Presentata a Venezia dalla curatrice Lesley Lokko l’edizione 2023 della Mostra Internazionale di Architettura
VENEZIA. Con un concreto inciso sul conflitto ucraino ancora in corso, il presidente della Biennale Roberto Cicutto apre la conferenza stampa della 18. Mostra Internazionale di Architettura titolata The Laboratory of the Future (20 maggio – 26 novembre 2023, preview 18 e 19 maggio) a cura di Lesley Lokko. “Un anno fa“, dichiara Cicutto, “in occasione della Biennale Arte, il nostro problema era come supportare il Padiglione Ucraino: pensavamo che per la sua inaugurazione la guerra sarebbe finita”. Per questa Biennale Architettura, alla quale la Russia non ha chiesto di partecipare, un padiglione dedicato all’Ucraina ancora non c’è ma l’istituzione veneziana si dichiara pronta a sostenerlo. Un approccio doveroso, così come doveroso -sottolinea ancora il presidente – è ricordare i Paesi vittime di violazione della libertà o schiacciati dalle sofferenze come Iran, Turchia e Siria. Del resto, ancora una volta l’architettura sembra essere chiamata a fornire risposte immediate a bisogni urgenti per la sopravvivenza della terra e la Biennale, come luogo d’osservazione globale, ha il compito di toccare i problemi del presente con un occhio rivolto al futuro.
Il Laboratorio del futuro immaginato da Lokko, architetta d’origine ghanese, parte dal suo continente d’origine, l’Africa, e da una riflessione “sulla sua diaspora, su quella cultura fluida e intrecciata di persone di origine africana che oggi abbraccia il mondo”. Impossibile quindi non pensare a questa edizione se non come ad un agente di cambiamento che parta da “un insieme di racconti in grado di riflettere l’affascinante, splendido caleidoscopio d’idee, contesti, aspirazioni e significati che ogni voce esprime in risposta ai problemi del proprio tempo. Nell’architettura in particolare, la voce dominante è stata storicamente una voce singolare ed esclusiva, la cui portata e il cui potere hanno ignorato vaste fasce di umanità“. Prosegue Lokko: “La storia dell’architettura è dunque incompleta. Non sbagliata, ma incompleta. Ecco perché le mostre sono importanti. Costituiscono un’occasione unica in cui arricchire, cambiare o rinarrare una storia”.
La struttura della 18. Biennale
, di cui oltre metà provenienti dall’Africa o dalla diaspora africana, con un equilibrio di genere paritario e un’età media di 43 anni.
Concentrati nel Padiglione centrale ai Giardini sono 16 studi in rappresentanza della produzione architettonica africana e diasporica denominata Force majeure: Adjaye Associates, Cave_bureau, MASS Design Group, SOFTLAB@PSU, Kéré Architecture, Ibrahim Mahama, Koffi & Diabaté Architectes, atelier masōmī, Olalekan Jeyifous, Studio Sean Canty, Sumayya Vally e Moad Musbahi, Thandi Loewenson, Theaster Gates Studio, Urban American City (Toni Griffin).
All’Arsenale nella sezione Dangerous liaisons (declinata anche in terraferma, a Mestre presso Forte Marghera) 37 partecipanti si confrontano con i due temi principali della mostra: decolonizzazione e decarbonizzazione. Tra questi: AD-WO (New York), Flores & Prats (Barcellona), Rahul Mehrotra (Mumbai), Kate Otten Architects (Johannesburg), Le laboratoire d’architecture (Ginevra). Tre le presenze italiane: BDR bureau (Torino), Collettivo orizzontale (Roma), AMAA Collaborative Architecture Office For Research And Development (Venezia).
I Progetti speciali
Suddivisi tra Padiglione centrale ai Giardini e Arsenale, i Progetti speciali della curatrice includono i lavori dei Guests from the Future, 22 giovani practitioner (così Lokko preferisce definire in generale i partecipanti) africani e diasporici. Accanto ad essi: Food, Agriculture & Climate Change, Gender & Geography, Mnemonic. Né poteva mancare anche in questa edizione il Progetto speciale Padiglione delle arti applicate (sempre in collaborazione con il Victoria & Albert Museum) dal titolo “Modernismo tropicale: architettura e potere in Africa occidentale”. Un’installazione cinematografica multicanale riflette criticamente sulla storia imperiale del Modernismo tropicale, inizialmente elaborato come strumento di dominio coloniale e in seguito adattato dagli architetti dell’Africa occidentale per promuovere l’entusiasmo e le rinnovate possibilità all’indomani dell’indipendenza del Ghana.
Le partecipazioni nazionali
Sono 63 in totale tra Giardini, Arsenale e centro storico. Il Niger si distingue come nuova partecipazione, mentre Panama è presente per la prima volta con un padiglione proprio. Ritorna, dopo la prima comparsa nel 2018, il Padiglione della Santa Sede dal titolo “Amicizia sociale: incontrarsi nel giardino” (curatore, Roberto Cremascoli), che vedrà come espositori Álvaro Siza e Studio Albori presso l’abbazia di San Giorgio Maggiore, sull’isola di San Giorgio.
Biennale College
L’ormai consolidato progetto rivolto alla formazione dei giovani in tutti i settori artistici dell’istituzione veneziana quest’anno per la prima volta interesserà anche il settore Architettura. 986 le candidature pervenute alla chiusura del bando internazionale rivolto a studenti, laureati, accademici e professionisti emergenti under 35. Tra queste Lokko selezionerà 50 partecipanti (i risultati entro fine marzo 2023), che saranno poi affiancati da un gruppo internazionale di architetti, accademici e professionisti per lavorare a una serie di interventi progettuali su scale diverse e tracciare nuove possibilità per l’educazione all’architettura nei prossimi decenni. L’esperienza formativa si terrà a Venezia nelle sedi della mostra dal 25 giugno al 22 luglio 2023.
In copertina: quartiere di Jamestown ad Accra (Ghana) – © Festus Jackson Davis
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Biennale Venezia 2023 , Lesley Lokko , mostre , venezia
Last modified: 22 Febbraio 2023