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Matteo PirolaWritten by: Reviews

Doris Salcedo, passi liminali e soglie nominali

Alla Fondazione Beyeler di Basilea un allestimento site specific dell’artista colombiana dedicato ai migranti scomparsi nel tentativo di raggiungere l’Europa

 

BASILEA (SVIZZERA). L’architettura è il luogo in cui dai tempi antichi i confini più prossimi all’essere umano s’intersecano – gli esterni con gli interni, gli interni negli interni – e in cui i passaggi sono gli elementi di una punteggiatura spaziale che ritma la comprensione e la narrazione di un luogo. L’architettura è un continuo oltrepassare di soglie fisiche, visive, ideali “che suscitano nell’essere umano degli stati d’animo”.

I confini intesi invece in senso più allargato sono tema molto attuale, dove le società che non lavorano d’accordo per aprirli e liberarli in un senso di unione, procedono per chiuderli e controllarli perseguendo la separazione, con le relative tristi vicende che lasciano attoniti.

Doris Salcedo, autrice impegnata e attiva nella sensibilizzazione di temi sociali, civili, politici, spesso usa l’architettura, l’installazione, lo spazio come espressioni della sua arte.

In questa nuova opera site specific titolata “Palimpstest”, derivata da una prima presentazione nel 2017, Salcedo sintetizza ancora al meglio e al massimo l’unione di arte – architettura – significato – contemporaneo, proponendo un luogo da vivere e contemplare, sentendosi parte di un messaggio che chiede il nostro movimento, esteriore e interiore.

Alla Fondation Beyeler di Basilea, per celebrare i 25 anni delle attività del museo progettato da Renzo Piano (e di cui è appena iniziato l’ampliamento a firma di Peter Zumthor), è possibile visitare questo allestimento, come una specie di “santa sanctorum” del museo, uno spazio riservato da scoprire alla fine dei percorsi espositivi, nella galleria più ampia che si affaccia sul lato posteriore dell’edificio.

Una stanza unica di 15 x 30 metri, a cui si accede su un lato corto da due varchi, con rampe che portano in quota e che hanno sul lato opposto una grande vetrata resa opalina per l’occasione e da cui filtra la luce diffusa e chiara del Nord.

L’ingresso da una quota inferiore non fa subito percepire la pavimentazione che è il luogo in cui si sviluppa l’opera. Salendo – potremmo dire “emergendo”, e poi si capirà il perché – si notano subito segni trasversali a terra che alternano un reticolo regolare di lastre rettangolari e una partitura lineare di un testo, fatto di parole in-scritte sul calpestio. Ai piedi del visitatore, in linee tracciate come sulla sabbia (in realtà incise in una dura superfice idrorepellente fatta di microframmenti inerti e resina) si leggono parole che sono nomi propri di persone, che segnalano la memoria di centinaia di donne e uomini defunti e scomparsi durante il viaggio verso l’Europa, alla ricerca di miglior vita.

La “poetica del lutto” messa in campo dall’artista è però anche vitale, e i nomi permanenti che si leggono nella sabbia cristallizzata si confondono ritmicamente con altri nomi che affiorano e si compongono, scritti magicamente da gocce che si coagulano formando nuove lettere e altri nomi che appaiono e scompaiono in pochi secondi, risucchiati dalla terra che li “piange”.

L’avvenimento è effimero, compare e svanisce diversamente in vari punti dello spazio, creando dei varchi temporanei in un labirinto di parole. Molto lentamente, tanto impercettibilmente che all’osservatore fugace sembrano statici, appaiono e scompaiono rigagnoli d’acqua, come un flusso di lacrime che si uniscono insieme per scrivere i nomi in un ciclo costante di scrittura e cancellazione.

Questo lavoro di Salcedo parla di architettura nel senso più universale del termine e costituisce un’opera solida e fragile contemporaneamente, monumentale nella doppia accezione dimensionale e di memoria. Un contromemoriale, un monumento vulnerabile, un famedio al migrante ignoto.

I confini di questo spazio, progettato non tanto con margini solidi ma soprattutto con limiti liminali, s’intersecano con i passi del pubblico che non è solo invitato ad osservare le parole e leggere i nomi, ma anche a oltrepassarle facendo quel gesto volontario di andare verso l’altro, spazio o essere che sia.

Concludiamo citando e parafrasando Adolf Loos e un suo celebre saggio del 1910 dal titolo Architettura: “L’architettura suscita negli esseri umani degli stati d’animo. Il compito dell’architetto [e dell’artista] è dunque di precisare lo stato d’animo. Se in un bosco troviamo un tumulo, lungo sei piedi largo tre, disposto con una pala a forma di piramide [o in un museo troviamo delle lastre orizzontali che come lapidi ci parlano di defunti senza sepoltura] ci facciamo seri e qualcosa dice dentro di noi: qui è sepolto qualcuno. Questa è architettura.”

Immagine di copertina: © Matteo Pirola

 

Doris Salcedo, Palimpsest 2013-2017

9 ottobre 2022 – 17 settembre 2023
Fondation Beyeler, Basilea
fondationbeyeler.ch/en/exhibitions/doris-salcedo-palimpsest

Autore

  • Matteo Pirola

    Architetto e PhD. Docente di Architettura degli Interni, Storia del Design e Arti contemporanee in varie Università e Scuole. Autore per l’editoria, curatore indipendente e consulente per l’impresa, svolge attività di ricerca, progetto e critica sulla contemporaneità di arte, design, architettura. Curioso e cultore del pensiero, della materia e di tutto ciò che è progettabile. Redattore della rivista “Inventario” e coordinatore scientifico per le attività di ricerca d’archivio per l’apertura del nuovo ADI Design Museum – Compasso d’oro a Milano. Recentemente ha pubblicato: "On Space / In Time: a Timeline”, in "Home Stories" (Vitra Design Museum, 2020); “I talenti italiani. Mente, Mano, Macchina” (Marsilio – Fondazione Cologni per le Arti e i Mestieri, 2020)

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Last modified: 15 Febbraio 2023