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Alberto VitucciWritten by: Città e Territorio

Mose, 40 anni di storia infinita

Mose, 40 anni di storia infinita

Il punto a due anni dalla prova generale di messa in funzione della grande opera che dovrebbe proteggere Venezia dall’acqua alta. Consorzio in liquidazione, cantieri bloccati, problema manutenzione

 

VENEZIA. Doveva essere finito nel 1995 e costare un miliardo e mezzo di euro. 27 anni dopo, i lavori non sono ancora conclusi. Nonostante i 6,5 miliardi stanziati dallo Stato, commissari straordinari, consulenti e grandi annunci. La lunga storia del Mose, il progetto di dighe mobili che dovrebbe mettere al sicuro Venezia dalle acque alte, non è ancora finita.

 

Un sistema di corruzione

Una vicenda complicata quella della grande opera infrastrutturale nata nei primi anni Ottanta, in piena Prima Repubblica. Storia interrotta nel 2014 dallo scandalo delle tangenti. Dopo aver scoperto fondi neri derivanti dai lavori dello scavo di fanghi in laguna, la Guardia di Finanza aveva avviato un’indagine per evasione fiscale. Pian piano si era scoperto un vero sistema di corruzione. Soldi pubblici destinati alla salvaguardia della laguna accantonati per pagare politici, tecnici compiacenti, funzionari distratti al momento di controllare e collaudare. Il tornado aveva spazzato via protagonisti della Seconda Repubblica come il presidente del Veneto, il forzista Giancarlo Galan. E dirigenti apicali del sistema delle infrastrutture, come gli ex presidenti del Magistrato alle acque Patrizio Cuccioletta e Maria Giovanna Piva. E naturalmente i vertici del Consorzio Venezia nuova (la società del Ministero delle Infrastrutture costituita nel 1984 come concessionaria unica per realizzare la grande opera), il presidente-direttore Giovanni Mazzacurati, il presidente dell’impresa Mantovani Piergiorgio Baita.

 

Non basta neppure il commissario straordinario

Il Consorzio era stato così affidato dall’Anac (Autorità nazionale anticorruzione) guidata da Raffaele Cantone a due amministratori straordinari. Poi nel novembre 2019, dopo l’Acqua granda che aveva toccato livelli record (189 centimetri, la seconda più alta di sempre) provocando gravi danni a Venezia, la nomina del commissario straordinario, l’architetta Elisabetta Spitz (già direttrice del Demanio), dotata di pieni poteri da parte dell’allora ministra Paola De Micheli. Ma da allora poco è cambiato. I cantieri sono rimasti fermi, bloccati anche dalle difficoltà economiche del Consorzio Venezia nuova e dai suoi debiti. Nel gennaio 2022, la decisione di firmare l’Atto transattivo al fine di riprendere i lavori, azzerando le penali.

 

Lo stallo e le nuove scadenze (che non saranno rispettate)

L’opera oggi è in stato avanzato, con le paratoie mobili installate sul fondo della laguna nelle tre bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia. Il sistema ha continuato a funzionare in via sperimentale anche nell’inverno 2020, risparmiando alla città qualche acqua alta, ma non è ancora a posto: mancano gli impianti definitivi, le conche di navigazione. L’ennesima deadline è stata annunciata per dicembre 2023, quarant’anni dopo la presentazione del progetto. Ma per le opere ancora aperte si andrà sicuramente oltre.

Fioccano le polemiche sul blocco dei cantieri, che dura ormai da un anno e mezzo. E sulla “sanatoria”: un accordo transattivo voluto dal Ministero delle Infrastrutture e firmato con le imprese consorziate che ha permesso di salvare il Consorzio Venezia nuova, condonando i debiti e le penali alle grandi imprese Mantovani, Fincosit e Condotte, che nel frattempo dal Consorzio se ne sono andate.

 

Corrosione: il nodo manutenzione e le perizie

L’opera per ora è dunque ferma, ma la macchina del Consorzio monopolista continua a essere pagata.

Restano aperti il nodo della manutenzione (quasi cento milioni l’anno), non ancora avviata, e il problema della corrosione denunciato nel lontano 2016 dagli esperti del Provveditorato Susanna Ramundo e Gian Mario Paolucci. Problema oggi ridimensionato dalla commissaria straordinaria Spitz e dalla nuova dirigente del Ministero delle Infrastrutture guidato da Giovannini Ilaria Bramezza, già direttrice del Comune ai tempi di Costa e poi dirigente della Regione.

