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Franco MancusoWritten by: Forum

Venezia a pagamento?

L’idea di un ticket d’ingresso agirebbe solo sulla coda del fenomeno affollamento. Ma ha riacceso il dibattito sul futuro della città

 

Un ticket per entrare a Venezia, da pagarsi quotidianamente: se non vi si risiede stabilmente, non vi si studia, o lavora; non si è residenti nel Veneto, o nati a Venezia; se non si è bambini (con meno di sei anni!)… E non si hanno altri requisiti ancora. È il “contributo d’accesso”, così denominato dalla bozza di delibera che il Comune si appresta a discutere, che è stata recentemente resa pubblica: un contributo da pagarsi sia che vi si entri da una delle due porte “storiche”, la stazione di Santa Lucia e piazzale Roma raggiungibili da binari e strade con treni, tram, auto, moto, bici, autobus (ma anche a piedi), o ci si accosti alla città insulare da uno dei tantissimi percorsi d’acqua attraverso la Laguna con natanti di ogni genere, vaporetti, motoscafi, lancioni, barche e barchette, grandi navi.

Si tratta dunque di una tassa giornaliera per entrare a Venezia, la cui riscossione è affidata al “vettore”, colui cioè che vi ci porta (il conducente del mezzo, l’autista dell’autobus, il tassista, il controllore delle ferrovie, il gondoliere), e che poi verserà al Comune con scadenza quindicinale e procedure definite.

Tutto ciò vale non solo per la città, ma si applica anche alle isole lagunari: le tre maggiori, Murano, Burano, Mazzorbo, e le tantissime minori per lo più disabitate (la delibera ne enumera più di quaranta in un apposito elenco). Non trascurate sono ovviamente quelle sul litorale, il Lido, Alberoni, Malamocco e Pellestrina.

 

Folle di turisti tra gli autoctoni, specie antropologica in via di estinzione

E se si è esenti dall’obbligo di pagamento del contributo?

Il sottoscritto, ad esempio, che a Venezia è nato e vi risiede da sempre? Ebbene, dovrà poter “Dimostrare questa condizione, permanente o temporanea, mediante apposita autocertificazione, certificazione o dichiarazione propria o da parte di terzi soggetti […] secondo le modalità che saranno stabilite con deliberazione della Giunta comunale”.

Dunque, sembra deciso (sempre che la delibera venga approvata dal Consiglio) che i flussi dei turisti che invadono quotidianamente la città d’acqua – tantissimi oramai, non di rado più di 100.000 – vanno considerati come i visitatori di un parco, o di un museo, e che dunque devono pagare per entrarvi. Un parco, o un museo, nel quale vive stabilmente, ma forse accidentalmente, qualche veneziano (meno di 50.000 oramai, tre volte di meno di quanti eravamo cinquant’anni fa), considerato non di rado dai visitatori come una fattispecie antropologica sempre più rara, e per questo componente integrale del luogo: chiedendogli come ci si vive (e perché, visto che tanti lo hanno abbandonato), come ci si muove, si trascorre la giornata, si va al lavoro, si fanno le spese…

 

4 anni fa, il flop dei tornelli

Realtà antropologica in via di estinzione, dunque; ma ancora non priva di attitudini al dibattito e alla discussione. Ne fa fede la reazione che si è manifestata recentemente in città, quando nei giornali locali è stata diffusa la notizia della delibera sul contributo d’accesso: con assemblee cittadine partecipatissime, interventi sui quotidiani non solo locali e sui canali dei media. Come avvenne quattro anni addietro, quando il Comune, già allora animato da intenzioni non lontane da quelle odierne, aveva istituito e concretamente installato i “tornelli” per il controllo degli ingressi in città, subito dopo l’uscita dalla stazione di Santa Lucia: con agenti della Polizia locale a dirigere i flussi delle persone che avrebbero dovuto obbligatoriamente attraversarli per entrare in città – tutti, allora – e che poi furono immediatamente dismessi per la protesta efficace e convinta dei cittadini.

