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Paolo VerdeschiWritten by: Patrimonio

Istanbul, luce per il “palazzo sommerso”

Istanbul, luce per il “palazzo sommerso”

Riaperta la celebre Cisterna Basilica con un percorso che, grazie alla luce artificiale, valorizza il “restauro del riuso”

 

“Architectura sine luce nulla architectura est”
(Alberto Campo Baeza)

 

ISTANBUL (TURCHIA). L’uso della luce sottolinea ed esalta le qualità estetiche dello spazio architettonico. Fare luce non significa solo svelare ma, anche, aggiungere alla realtà una nuova valenza qualitativa. L’illuminazione artificiale è una moderna chiave di racconto e propone al visitatore, in modo percettivo e sensoriale, una nuova vita architettonica dell’opera originale. Il restauro conservativo della Cisterna Basilica è particolarmente interessante perché ha affrontato il “restauro del riuso”, intendendo gli interventi eseguiti negli anni in virtù della sua cambiata funzione, da buia cisterna a monumento visitabile.

Yerebatan Sarayi, in lingua turca, fu costruita nel 532 dall’imperatore Giustiniano come cisterna per raccogliere l’acqua dall’acquedotto di Valente. Dimenticata per quasi mille anni, solo nel 1555 fu riscoperta dal viaggiatore olandese Petrus Gyllius. Da allora il “palazzo sommerso” è divenuto un monumento. Interessante è l’evoluzione dei sistemi di visita nel corso dei secoli, dalle barchette con lampada a petrolio fino alle passerelle in cemento armato e alle luci generatrici di lampenflora. L’opera, restaurata più volte a partire dal 1723, aperta al pubblico nel 1987, è tra i monumenti più visitati di Istanbul. Nel 2018 è stato avviato un ulteriore restauro, terminato nel 2022, che ha compreso il consolidamento dei tiranti delle volte, delle murature e l’illuminazione. I lavori sono stati progettati e diretti dagli studi Atelye 70 (Istanbul), Insula Architettura Ingegneria (Roma) e Studioillumina (Roma).

 

Una narrazione evocativa del divenire

Il progetto, dove percorso di visita e illuminazione sono simbiotici, è una narrazione evocativa del divenire: la trasformazione e la transizione tra epoche e culture. Nella prima parte del percorso il riferimento ai miniaturisti orientali è evidente: nei disegni le immagini sovrapposte sono piatte, prevale il tratto del contorno delle superfici e l’effetto è bidimensionale. Entrando nella cisterna la prima percezione, simile a quella dei primi visitatori, è di trovarsi davanti una foresta di pietra appena visibile della quale non si comprende la profondità per l’effetto del controluce e della decrescente luminosità.

Ogni singola colonna è illuminata dal basso, con un solo proiettore posizionato dalla parte opposta rispetto al senso di percorrenza. Come nelle miniature, emerge la sovrapposizione dei profili delle colonne ma non la loro volumetria. Il percorso, realizzato con griglie metalliche, parte dal lato corto della cisterna (70 x 140 m), dove sono situate le scale d’ingresso e uscita nella piazza di Santa Sofia. Scendendo in questo ambiente ipogeo di quasi 10.000 mq, il visitatore ha la sensazione di camminare sull’acqua, comprendendo così la funzione originaria del luogo; inoltre, da questa quota idrica, egli può apprezzare l’altezza delle volte. I livelli di luminosità, procedendo nella visita, sono graduali affinché ciascuno possa fare una personale esperienza archeologica e percettiva del luogo.

 

Da Oriente a Occidente

Il viaggio di ritorno inizia di fronte a due teste di meduse rovesciate usate come basi di colonne: non solo segno simbolico che indica l’inversione del percorso, ma anche segnale del capovolgimento della percezione con il passaggio dal mondo orientale, piano e bidimensionale, a quello occidentale dei volumi e della prospettiva. La luce che illumina il lato “posteriore” delle colonne ne mostra la matericità, nonché la complessità strutturale e architettonica dello spazio. Ma i riferimenti al mondo orientale non sono finiti: durante il percorso, ad intervalli inattesi e per pochi istanti, la luce cambia colore gradatamente passando dall’acqua marina all’ambra, cromie della zultanite, la gemma turca dell’Anatolia che varia il suo colore se investita dalla luce naturale piuttosto che dall’incerta luce della fiaccola.

Terminato il viaggio, si riemerge sulla piazza di Santa Sofia stagliata nella luce naturale. Al visitatore verrà in mente il verso “L’amor che move il sole e l’altre stelle”?

 

La carta d’identità del progetto
Progetto illuminotecnico: Studioillumina (Adriano Caputo, Federica Cammarota, Francesca Campagna, Paolo Di Pasquale, Katia Ferrulli, Filippo Marai)
Progetto architettonico: Atelye 70 (Doğu Kaptan, Marco Lombardini, Seray Doğan, Fatma Gençdoğuş, Murat Er, Gizem Bakioğlu. Musa Beyzade), Studio di Architettura e Ingegneria Insula (Eugenio Cipollone, Paolo Diglio, Roberto Lorenzotti, Paolo Orsini)
Direzione lavori: Atelye 70
Impresa forniture speciali e impianti elettrici: Tepta Lighting

Autore

  • Paolo Verdeschi

    Nato a Roma (1952), si laurea in architettura nel 1979 e segue un corso ICCROM nel 1980. Si occupa di restauro. Tra i suoi principali interventi, il restauro di villa La Saracena di Luigi Moretti a Santa Marinella (Roma). È relatore a convegni e tiene conferenze nei corsi di Storia, disegno e restauro dell'architettura, e di Gestione del processo edilizio presso la Sapienza, Università di Roma

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Last modified: 7 Settembre 2022