Una nuova consulenza affidata all’esperto francese dell’Istituto della corrosione di Brest, Nicholas Larcher, spiega che la corrosione è fenomeno limitato agli steli tensionatori, che lo stato di avanzamento è molto lento e che evitando il contatto con l’acqua di mare e ricoprendo i meccanismi di grasso speciale, questo “non dovrebbe” più ripresentarsi. Fotografia contestata da Ramundo e dall’ex provveditore Cinzia Zincone. L’anello debole del sistema Mose sono le cerniere che consentono di ancorare le paratoie mobili in acciaio lunghe 20 metri e alte fino a 30 alle basi in calcestruzzo sul fondo della laguna. Ce ne sono 156 sul fondale, 2 per ogni paratoia. Molte di esse risultano attaccate dalla corrosione.

Come si fa a dire che va tutto bene quando non sono state ispezionate tutte, ma soltanto una decina prese a campione?” attacca Ramundo. “Si sperava che dopo la tragedia del ponte Morandi queste procedure venissero fatte in modo diverso. Non basta un sopralluogo di due ore per stabilire lo stato di salute di una grande opera. Occorre lo stato di consistenza, cioè un esame approfondito di tutte le componenti fatto da istituti certificati. Lo chiediamo da anni inascoltati. Solo così si può stabilire la vita residua dell’opera”. Dopo aver segnalato più volte la questione al Ministero senza ricevere risposta, Ramundo si è rivolta adesso alla Corte europea, alla Guardia di Finanza e all’Anac. Nell’esposto, firmato insieme all’ex provveditore – allontanato nel luglio scorso dalla nuova governance – si ipotizza il danno erariale, oltre a numerosi errori e criticità mai riparate.

 

Come difendere piazza San Marco e la Basilica: interventi (a rilento) oltre il Mose

Fermi da tempo anche i cantieri per proteggere piazza San Marco, che stanno ripartendo lentamente in questi giorni. Negli ultimi anni i danni maggiori li ha subiti proprio la Basilica, insieme alla piazza. Perché il Mose non era pronto. Ma anche quando lo fosse, non basterebbe a proteggere le parti più basse della città. Dovrà infatti essere azionato quando la marea supera i 110 centimetri sul medio mare (40 centimetri di acqua effettivi in piazza San Marco), per non bloccare il ricambio dell’acqua in laguna e le attività del porto.

Dunque per le zone “indifese” doveva essere pronto da decenni il progetto di difesa locale: rialzo delle rive e sifoni che impediscano all’acqua di entrare dal bacino San Marco e invadere la città. Invece nulla. Anche il progetto definito “urgentissimo” di difesa della Basilica (realizzato con lastre di vetro, dal costo di 4 milioni) è a rilento. La prima versione era stata bloccata dalla commissaria Spitz, che ne voleva affidare gli “abbellimenti” allo studio di Stefano Boeri. Proposte però bocciate dalla Soprintendenza, trattandosi di opera provvisoria e sotto l’occhio del mondo intero. Così si è tornati al progetto originario, ma si è perso un altro anno e mezzo.

Non è questione di soldi. Perchè i fondi sono disponibili da tempo, quasi un miliardo. Oltre a completare il Mose serviranno per la sua gestione e manutenzione, e all’avvio delle altre opere di compensazione indicate come prioritarie dall’Unione europea (il cosiddetto Piano Europa), anche queste all’anno zero.

 

In attesa di una nuova Autorità della laguna

Intanto si attende il varo della nuova Autorità della laguna. Approvata dal governo Conte nell’agosto 2020, modificata dal governo Draghi per dare più peso agli enti locali. Dovrà sostituire il Consorzio Venezia Nuova (nel frattempo affidato al commissario liquidatore Massimo Miani) e anche il Provveditorato alle opere pubbliche, che tornerà a chiamarsi Magistrato alle acque. Magistratura prestigiosa inventata dalla Serenissima, cancellata dal governo Renzi nel 2014 con un tratto di penna dopo che i suoi dirigenti si erano scoperti in parte collusi con il sistema corruttivo del Mose inventato da Mazzacurati. A farne parte, si spera, dovranno essere chiamati tecnici esperti e al di sopra delle parti, che conoscano i delicati meccanismi dell’ecosistema lagunare.

Immagine di copertina: sollevamento di un gruppo di paratoie del Mose (© mosevenezia)

 

Autore

  • Alberto Vitucci

    Giornalista. Da sempre si occupa di Mose e questioni ambientali della laguna. Scrive per le testate del Gruppo Gedi (“Nuova Venezia”, “La Stampa”, “L'Espresso”). Ha collaborato con reti televisive azionali ed estere per trasmissioni su Venezia. Vincitore del premio Saint Vincent nel 1999 per le sue inchieste sul Mose. Premio Bassani 2012 per i servizi sulla salvaguardia della città lagunare

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Last modified: 13 Luglio 2022