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Written by: Patrimonio

L’Appia, regina viarum, sulla strada dell’Unesco

L’Appia, regina viarum, sulla strada dell’Unesco

La prima autostrada della storia, da Roma a Capua e Brindisi, è candidata come sito seriale a Patrimonio dell’umanità

 

Molto è stato fatto per il recupero della Via Appia, quella grande infrastruttura costruita per frammenti tra il 312 e il 244 a.C. Voluta da Appio Claudio Cieco per collegare nel più breve tempo Roma a Capua (all’epoca fulcro operativo delle guerre sannitiche) e poi a Brindisi, la strada era segnata da porzioni di architetture, a indicarne l’inizio e la fine: si pensi al Septizodium, grande quinta teatrale che si trovava a ridosso dell’attuale Circo Massimo e alle due colonne romane, simbolo di Brindisi, che si dice segnassero lo sbocco della via sul mare Adriatico. La prima strada a collegare il Tirreno all’Adriatico insomma, la regina viarum, definizione che è eloquente sintesi semantica del suo valore per il paesaggio italiano e, più in generale, per la storia del mondo antico.

 

La candidatura Unesco per un sito speciale

Lo scorso anno, in occasione del TurismA 2022 di Firenze, le autorità competenti hanno messo a conoscenza il grande pubblico che la Via Appia, nella sua interezza, compreso quindi il tratto secondario della Via Appia Traiana (variante da Benevento a Brindisi), sarebbe stata candidata all’Unesco. Un prestigioso riconoscimento dunque, per i 22 tratti riconosciuti e percorribili di quella che è stata la prima “autostrada” dell’antichità. Il Ministero della Cultura ha mosso risorse ingenti per questa candidatura e un grande progetto di comunicazione. Basti pensare alla risonanza del documentario in onda il 17 e il 30 gennaio su RaiStoria, e al dettagliatissimo database cartografico-webgis, funzionale a individuare con precisione i perimetri del bene candidato e le relative buffer zone.

L’obiettivo è quello di proporne l’iscrizione come “sito seriale”, tipologia prevista dall’Unesco nelle Linee guida operative della Convenzione per la protezione del Patrimonio culturale e naturale del 1972, per identificare appunto siti che si compongono di un insieme di beni omogenei localizzati entro uno o più stati.

 

Tutto il meglio dell’ingegneria romana

Infatti, quando fu realizzata, la strada era larga 4,1 m (che corrispondevano a 14 piedi romani), era percorribile in entrambi i sensi e caratterizzata da un tracciato il più possibile rettilineo. Così, lungo il proprio percorso, la strada trasformava la natura dei luoghi come nessuna infrastruttura aveva fatto prima. Potremmo pertanto – a ragione – considerare la Via Appia anche come idea di costruzione di un paesaggio nuovo, che si trasforma grazie a manufatti come la sostruzione di Ariccia, ovvero una solida rampa che permetteva di sopraelevare la strada, a fronte di una depressione nell’orografia originaria. Viene alla mente il grandioso acquedotto di Valente, a Istanbul, che da solo copre i dislivelli dei 7 colli della città, e che corre dritto per 920 metri. Allo stesso modo il terrapieno di Ariccia, che oggi si mostra per una lunghezza di 230 m e un’altezza massima di 13, valicando dislivelli e configurandosi come un autentico monumento viario che ridisegna il paesaggio con il suo rettifilo.

L’Appia esprime tutto il meglio dell’ingegneria romana. È recente notizia, grazie a una ricerca del Massachusetts Institute of Technology, che il cemento romano è capace di durare per millenni, con una composizione fatta di varie forme di carbonato di calcio miscelate a caldo, in piccola parte capaci di autoripararsi nel tempo.

Parlando di patrimonio e conservazione, possiamo dire che la presa di coscienza dell’immenso valore dell’Appia, e di tutto il relativo sistema complesso costituito da insediamenti abitativi, sepolcri, infrastrutture, luoghi di culto e scambio ad essa collegati, è un fenomeno che ha accompagnato la vita stessa della strada.

L’Appia fu anche un vero e proprio cuneo di apertura verso il Levante, verso la cultura greco-bizantino-anatolica, e rappresenta ancora oggi il fulcro dell’articolata viabilità romana del bacino del Mediterraneo. Crocevia di popoli e culture, la via maestra trovò continuità verso Oriente, dal 146 a.C., con la via Egnazia, che collegava Durazzo a Costantinopoli.

 

Una via, un brand

Per “via di levare” operava Michelangelo nel cercare la forma delle sue sculture all’interno del blocco di marmo, e forse noi oggi dovremmo avere lo stesso atteggiamento di fronte alla preziosissima composizione del nostro paesaggio. Andando cioè a rinvenire le stratificazioni ed eliminando le superfetazioni inappropriate, le cesure, gli abusi edilizi che ne impediscono la piena valorizzazione. Come è avvenuto, ad esempio, nel 1999 a Roma con la realizzazione di una lunghissima galleria che permetteva di ripristinare la continuità del basolato originario interrotto negli anni cinquanta dalla creazione del Grande Raccordo Anulare, o la scorsa estate con i lavori di risistemazione paesaggistica del tratto tra via dell’aeroscalo e Frattocchie di Marino.

La Via Appia può essere, ancora, un brand: la sfida di valorizzarne il complesso sistema, espressione dell’identità dei luoghi che ha attraversato e plasmato nei secoli, sta tutta in questa candidatura Unesco, “Via Appia, regina viarum”.

Immagine di copertina: Septizodium (@ Winckelmann-Museum Stendal CC BY-NC-SA)

 

Autore

  • Serena Acciai

    Architetta e ricercatrice con esperienza sul patrimonio multiculturale del Mediterraneo. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Composizione architettonica e urbana presso l'Università di Firenze, con la prima tesi in Italia su Sedad Hakkı Eldem. Da allora ha proseguito questa linea di lavoro presso l'Institut National Histoire de l'Art di Parigi e come assegnista presso l'Università di Firenze. Nel 2018 ha pubblicato il volume "Sedad Hakkı Eldem, an Aristocratic Architect and More" (Firenze University Press). È stata titolare d'incarichi d'insegnamento presso il Politecnico di Milano, l’Università Federico II di Napoli e l’Università di Firenze. Attualmente è ricercatrice associata all’IPRAUS/AUSser dell’ENSA Paris-Belleville e vincitrice del XVI premio Bruno Zevi con il saggio storico-critico "The Ottoman «Sofa» House: A Modern Idea of Living" (Letteraventidue)

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Last modified: 1 Febbraio 2023