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Written by: Patrimonio Progetti

Cavallerizza + Egizio = Torino torna protagonista

Cavallerizza + Egizio = Torino torna protagonista

Bilancio dei due concorsi internazionali per il cuore barocco della città, aggiudicati ai gruppi guidati rispettivamente da Cino Zucchi e OMA

 

TORINO. Si sono conclusi due importanti concorsi che si confrontano con problemi di conservazione, adattamento e cambiamento nel cuore della città, e a confronto con importanti edifici storici. Le scale d’intervento sono molto diverse: il concorso per il quartiere della Cavallerizza riguarda un comparto urbano di grande complessità, mentre la copertura del cortile interno del Museo Egizio è un’azione di portata più ridotta, e ormai di routine per simili istituzioni. L’esito quasi in contemporanea dei due concorsi è però un fatto positivo, una boccata d’ossigeno per una città dove da anni i concorsi non erano dedicati a temi così rilevanti, né erano gestiti con uguale chiarezza d’intenti e trasparenza.

 

Una Cavallerizza molto istituzionale

Il concorso della Cavallerizza ha visto imporsi il raggruppamento guidato da Cino Zucchi Architetti. L’architetto evidentemente piace alle élite torinesi, che l’hanno visto portare a termine, con successo, l’ampliamento del Museo dell’automobile e il nuovo quartier generale Lavazza. Zucchi sembra avere fatto di questa affidabilità una strategia: concretezza e controllo a tutto tondo del prodotto, fino ai rendering finali, contraddistinguono il suo progetto di concorso. Non era facile imporsi, anche perché il bando imponeva vincoli rigorosi, e tutti i concorrenti hanno colto alcuni aspetti fondamentali del sito. La gestione degli spazi aperti e concatenati che costituiscono la straordinaria ricchezza dell’area era difficile da sbagliare, e infatti non l’ha sbagliata nessuno dei finalisti. Così anche l’identificazione del fabbricato delle “pagliere”, già danneggiato da due incendi, come un luogo di sostanziale libertà. Dove Zucchi emerge è nell’accurata, puntuale messa in gerarchia delle diverse funzioni richieste dalla Compagnia di San Paolo e dall’Università: funzioni da ospitare negli edifici sette-ottocenteschi senza snaturarne l’aspetto, e rispettando il continuum degli spazi pubblici che li circondano. Zucchi promette di rendere l’area un luogo di lavoro denso, efficiente, contemporaneo. Gli uffici sono allestiti con particolare cura, quasi materializzando gli organigrammi negli spazi.

Stentiamo, tuttavia, a definire la sua Cavallerizza coraggiosa e innovativa, e questo è forse il sentimento di parte della giuria, che ha premiato con una menzione d’onore il progetto guidato da Lacaton & Vassal (premi Pritzker 2021), segnalandone gli “elementi di transizione ecologica, sociale, educativa e di attenzione all’ambiente naturale”, e la qualità del teatro pensato per l’architettura, grandiosa e incompiuta, del maneggio alfieriano. Osservazioni curiose, dato che la sostenibilità (sociale oltre che energetica) e la soluzione brillante proposta per il maneggio che dà il nome all’intero quartiere non paiono questioni accessorie. Ma forse, a Lacaton e Vassal non hanno giovato proprio la centralità attribuita allo spazio pubblico e alle funzioni “performative”, e il loro criterio del minimo intervento. In effetti, la carta vincente del progetto di Zucchi sembra stare nel piglio dirigenziale con cui viene rappresentata la componente istituzionale, spinta fino a ipotizzare il rispecchiamento – “una sorta di analogon”, si legge nella relazione di progetto – tra istituzioni e forma urbana.

Si tratterebbe dell’inatteso achèvement postmoderno di un obiettivo antico. Il complesso della Cavallerizza, infatti, nasceva nel Seicento per ospitare una grande accademia reale, la cui forma regolare rispecchiava, per l’appunto, il gerarchico rapporto con la corte ducale sabauda. Definito questo principio gerarchico di partenza, i tasselli del puzzle di Zucchi vanno a posto con scioltezza, anche se a prezzo di qualche forzatura rispetto alle caratteristiche storiche degli edifici. La chiusura di buona parte dei portici, la compartimentazione dell’ex scuderia del Mosca, l’installazione di “abbaini” (ma è in effetti una sopraelevazione) per le sale riunioni, e un belvedere a forma di punto esclamativo sono alcuni effetti collaterali della ridefinizione valoriale, incentrata sugli spazi interni.

