Una mostra incentrata sulla produzione architettonica di Raffaello Sanzio, nell’alveo delle celebrazioni per i 500 anni dalla morte
VICENZA. Il 6 aprile, giorno della morte di Raffaello (1483-1520), al Palladio Museum è stata inaugurata la mostra “Raffaello. Nato architetto”, promossa dal Centro Internazionale di Studi di Architettura “Andrea Palladio”, che risulta la degna conclusione delle celebrazioni raffaellesche del 2020. La mostra è ospitata al primo piano del palladiano Palazzo Barbaran da Porto ed è curata da Guido Beltramini, Howard Burns e Arnold Nesselrath; i tre storici, coadiuvati da un gruppo di specialisti internazionali, hanno inoltre dato vita a un catalogo – per quanto denso nei suoi contributi scientifici – agevole, ricco d’immagini e dotato di un’impaginazione dalla grafica piacevolmente accurata (Officina Libraria).
“Da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta”
Queste parole sono parte dell’epitaffio che si legge sulla tomba dell’artista al Pantheon e ben testimoniano il conto nel quale era tenuto all’inizio del Cinquecento. Il suo è un caso di particolare interesse anche dal punto di vista della storia della critica d’arte: è infatti dal XIX secolo che sull’Urbinate non tramonta l’interesse scientifico e la mostra di Vicenza s’inserisce in questo itinerario di conoscenza, offrendo gli ultimi frutti di una fioritura di studi, pur segnando continuità e distanze rispetto al percorso precedente (soprattutto rispetto alla mostra del 1984).
L’esposizione pone in rassegna gli esiti sul contributo e sull’eredità di Raffaello in campo architettonico, indagando principalmente le architetture realizzate o progettate (e fra esse, in specie, quelle dei palazzi privati e degli edifici funzionali) e quelle dipinte (con particolare attenzione ai cartoni per gli arazzi della Cappella sistina). Inoltre, per cogliere il contributo raffaellesco alla storia dell’architettura, è stato necessario formulare una serie di proposte ricostruttive dei suoi progetti, dal momento che la maggior parte di essi è andata distrutta, non conclusa o alterata nel tempo.
Una tesi di fondo
Sottesa alla mostra
vi è l’idea, espressa mediante la sottile provocazione del titolo, che Raffaello non nasca pittore per poi divenire, in seguito alla morte di Bramante nel 1514, architetto (quando cioè gli venne affidato il cantiere della basilica di San Pietro). Per i curatori, Raffaello è dotato di una “mente architettonica” sin dall’inizio della propria attività di artista; nei suoi disegni, dipinti e nelle sue opere figurative vive da subito un’innovativa idea di spazio, alimentata dallo studio e dall’imitazione dell’architettura della Roma antica, in grado di condurre l’osservatore all’interno degli edifici dipinti, con vedute che oggi diremmo “cinematografiche” e “immersive”.
25 anni in 5 ambienti
L’esposizione percorre in cinque ambienti (ricavati, mediante partizioni e tendaggi, da tre sontuose sale) i venticinque anni della produzione architettonica di Raffaello: il primo ambiente focalizza l’attenzione sulle architetture dipinte, il secondo sullo studio dell’antico e i tre successivi sulle realizzazioni architettoniche. Si possono ammirare disegni originali (fra cui autografi di Raffaello del Royal Institute of British Architects di Londra e degli Uffizi), taccuini, manoscritti dalla Biblioteca centrale di Firenze e libri rinascimentali.
L’allestimento è affidato all’architetto e regista teatrale Andrea Bernard, che riesce a dipanare il racconto con leggerezza, attraverso le non poche costrizioni dettate dall’edificio storico e dal percorso museale. Si giunge all’esposizione dopo aver attraversato alcune sale del museo e si è subito accolti dalle riproduzioni ad altissima fedeltà (Factum Arte) di due degli enormi cartoni per gli arazzi della Cappella sistina (oggi a Londra). I colori che prevalgono nell’allestimento sono il nero, il bianco e l’arancione, intervallati dalle cornici lignee dei disegni originali o delle tinte sgargianti delle riproduzioni pittoriche che campeggiano sui tendaggi. Le luci riescono a creare dinamicità nel percorso, cui contribuiscono anche le varie ricostruzioni virtuali. Infine, l’intera esposizione pare far eco all’immaginario dell’atelier d’architettura, con cavalletti, taccuini (che si possono prendere in mano per esser letti) e modelli tridimensionali.
La parola, l’immagine e il modello: una scommessa comunicativa
Nella mostra vicentina si espongono più i risultati degli studi che non gli oggetti antichi, con la manifesta la volontà di comunicare in modo chiaro, attraverso le parole, le immagini e soprattutto i modelli ricostruttivi, ricerche lunghe e complesse. Visitandola si comprendono le potenzialità e i limiti della restituzione di architetture non più esistenti, realizzate attraverso l’indagine filologica e la critica delle fonti grafiche storiche. I modelli (ove alle volte compaiono ipotesi sulle pigmentazioni parietali o doppie versioni di specifici edifici) vengono impiegati come ipotesi scientifiche giustificabili, seppur opinabili, in grado al contempo di far proseguire gli studi e concretizzarli in oggetti.
Immagine di copertina: doppia proposta ricostruttiva per le Stalle Chigi di Raffaello alla Farnesina (© Lorenzo Ceretta | CISA Andrea Palladio)
Raffaello nato architetto
7 aprile-9 luglio 2023
Palladio Museum, Vicenza
a cura di: Guido Beltramini, Howard Burns, Arnold Nesselrath
palladiomuseum.org/it/mostre/raffaello_nato_architetto/info
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allestimenti , anniversari , mostre , Rinascimento , veneto
Last modified: 19 Aprile 2023