Tre appuntamenti a Palazzo Ducale avviano il nuovo programma culturale della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Genova, qui illustrato dal suo presidente
Quando si prova a immaginare il lancio di un nuovo programma di attività culturali da sviluppare per un biennio ci si deve confrontare con il proprio passato e con quel breve futuro che ci attende.
La realtà con cui ci siamo relazionati negli ultimi anni ci ha permesso d’intuire che molte cose non sarebbero state più come prima e che molte attività, da quel momento, avrebbero potuto essere sviluppate in modo differente. Oggi la situazione parrebbe ancora più complicata e, alla grande energia connessa alla reazione dei due anni passati nella clausura, più o meno stretta, del virus, si contrappone la forte preoccupazione della guerra e degli enormi problemi a essa connessi.
Anche la nostra professione vive pienamente queste tensioni che, per certi versi, sono simili ad alcune già vissute nel recente dopoguerra. Da una parte lo Stato, aiutato dalla Comunità Europea, decide d’investire ingenti quantità di denaro nel mondo dell’edilizia e, contemporaneamente, si scopre come quasi tutti gli attori coinvolti, pur auspicando da anni questo momento, siano assolutamente impreparati ad affrontarlo.
Tutto ciò mette in evidenza una strana dicotomia: da una parte potrebbe sembrare, perlomeno dal punto di vista della speculazione intellettuale, che ci troviamo davanti a un periodo potenzialmente rivoluzionario; dall’altra, sul piano del fare, sembrerebbe più opportuno lavorare nella logica della messa punto e miglioramento di modelli e procedure consolidati, per muoversi su un terreno noto cercando di non perdere l’occasione e, specialmente, di contenere i danni.
Una parola sembra, nella sua molteplicità di sfaccettature, contenere queste diverse tensioni e potrebbe essere d’indirizzo alle prossime nostre attività: manomissione.
La parola ha tanti significati e, in architettura, può essere interessante constatare come siano quasi tutti pertinenti. L’analisi di questi significati sarà una traccia su cui articolare e, allo stesso tempo, tenere insieme le attività che proporremo nei prossimi due anni.
Si può partire da quello figurato di disordinare o, meglio ancora, travisare. Quest’ultima azione, che sta alla base del nostro processo creativo, si manifesta nello sforzo di mettere insieme ragionamenti e saperi diversi innescando connessioni trasversali che si originano dalla messa in discussione di uno o più elementi nella logica del ragionamento. Abbiamo visto che i nuovi strumenti permettono, anche agli architetti, di lavorare in gruppo senza essere sempre fisicamente presenti, spesso abitando in città o addirittura nazioni diverse. Questo consente un ampliamento enorme delle possibilità connesse all’ibridazione culturale derivanti dal riuscire a progettare tenendo insieme formazioni e ambiti sociali assai differenti, dando spazio a chi sta svolgendo ricerche in settori contigui per ampliare la discussione sugli elementi che stimolano la partenza del progetto.
Esiste anche il significato etimologico dal latino manumittĕre, ovvero «affrancare (uno schiavo), mandar(lo) libero (mittĕre) dalla potestà (manus) del padrone». Questa idea di liberazione fisica o mentale che contiene il termine mano come veicolo di sintesi del potere o dell’azione ci potrebbe far riflettere sulla possibilità che abbiamo, oggi più che mai, di portare temi nuovi che consentano di porre in essere questa liberazione in termini di leggerezza e rapidità d’azione, piuttosto che di allargamento della competenza e capacità di ragionamento, senza perdere di vista proprio il ruolo dell’azione manuale che per noi si concretizza sia nel disegno che nella costruzione.
Esiste, infine, il significato di porre mano, avviare un processo che possa collegare, in modo significativo, la conoscenza empirica a quella razionale forse arrivando anche all’uso più moderno della parola: aprire in modo indebito una cosa non propria, o comunque alterarla per soddisfare un’illecita curiosità. Portando un piccolo esempio, vengono in mente le modalità con cui si progettavano le navi dalla seconda metà del Seicento: partendo dalla manipolazione del mezzo modello dove la forma dell’imbarcazione prende vita, contemporaneamente nell’immaginazione e nelle mani del progettista/costruttore, mediante la manipolazione di un piccolo oggetto in legno, che rende visibile lo scafo in poco tempo, in poco spazio e, specialmente, a colpo d’occhio. In quei rapidi movimenti si manifesta l’esercizio della messa a punto, che proviene dalle conoscenze rilevate sul modello reale e che, in quella sicura azione della mano, si evolve e si trasforma ma, soprattutto, prende corpo.
La manomissione può rappresentare il momento del fare trasversale, del pensiero ibrido e del disegno consapevole per una solida normalità, per valorizzare quell’azione concreta che stimoli l’architetto ad assumere un ruolo politico, sociale e tecnico nel miglioramento della vita dell’uomo e degli altri esseri viventi attraverso la specifica competenza di saper comprendere la città e il paesaggio.
Tre sono i prossimi appuntamenti, organizzati a Palazzo Ducale di Genova, in cui proveremo a sviluppare alcuni di questi temi: l’11 ottobre analizzando la lezione di Luigi Carlo Daneri (qui il programma), nella consapevolezza che il modello da deformare è già pronto nelle nostre mani; il 18 ottobre con la presentazione del libro Unidentified Flying Objects per l’architettura contemporanea: le sperimentazioni di UFO tra militanza politica e avanguardia artistica, nella constatazione che abbiamo già superato la fase della distruzione dei modelli; il 24 novembre con il convegno “Da Genova ad Anversa”, dialogo di architetture italiane nelle Fiandre organizzato in occasione della mostra “Rubens 2022”, nella certezza che la ricerca non finisca mai.
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Last modified: 27 Settembre 2022