 

Di chi è la città?

Certo, i flussi dell’invadenza turistica sembrano oggi incontenibili, a fronte di un modello di città e di vita che questa forma di turismo travolge con sempre maggior veemenza; un’invadenza che ha trovato negli anni passati un’adesione (un sostegno?) da parte di un governo locale che pur a fronte di sollecitazioni e proteste – delle associazioni, dei cittadini, dei quartieri – non ha mai agito sulle leve che avrebbero forse potuto contenerla; un’azione che avrebbe potuto utilizzare mezzi e strumenti che di certo non mancavano (e che esistono ancora, e vengono applicati in molte città europee, da Parigi a Lisbona, da Berlino ad Amsterdam), intervenendo sulla gestione del mercato delle abitazioni; con forme di controllo e d’indirizzo che avrebbero impedito, o comunque limitato, l’alienazione delle case da parte dei proprietari a favore di una più lucrosa valorizzazione nel crescente mercato turistico (seconde case, alberghi, locazioni brevi…). O la chiusura, e poi la svendita, degli spazi del commercio e dell’artigianato cittadino, fini a pochi anni addietro compenetrati negli usi quotidiani dei cittadini, ricercati oggi con sempre maggior pressione per forme e modalità di utilizzazione (espositive, promozionali, commerciali…) che nulla hanno più a che vedere con le quotidiane residuali esigenze di chi vi abita.

Tutto questo ha a che vedere con la delibera comunale in questione: un provvedimento concepito per agire sulla coda del fenomeno che vorrebbe disciplinare e che, come tale, non sembra poter avere alcun effetto sul contenimento dei flussi turistici (chi non pagherebbe qualche spicciolo in più, per poter entrare a Venezia?).

 

Ma Venezia non è (ancora) un museo!

Tuttavia, la proposta della delibera qualche effetto positivo lo ha, perché sembra aver riacceso il dibattito sul futuro di questa nostra città e sull’impatto negativo del turismo. A discapito della crisi abitativa che la interseca, Venezia infatti è ancora tutt’altro che un museo: ci si vive, vi si studia, lavora; ci si rallegra quotidianamente della sua straordinaria qualità urbana, dell’abitarvi senza diaframmi fra la propria casa e lo spazio pubblico su cui si apre, dove ci s’incontra in libertà, si cammina e si sosta, senza impedimenti, e si convive fra anziani e giovani.

I flussi, dunque. Per contenerli, occorrerà gestirla meglio questa nostra amata città: presto, prima che ne venga sommersa.

 

Immagine di copertina: tavola tratta dal libro di Le Corbusier La ville radieuse (1935)

Autore

  • Franco Mancuso

    Architetto, è nato a Venezia, dove vive e lavora. Già docente di progettazione urbanistica presso l’Università IUAV, ha insegnato al Master in Conservazione, Gestione e Valorizzazione del Patrimonio Industriale e al Master Erasmus Mundus TPTI (Technique Patrimoine, Territoires de l’Industrie). È stato visiting professor nel 2011 e nel 2014 alla Kwansei Gakuin University (Kobe). Ha tenuto conferenze in diverse università e istituzioni, in Europa e altri paesi. Si occupa in particolare di ricerca e progettazione sui temi del recupero e della riqualificazione dello spazio pubblico. Tra le sue opere maggiori: a Venezia, il nuovo padiglione della Corea ai Giardini della Biennale (in collaborazione con l’architetto Seok Chul Kim), il recupero dell’ex Convento di San Lorenzo a Castello e dell’ex Istituto San Giovanni alla Giudecca, entrambi destinati a residenza per anziani; a Palmanova la riqualificazione di Piazza grande. Il suo testo di più recente pubblicazione è "La tâche de l'architecte" (Editions Conférence, 2021)

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Last modified: 29 Settembre 2022