Nel centenario della nascita, il ricordo di un intellettuale protagonista nell’arte, nell’architettura e nel disegno industriale
Risulta difficile misurarsi con una figura complessa e sfaccettata come quella di Tomás Maldonado (Buenos Aires, 1922-Milano, 2018).
Ogni definizione appare restrittiva: è stato artista negli anni giovanili, diventando uno dei protagonisti dell’avanguardia argentina negli anni quaranta e cinquanta; ha plasmato e reso noto e influente nel mondo il modello didattico della Scuola di Ulm negli anni cinquanta e sessanta; ha elaborato una definizione di disegno industriale (1961) che è stata accolta dall’Icsid (International Council of Societies of industrial design) come quella ufficiale per alcuni decenni; ha contribuito a introdurre le discipline progettuali nell’università italiana, prima al Dams di Bologna (anni settanta), poi compiutamente al Politecnico di Milano con il primo corso di dottorato in Disegno industriale (1990) e il primo corso di laurea in Disegno industriale (1993-94); ha portato in imprese italiane come Olivetti e la Rinascente metodi nuovi nel campo sia della progettazione di prodotti e interfacce sia della comunicazione e dell’immagine coordinata; ha diretto la rivista “Casabella” dal 1977 al 1981.
È stato un teorico influente e punto di riferimento per tutte le discipline progettuali, anche attraverso una serie di saggi che hanno segnato la cultura italiana della seconda metà del Novecento. Basta ricordare La speranza progettuale (1970, nuova edizione Feltrinelli 2022), Disegno industriale: un riesame (1972), Il futuro della modernità (1987), Reale e virtuale (1992); Critica della ragione informatica (1997), Memoria e conoscenza (2005).
Riconoscimenti come la Design Medal da parte della Society of Industrial Artists and Designers (1968) o il Compasso d’oro alla carriera, dell’ADI (1995) attestano, in due momenti temporali lontani, la persistenza e l’importanza del suo ruolo per la cultura della progettazione a livello internazionale. Ed è su questo aspetto che merita soffermarsi.
La cultura progettuale per Maldonado costituisce l’ossatura di quel progetto moderno che era necessario portare a compimento, come ha argomentato nel suo Il futuro della modernità, nel quale affronta a tutto campo temi cruciali come il postmoderno (sottoposto a una critica serrata), il comfort e gli stili di vita, il destino delle città, e altri ancora.
La progettazione era per lui una costante ontologica della modernità, un atteggiamento irrinunciabile, di cui La speranza progettuale è un manifesto lampante e straordinariamente attuale per l’atteggiamento non rinunciatario nei confronti del “problema di tutti i problemi”, come aveva definito già allora la questione ambientale.
Il “discorso progettuale”
Seguendo questa convinzione, si è impegnato per tutta la vita a sviluppare, sostenere e soprattutto insegnare la cultura della progettazione, diventando uno degli inventori del “discorso progettuale”, come ha ricordato il suo allievo alla Scuola di Ulm e poi docente e collaboratore Gui Bonsiepe.
Di questo discorso, elemento centrale è stata sicuramente la nozione sistemica di ambiente, attorno alla quale Maldonado costruisce una teoria della formazione nell’ambito dell’architettura, della pianificazione e del design. Il fulcro di questa teoria è rappresentato dalla nozione di progettazione ambientale (environmental design), che Maldonado elabora durante gli anni sessanta.
A conclusione di questo percorso, Maldonado introduce la Progettazione ambientale come materia d’insegnamento al Dams nel 1976, dove si proponeva di superare la frammentazione specialistica con cui era stato trattato fino a quel momento il tema dell’ambiente (e della sua crisi, già piuttosto evidente).
Secondo lui era necessario un approccio scientifico globale, una visione critica unitaria che potesse integrare le diverse discipline. Questo approccio, che aveva maturato soprattutto nel confronto con la nuova cultura americana negli anni dell’insegnamento a Princeton (1966-70), si esprime in maniera compiuta nel suo progetto per “Casabella”, che dirige in anni cruciali per la società italiana. Una rivista dedicata non all’architettura come disciplina autoreferenziale, ma dai confini aperti alle istanze e ai problemi del proprio contesto. Una rivista dedicata ai temi della “cultura materiale contemporanea”, come Maldonado scriveva nell’editoriale. Una rivista che aggredisce le grandi questioni in cui sono implicate tutte le discipline progettuali (dall’agricoltura, al museo, all’università, alla questione femminile, allo sport, alle periferie, al prodotto industriale, al dibattito sul Movimento moderno) con uno sguardo trasversale e sistemico, appunto. Di questo sguardo, mi pare, c’è ancora oggi urgente bisogno.
Immagine di copertina: foto di Lorenzo Bigatti
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Last modified: 20 Aprile 2022