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Alessandro CimentiWritten by: Forum Professione e Formazione

Appalti: un Codice senza qualità, figlio della fretta

Seguire il principio del risultato abbasserà l’asticella della cultura del progetto, direzione “copia-incolla”

 

Siamo alle fasi conclusive di un iter che porterà il nostro governo a licenziare il nuovo Codice degli appalti. Il percorso è iniziato a giugno 2022, quando è stato dato mandato al Consiglio di Stato di predisporre uno schema iniziale di Codice dei contratti pubblici. Schema trasmesso al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’esame preliminare per poi passare alla “bollinatura” da parte della Ragioneria generale dello Stato. Attualmente il testo è al vaglio del Parlamento.

Il nuovo Codice è da una parte “figlio del ponte Morandi” (e delle ricostruzioni post tragedie in generale) e, dall’altra, del PNRR (della necessità di spendere denari in un dato tempo). Non a caso il primo articolo (di 229) è intitolato “principio del risultato”, ed è attraverso questo criterio cardine che si organizza e si deve interpretare l’intero impalcato normativo contenuto nell’articolato e negli allegati.

Per ciò che concerne il settore della realizzazione delle opere pubbliche si vuole, in sostanza, ridurre i tempi di realizzazione delle stesse. Per farlo, il legislatore propone di agire principalmente sulla compressione dei tempi di progettazione.

Le modifiche principali inserite nel nuovo Codice che vanno in questa direzione sono:

  • l’eliminazione di una fase di progettazione passando dalle attuali tre (preliminare, definitivo, esecutivo) a due (progetto di fattibilità tecnica ed economica e progetto esecutivo).
  • l’apertura alla possibilità di utilizzare l’appalto integrato come procedura di aggiudicazione dei lavori
  • l’innalzamento delle soglie per l’affidamento diretto di lavori, servizi, appalti
  • la limitazione dell’utilizzo della procedura dei concorsi di progettazione

 

Semplificazione ed efficienza, ma a quale prezzo

Ad una prima sommaria valutazione, potrebbe sembrare che queste novità possano in qualche modo conseguire adeguatamente obiettivi sacrosanti e necessari, quali semplificazione ed efficienza.

Tuttavia, la tesi che si vuole qui sostenere è che l’adozione di queste misure non solo avrà un impatto negativo sulla qualità delle opere che si andranno a costruire ma, paradossalmente, genererà, su larga scala, un effetto deleterio anche sui tempi complessivi della realizzazione dell’opera e sui suoi costi. Comprimere le fasi progettuali e limitare il processo di competizione e selezione dei progetti (e dei progettisti) determinerà un fisiologico abbassamento dell’asticella della cultura del progetto. Come nella più naturale selezione darwiniana, chi avrà la meglio nel settore delle opere pubbliche sarà colui che riuscirà a (ri)produrre velocemente schemi tipologici ripetitivi e consolidati. Sarà chi potrà contare su numeri e fondi per far fronte a richieste e riconoscimenti economici inadeguati e insostenibili. Saranno coloro che riusciranno a mettere da parte ricerca e approfondimento per far posto a rapidi “copia e incolla”.

Il risultato è che, se valutiamo l’intera produzione nazionale su un periodo di tempo significativo (5 anni) si registrerà un decadimento inevitabile della qualità dei progetti di piccole, medie e grandi pubbliche amministrazioni. Palestre, scuole, piazze, centri civici, generati da un unico pensiero dominante: fare in fretta. Per gli iter (pochi) che andranno in porto senza ritardi o impicci ce ne saranno altrettanti, se non di più, che s’impantaneranno nei fanghi delle riserve, delle cause, degli aggravi di costi, per poi essere (forse) conclusi e mai utilizzati perché non pensati per quel luogo, per quella comunità.

È indubbio che sia necessaria una revisione delle modalità di affidamento e sviluppo della progettazione ed esecuzione delle opere pubbliche, e che la categoria delle professioni tecniche in generale debba essere disponibile a rivedere, riorganizzare ed innovare il proprio modus operandi. Ma è bene che questo genere di passaggi sia condotto attraverso un serio percorso di coinvolgimento delle categorie maggiormente coinvolte e competenti sul tema, sulla base di dati desunti dalle esperienze pregresse.

 

Pianificazione, programmazione e progettazione sono investimenti

A tal proposito risulta interessante analizzare i dati pubblicati sul sito dall’Agenzia della coesione territoriale riguardo i tempi di esecuzione delle opere pubbliche. Per esempio, si evince che, se è vero che complessivamente per la realizzazione di un’opera mediamente metà del tempo viene utilizzata per la fase di studio, istruttoria, progettazione e l’altra metà per il cantiere, è da sottolineare come i cosiddetti “tempi di attraversamento”, ovvero i tempi in cui le pratiche “giacciono inanimate” tra una “fase attiva” e l’altra, siano di assoluto rilievo sulla durata complessiva dell’opera (circa un quarto del tempo). Questo, come altri spunti legati all’incentivazione, anche economica, di strutture professionali più organizzate e integrate, potrebbero fornire gli elementi per determinare gli esiti sperati senza rinunciare alla qualità delle opere.

In definitiva, per chi intravede nelle modifiche proposte e sopraelencate una possibile strada verso il miglioramento del settore delle opere pubbliche è bene ricordare che pianificazione, programmazione e progettazione sono gli investimenti principali che consentono di spendere meglio il denaro della comunità innescando processi virtuosi e duraturi, e che l’oasi salvifica del “risultato costi quel che costi” (leggi superbonus) è una chimera che ammalia e poi sbrana.

Immagine di copertina: Maurizio Cattelan, “Il dito” in piazza degli Affari a Milano

 

LEGGI ANCHE IL COMMENTO DI PIER GIORGIO GIANNELLI: «CODICE DEGLI APPALTI VS CONCORSI, UNA CONVIVENZA DIFFICILE»

Autore

  • Alessandro Cimenti

    Ha studiato tra Torino e Oulu (Finlandia), viaggiando e visitando progetti e cantieri in Europa e nel mondo. Si è laureato presso la Facoltà di Architettura del Politecnico Torino nel 2001 con una tesi di progettazione sulla Nuova Opera House della città di Oslo, con relatore Prof. Emanuele Levi Montalcini. Ha fondato a Torino, insieme a 10 colleghi-amici, lo studio di architettura studioata, con cui ha partecipato ad oltre 100 concorsi ottenendo premi e segnalazioni, ha sviluppato progetti per l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa; diverse sono le sue realizzazioni in Italia, Spagna e Belgio. Il perfezionamento di quello che egli stesso definisce “progetto studioata” avviene anche attraverso la partecipazione ad associazioni culturali (Zeroundicipiù, di cui è consigliere e socio fondatore, TURN e Wonderland), il contributo attivo in ambiente universitario attraverso lezioni, conferenze e corsi (Politecnico di Torino, Pusa university ad Aleppo - Siria) e la partecipazione a workshop di architettura (Berlage Institute, Università di Siracusa, etc.). Già consigliere dell'Ordine degli architetti di Torino, è attualmente consigliere della Fondazione per l'Architettura, di cui è stato presidente dal 2017 al 2019

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Last modified: 28 Marzo 2023