei miei primi passaporti, scritto a mano, menzionava la mia occupazione come architetto. Quando nel nostro paese fu introdotto il passaporto a lettura ottica, la mia categoria fece domanda per averlo, ma la voce occupazione non prevedeva architetto come opzione. Di conseguenza, abbiamo dovuto farci sentire pubblicamente, denunciando questa mancanza. Dopo un certo tempo l’architetto è stato incluso tra le professioni previste, ma l’importanza degli architetti nella nostra politica è ancora insignificante. Il numero e le loro attività sono aumentati. Forse anche la loro creatività. Tuttavia, in termini di processo decisionale, il nostro peso sicuramente non è cresciuto e questo ha a che fare con il sistema formativo del nostro Paese, che non è stato aggiornato per allinearsi al mutevole contesto sociopolitico interno e mondiale. L’architettura non è più una disciplina guidata dalla potente egocentrica creatività. Gli architetti sono piuttosto parti importanti dell’intero processo di sviluppo. Quindi, la competenza in ambiti diversi, nell’arte della negoziazione tra tutti i partner dello sviluppo, la politica, l’economia, l’ambiente e la società, sta diventando una risorsa determinante del progetto e della creatività per lo sviluppo sostenibile.

 

 

 

Chi è Rafiq Azam

Architetto bangladese di fama internazionale che pratica la green architecture da oltre tre decenni. La sua poetica è una fusione armoniosa di tradizione, natura e misticismo. La padronanza di Azam di luce, ombra, acqua e aria è influenzata dai poeti Shah Lalon e Rabindranath Tagore. Nato nel 1963 a Dacca, Azam si è laureato presso la Bangladesh University of Engineering and Technology (BUET) nel 1989 e ha fondato Shatotto Architecture for green living nel 1995. Nel 2004 ha partecipato alla Glenn Murcutt Master Class, e nel 2008 è stato selezionato tra i dieci progettisti mondiali emergenti da “Urban Land Magazine” (Stati Uniti). In qualità di visiting professor, ha insegnato presso istituzioni come la National University of Singapore, la NED Karachi, la Jadavpur University India, la Curtin University Australia e la Ahsanullah University of Science and Technology a Dacca, tra le altre. Attualmente è visiting professor presso la BRAC University di Dacca. Ha vinto una serie di premi nazionali e internazionali, tra cui il World Architecture Festival Landscape-Urban 2022, il 12th Idea-Tops Awards 2022 e il Commonwealth Association of Architects (CAA) Robert Mathew Lifetime Achievement Award 2022. È stato giurato in molteplici competizioni internazionali e ha attirato l’attenzione dei media di tutto il mondo.

 

Autore

  • Mara Patrizia Corradi

    Giornalista pubblicista, scrive di architettura e design. Si è occupata di archivistica curando il Fondo Disegni del Museo Kartell e per dieci anni l’Archivio di Michele De Lucchi. All’interno dello studio aMDL ha curato testi, pubblicazioni e eventi in Italia e all’estero. Ha scritto per riviste di settore edite da Faenza Editrice, Il Sole 24 Ore Business Media, Font Edizioni, Sprea e per il portale internazionale di architettura Floornature, ove dal 2010 cura la sezione progetti. Nel 2017 ha co-fondato la casa di produzione indipendente ImmagicaFilm che realizza documentari d’architettura. Negli ultimi anni si occupa anche di comunicazione per l’Ordine degli Architetti di Parma

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Last modified: 24 Aprile 2023