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Luca GibelloWritten by: Patrimonio

Memo4345 a Borgo San Dalmazzo, l’attualità della storia

Memo4345 a Borgo San Dalmazzo, l’attualità della storia

Nell’ex chiesa di Sant’Anna, visita allo spazio di documentazione presso il Memoriale della deportazione, con allestimento di Studio Kuadra

 

 «È più difficile onorare la memoria dei senza nome che non quella degli uomini famosi»

(Walter Benjamin)

 

BORGO SAN DALMAZZO (CUNEO). L’epigrafe di Benjamin troneggia sotto l’abside, a metà del percorso anulare di pannelli addossati alle pareti dell’ex chiesa barocca di Sant’Anna. Tuttavia, grazie a ricerche approfondite e a una strenua volontà politica, l’operazione Memo4345 restituisce almeno la dignità della memoria e il cordoglio della pietas ai 357 ebrei (334 stranieri, 23 italiani) deportati al campo di sterminio di Auschwitz dal campo di concentramento attivo tra il settembre 1943 e il febbraio 1944 nel paese del Basso Piemonte (gli altri tre campi di concentramento italiani furono organizzati a Fossoli, Trieste e Bolzano). In prevalenza provenienti dalla Francia, dopo un lungo viaggio a piedi valicando clandestinamente le Alpi alla vigilia dell’Armistizio dell’8 settembre, con la speranza di trovare salvezza al Sud o addirittura in Palestina, quasi la metà degli sciagurati fuggiaschi fu braccata e poi ammassata dai nazisti sui carri merci dell’adiacente stazione ferroviaria, con destinazione inferno (sopravvissero meno di 1 su 10) e scalo intermedio al campo di Drancy, alle porte di Parigi.

Già dal 2006, là fuori dalla chiesa, la banchina lungo i binari è stata trasformata in Memoriale della deportazione grazie a un allestimento tanto minimale quanto lirico e antiretorico: sul massetto cementizio, nastri paralleli di acciaio Corten riportano incisi i nomi dei deportati; talvolta, i nastri si levano a sagomare le lettere che compongono i nomi dei sopravvissuti… Semplice e potentissimo. Da vedere assolutamente, per una silenziosa meditazione del dolore.

Ai medesimi artefici, gli architetti cuneesi di Studio Kuadra, si deve anche l’allestimento dello spazio di documentazione, inaugurato il 5 settembre 2021 all’interno della chiesa edificata nel 1636, sconsacrata a fine anni novanta e restaurata a partire dal 2006 per essere destinata a spazio culturale (circa 635.000 euro, stanziati prevalentemente dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo). Memo4345 è il felice esito di un progetto fortemente voluto dalla pubblica amministrazione di Borgo San Dalmazzo (Comune aderente all’associazione nazionale «Paesaggi della Memoria», che riunisce musei e luoghi dell’antifascismo, della deportazione, della Resistenza e della Liberazione), realizzato con il contributo del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (nell’ambito di «Vermenagna-Roya», Programma europeo di cooperazione transfrontaliera tra Francia e Italia ALCOTRA 2014/20), per un totale di circa 217.000 euro. Si tratta di un percorso multimediale storico e didattico (a cura di Adriana Muncinelli, collaboratrice dell’Istituto storico della Resistenza) che guida alla conoscenza sugli elementi essenziali della Shoah in Europa, ma che ha il non secondario merito aggiuntivo di una particolare presa contemporanea nell’indagare le ragioni di fobie, populismi, nazionalismi e assolutismi in rapporto all’evolversi del cosiddetto «discorso comune». Così, si passa senza soluzione di continuità dalle biografie dei deportati (o degli scampati), alla rassegna di tanti più o meno anonimi Giusti, ad altri genocidi (da quello degli Armeni a quello attuale dei Rohingya), fino ad alcuni ragionamenti sulla condizione dei migranti d’oggi.

Al centro dello spazio, l’eloquente allestimento di valigie e fagotti dei deportati si offre come seduta per la fruizione degli apprezzabili contenuti audio-video (infografica, interpretazioni teatrali filmate, divulgazioni e riflessioni orali). Punto focale, in luogo dell’altare, l’ostensione – laica ma al contempo «sindonica», in una teca – di Ombre nella memoria (2011), dell’artista Enrico Tealdi: un invito a non smarrire il filo che ci lega al passato.

Intanto, nelle vicinanze, a Paraloup

La vasta piana padana che termina a Borgo San Dalmazzo è ben visibile dalle prime propaggini alpine. Qui, sulle alture intorno al villaggio di pastori di Paraloup, nel Comune di Rittana, si organizzarono le prime bande partigiane, e qui, da alcuni anni, la Fondazione Nuto Revelli ha recuperato la borgata a fini culturali e ricettivi (ristorante, rifugio, teatro, cineteca, sentiero a realtà aumentata), con un progetto di ristrutturazione ampiamente documentato e riconosciuto dai cultori dell’architettura alpina (Dario Castellino, Valeria Cottino, Giovanni Barberis, Daniele Regis). A Paraloup transitano annualmente circa 30.000 visitatori, e dal settembre 2020 si è aggiunto l’allestimento del Museo dei racconti, una videoinstallazione multimediale interattiva curata dallo studio milanese NEO (Narrative Environment Operas) e da Andrea Fenoglio. Attraverso una serie di testimonianze video, si rivivono «Le stagioni di Paraloup»: non solo l’epopea della Resistenza ma anche la «colonizzazione» delle terre alte (dalla seconda metà dell’Ottocento), fino al loro spopolamento con il boom economico.

Autore

  • Luca Gibello

    Nato a Biella (1970), nel 1996 si laurea presso il Politecnico di Torino, dove nel 2001 consegue il dottorato di ricerca in Storia dell’architettura e dell’urbanistica. Ha svolto attività di ricerca sui temi della trasformazione delle aree industriali dismesse in Italia. Presso il Politecnico di Torino e l'Università di Trento ha tenuto corsi di Storia dell’architettura contemporanea e di Storia della critica e della letteratura architettonica. Collabora a “Il Giornale dell’Architettura” dalla sua fondazione nel 2002; dal 2004 ne è caporedattore e dal 2015 direttore. Oltre a saggi critici e storici, ha pubblicato libri e ha seguito il coordinamento scientifico-redazionale del "Dizionario dell’architettura del XX secolo" per l'Istituto dell’Enciclopedia Italiana (2003). Con "Cantieri d'alta quota. Breve storia della costruzione dei rifugi sulle Alpi" (2011, tradotto in francese e tedesco a cura del Club Alpino Svizzero nel 2014), primo studio sistematico sul tema, unisce l'interesse per la storia dell'architettura con la passione da sempre coltivata verso l’alpinismo (ha salito tutte le 82 vette delle Alpi sopra i 4000 metri). Nel 2012 ha fondato e da allora presiede l'associazione culturale Cantieri d'alta quota

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Last modified: 17 Gennaio 2022