Ricordo intimo della fotoreporter che documentò Palermo, dando vita al Centro internazionale di fotografia alla Zisa
È figlia di una cultura di sinistra. Pugno chiuso e mano aperta, politica ed etica, con insieme l’amore per la vita e il rispetto verso tutti e tutto. Un singolare filo li lega. Robusto e tenace tesse il gomitolo del suo farsi, e duro delicato rugoso gioioso indignato nero di dolore il suo vedere nel profondo dentro e fuori. Possiede la volontà di essere libera, Letizia Battaglia, ma le occorrerà tempo per saperlo. Un percorso che man mano trasformerà un’accettazione che la nega nell’iniziale scoperta, nel 1964, del suo esserlo già la fotografia, prima di “istinto”, diverrà tutt’uno con la sua anima, lavorando a Milano nel 1971, e poi, nel 1974, in un giornale con pochi soldi, libero e coraggioso, “L’Ora”, a cui farà a lungo capo la sua vita.
La città è Palermo, che presto sentirà come se stessa, condividendone la gioia e, quando si riempirà di sangue, l’orrore la rabbia l’indignazione il dolore, e li racconta. La ama, Palermo, con tutte le sue inquietudini e slabbrature. In lei si ri-conosce, come le accade con il bianco e nero delle immagini che scatta, che svelano cose invisibili, come lei drammatiche. Scavano l’intimo e la sua arte ha già imboccata la strada che le darà il senso di sé.
Ma poserà anche lo sguardo sull’umano povero, quello dei diritti calpestati. Ed ecco le fotografie belle, e struggenti, di creature dagli occhi tristi, di migranti rifiutati contrapposti a spaccati di squallida opulenza. Con rude delicatezza dove posa lo sguardo l’impegno sociale e civile prorompono. Lo dicono le immagini che scatta alle bambine alle donne alle madri, ai loro volti e ai loro corpi. Hanno una singolare dimensione poetica. Posseggono la sonorità di silenzi colmi di cose, come quelli che dona la musica dei grandi. E la trovo, questa dimensione, anche nel suo parlare e nel suo scrivere. Autodidatta, dice di se stessa. Dobbiamo crederle, ma quanta cultura io leggo in lei. Non conosce barriere.
Curiosa, si chiede il perché delle cose e liberamente entra nelle diverse espressività dei saperi e con avidità e intelligenza prende e fa suoi. E con i libri, la musica e l’arte diventano per lei sorelle. Travasa questo magma così “bello” in uno spazio interno ai Cantieri della Zisa: il Centro internazionale di fotografia [nella foto sopra, con alcuni giovani ospiti], divenuto Fondazione che dirige dal 16 novembre 2019. Un’amica dei tardi anni cinquanta le ha donato il progetto e lei è felice perché dice che “è un sogno civile che si avvera, una vittoria di tutta la città”. Così, dà avvio a un’attività che ne faccia una casa per pensare, confrontarsi e crescere con artisti che vengono da tutto il mondo. Josef Koudelka [nella foto sotto; Roberto Strano] non può mancare, ma ci sarà anche la mostra del caso Mattei, riverberata in un libro pluripremiato. Da tempo è ormai entrata nel mondo, dagli Stati Uniti all’Europa con premi e mostre di grande rilievo.
“Sono pregiudicata, provocatoria, ma vera”, dice. Aggiungo: inconfondibile, fresca, potente e plebea, e colorata e viva come brace. Inetichettabile. Coerente sempre e anche lei con la “scontentezza creativa” come un altro grande e umile che nell’altrove è andato, appena prima: Riccardo Dalisi.
Per questo le parole di Battaglia conducevano ai fatti.
Raramente accade, e mi piace pensarti, battagliera e indomabile bambina, che voli lungo le pareti del cielo per poi stare negli spazi. Tra le stelle, dove brillerà l’amore che dovunque hai dato tu, Letizia cara; tu che hai sempre amato amare ed essere amata. Lo ha voluto e lo ha fatto, con la sua macchina e anche senza. Come Raimond Carver, che sapendo di morire scrisse: “e che avresti voluto tu, nonostante tutto? sentirmi chiamato amato, sentirmi amato sulla terra. Fu la sua ultima poesia”.
Immagine di copertina: © Roberto Strano
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Last modified: 4 Maggio 2022