Visita al rinnovato Museo archeologico siciliano, su progetto di Bianchetti Architettura
KAMARINA (RAGUSA). Sito di eccezionale importanza per la storia del Mediterraneo occidentale, dopo quattro anni di lavori, Kamarina, colonia di Siracusa, costruita alla foce del fiume Ippari, vede la riapertura del suo Museo archeologico.
Il progetto rientra nella più ampia riqualificazione del Parco archeologico regionale di Kamarina e Cava d’Ispica, in cui si conservano tombe arcaiche (VII secolo a.C.) e resti di un tempio di Atena. Si tratta di un appalto integrato, con progettazione definitiva ed esecutiva redatta dal raggruppamento guidato da Bianchetti Architettura, su progetto preliminare a base di gara di Invitalia; finanziato con 1.854.115,25 euro del Pon Cultura 14/20. Stazione appaltante è la Soprintendenza di Ragusa e direzione dei lavori affidata a Domenico Buzzone, direttore del Parco, che si è particolarmente impegnato per la riapertura del museo.
Un intervento poco “minimo”
L’intervento ha migliorato le condizioni di visita dell’intera area archeologica, puntando sulla ricomposizione spaziale di alcuni episodi architettonici, data dalla necessità di sostituire le vetuste coperture archeologiche dell’area delle stoà. Quelle nuove sono costituite da capriate metalliche a doppia falda, “Formate da due travi inclinate unite da tiranti in cavi d’acciaio inox, la copertura è realizzata con una doppia lastra di vetro stratificato del tipo Suncool che pur in presenza di lastre extra chiare assicurano un elevato controllo della radiazione solare”, spiegano i progettisti.
Nelle intenzioni progettuali, oltre a garantire la “massima protezione” (dal calore, ma, trattandosi di materiali trasparenti, non risolve del tutto il fattore rischio luce solare) delle emergenze archeologiche, ai nuovi tegumenti si è inteso attribuire anche “Un significato evocativo e formale, che individui con chiarezza le aree di sedime delle stoà, attraverso la riproposizione delle teste di entrambi gli edifici, i rapporti dimensionali e formali antichi, suggeriti tramite la trasposizione degli elementi della grammatica architettonica antica”.
Il risultato, però, a fatica si riconosce nella logica del minimo intervento e, soprattutto, conserva ben poco di evocativo: una “sagoma architettonica leggera”, “allestimenti estremamente eterei” che finiscono per far pensare, invece, ai resti di un hangar dismesso – specie se visto da lontano -, incidendo proprio su quel contesto paesaggistico che si voleva turbare “nella misura minore possibile”.
Percorsi e allestimenti, tra sobrietà e affastellamento
Risultati più apprezzabili
raggiunge invece la riqualificazione dei percorsi di visita, che ha ampliato il collegamento già esistente tra il Museo archeologico e la zona dell’agorà tramite leggere rampe che, mentre consentono una visita senza barriere al contempo, riescono a meglio definire la geometria dell’ampio ambito, diversamente di non immediata comprensione.
Dagli spazi esterni all’interno museale, oltre al rifacimento degli impianti, la sistemazione e il risanamento dell’edificio, le sale sono state completamente riviste in funzione di un nuovo allestimento che integra i reperti storici esposti (dalla fine del VII sec. d.C. al II d.C.) e le informazioni grafiche in un “percorso narrativo”, la cui lettura è facilitata dall’integrazione delle testimonianze archeologiche con la loro ricostruzione virtuale. L’ordinamento scientifico del prezioso patrimonio di archeologia terrestre e sottomarina, di tipo cronologico, ripropone quello precedente: dopo la prima Sala delle anfore, la Sala est è articolata nelle sezioni “Kamarina Preistorica”, “Arcaica”, “Culti di Kamarina”, insieme a elementi architettonici provenienti dal tempio; infine, la Sala ovest dedicata a “Kamarina Classica”, all’Agorà e all’archeologia subacquea.
Fra i reperti si segnala una ricchissima collezione di anfore (VIII-VII sec. a.C.), proveniente dalla vicina necropoli. Nella sala che le accoglie l’effetto accumulo da deposito, che spesso genera insanabili conflitti visivi in soluzioni simili, è qui accentuato dalla quota del soffitto, con la catena delle capriate che addirittura s’inframezza alle anfore. In basso, invece, la balaustra, con evidenti funzioni di sicurezza dato che l’esposizione seriale su piani sovrapposti prosegue sotto il livello del piano di calpestio, finisce per far pensare a un allevamento intensivo di polli.
Non resta che chiedersi quale sia il senso di simili “tesaurizzazioni”, se non quello di un malinteso concetto di affastellamento espositivo. Mentre nelle altre sale, al contrario, proprio la sobrietà di un allestimento più rarefatto, combinato con le convincenti cromie dei supporti espositivi, si mostra davvero al servizio dei reperti.
Immagine di copertina: Nuova copertura delle stoà
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Last modified: 14 Settembre 2022