Ci pare, in poche parole, che la giuria non se la sia sentita di premiare un’estetica bottom-up, più empatica con il palinsesto storico e con la tormentata storia recente del sito, e abbia premiato il progetto che si è meglio allineato alla carica istituzionale, auspicata, con piena legittimità va detto, dai principali players torinesi, Università e Compagnia di San Paolo. Si apre ora, per la Cavallerizza, la delicata fase di definizione esecutiva.

 

Per il Museo Egizio un antiretorico cortile coperto

La stessa intenzionalità concreta e senza fronzoli contraddistingue il progetto vincitore del concorso per l’inedito atrio del Museo egizio, ottenuto grazie alla copertura della corte interna, esplicitamente richiesta dal bando. L’intervento punta a risolvere uno spazio sfortunato, anche perché sotto-utilizzato e affacciato sul poco affascinante “retro” degli isolati dell’attuale via Roma. Il progetto laureato, guidato da OMA – Office for Metropolitan Architecture (David Gianotten e Andrea Karavanas), è sofisticato per come si muove tra le stratificazioni dello storico edificio, fondato nel Seicento come collegio dei Gesuiti, e antiretorico per la sua scelta di una struttura di copertura leggera e razionale, priva di enfasi.

Solo un valore della fabbrica seicentesca è tradito, e cioè il rapporto tra l’edificio storico e il suolo. Nel riportare a nudo impietosamente le murature delle fondamenta, esibite sotto le robuste facciate lavorate in laterizi sagomati, si crea un effetto poco nobile, simile a quello di un anchorman in giacca e cravatta che sotto il tavolo indossa i pantaloncini. Ma forse, come il terrazzino appuntito del progetto Zucchi, si tratta di una strategia concorsuale, un modo di rendere identificabile il progetto tramite “segni” distintivi che potrà modificarsi in fase esecutiva, assumendo forme, ed espressioni materiche, più pertinenti.

 

Quando le mostre?

Si attende ora una mostra che dia la possibilità a tutti di mettere a confronto i finalisti dei due concorsi e le loro strategie di rappresentazione e comunicazione. Per la Cavallerizza, sarà il momento di apprezzare gli splendidi disegni di Vinck & co., lo strampalato UFO-belvedere (e la bellissima sala studio per studenti) del gruppo Lessan, e le folies, un po’ tettoie un po’ telai costruttivisti, di Caruso St. John. Anche per l’Egizio non mancheranno ammiratori per le soluzioni strutturali e distributive – tutte interessanti, a riprova della qualità del bando e del buon lavoro della commissione giudicatrice – degli altri concorrenti battuti sul filo di lana.

Immagine di copertina: il progetto vincitore della Cavallerizza Reale, capogruppo Cino Zucchi Architetti

 

Cavallerizza Reale di Torino
Progetto vincitore: Zucchi Cino (capogruppo) con Capra Valentina, Federzoni Francesca (progettisti) e con Milone Tatiana Matia Paola, Pignoloni Fabrizio, Ballarini Luca, Artioli Alberto (consulenti)
Guarda su Concorrimi il bando, il progetto vincitore e gli altri 5 finalisti

Museo Egizio 2024
Progetto vincitore: Gianotten David (OMA) con Van Loon Helena Amelia Hubertina, De Graaf Reinier Hendrik, Salimei Guendalina, Tabocchini Andrea, Manfroni Odine, Andreani Saverio (progettisti) e con De Camillis Carolina, Longhi Andrea, Romagnoli Laura (consulenti)
Guarda su Concorrimi il bando, il progetto vincitore e gli altri 4 finalisti

 

Autore

  • Edoardo Piccoli

    Storico dell’architettura al Politecnico di Torino, già caporedattore del «Giornale dell’Architettura»; studia l’architettura e la città europea dell’età moderna e contemporanea, con un particolare interesse per l’architettura del Settecento

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Last modified: 23 Febbraio 2023